Muoiono come mosche, gli operai. Muoiono come nel passato anche se non c'è più Achille Beltrame a ritrarne il dramma sulla Domenica del Corriere . Vanno a lavorare e le famiglie temono di non rivederli, come i minatori di Marcinelle o gli edili dei palazzoni che hanno cambiato il volto e le periferie delle città negli anni Sessanta. Muoiono nelle fabbriche, nei cantieri, sulle navi, nelle cisterne mentre a Taipei, negli Emirati, negli States a centinaia parlano al cielo a cavallo di lunghissimi grattacieli e la sera tornano a casa per guardare la tv e bere una birra. Carlo Marx rabbrividirebbe. Charles Dickens lascerebbe i suoi bambini e il terribile Fagin di Oliver Twist , rivalutato dal cartoonist Will Eisner, per scrivere di loro, infelici operai moderni.
Sei morti a Mineo, Catania, mercoledì soffocati in un depuratore comunale. Due ne morirono il 18 gennaio nella stiva di una nave a Porto Marghera. Cinque a marzo a Molfetta in un'autocisterna della Truck Center. Sette alla Thyssen Krupp di Torino alla fine dello scorso anno. Bruciati, soffocati, morti violente e dolorose. Morti eroiche. C'è qualcosa di prezioso in questa classe operaia che ricompare solo negli annunci di morte.
Muoiono in tanti perché fra quelli che muoiono ci sono i soccorritori. Anche i pompieri che hanno estratto i corpi di Mineo correvano rischi. Le cronache raccontano storie che avrebbero commosso Victor Hugo. A Mineo il prete dice che gli operai sono morti abbracciati cercando di darsi reciprocamente aiuto. Nella stiva di Porto Marghera il secondo morto stava cercando di soccorrere il primo in difficoltà. A Molfetta è il padroncino dell'autocisterna a perdere la vita quando si accorge del dramma. Alla Thyssen altra storia di solidarietà. Solo fra gli operai troviamo tracce di questa antica cultura dell'aiuto. Su You Tube ha fatto epoca quel filmato in cui si vede un uomo falciato in una strada cittadina della grande America, ma poteva accadere anche qui, e per dieci minuti macchine e passanti fingevano di non veder il corpo sull'asfalto.
Voltare la testa dall'altra parte, salvarsi senza occuparsi dell'altro, non farsi turbare dallo spettacolo terribile sono la cifra della nostra epoca. Non per gli operai. Oggi sono minoranza, sono peggio pagati, lavorano come bestie, parlano spesso lingue strane e hanno facce di diverso colore. Ma si soccorrono. Forse erano una classe e lo sono tuttora non perché legati dalla produzione ma perché la produzione esaltava lo loro umanità.
Il mio compagno di lavoro non è più l'amico della vita, forse non so neppure dove abita, ma è il mio compagno di lavoro, se è in difficoltà io sono con lui. È una solidarietà laica, una umanità ribelle all'indifferenza che insegna come si sta al mondo.
Sono bestie strane questi operai. Vanno per conto loro anche quando rischiano inutilmente la vita. Tutti gli incidenti che abbiamo letto, visto in tv, ascoltato dai sopravvissuti dicono che i morti potevano non morire. Un casco, una maschera a gas, come a Mineo, una maggiore prudenza. Niente, anche nel cantiere di Montecitorio per un paio di mesi potevi fotografare l'operaio senza casco. In Italia muoiono come mosche mentre in altre parti del mondo, pensiamo ai giganteschi ponti in costruzione in Oriente e all'Ovest, accade molto di meno e non vedi un operaio che non abbia un casco, una maschera che li tuteli.
Spesso gli operai che muoiono sono operai-padroncini come a Molfetta, spesso il padrone è crudele come la Thyssen, ma a Mineo era il comune, non c'era la frusta a tener viva la loro dedizione. È che gli operai hanno certezza di sé, sanno come si lavora, il pericolo non lo allontanano con la maschera o con quel coso in testa ma con un mestiere appreso faticosamente che è quello di famiglia, il più delle volte. Operai testardi che sanno sfidare la vita e per questo spesso la perdono. Di Vittorio li avrebbe pianti e rimproverati.
Noi li piangiamo senza capirli assuefatti alle statistiche che ci dicono che sono scomparsi o rumeni. Invece salgono sulle impalcature, scendono nelle stive e vada come dio vuole. Alla salvezza ci pensano da soli, sorretti dal mestiere e dall'esperienza, l'uno fratello dell'altro. Operai italiani che non hanno letto l'invettiva di Umberto Saba contro gli italiani, abitanti di un paese in cui non si possono fare le rivoluzioni perché nella storia, da Romolo e Remo in poi, ci sono solo fratricidi e non parricidi. Loro non ammazzano i fratelli. Si fanno ammazzare per i fratelli.
di Peppino Caldarola da il Riformista del 13 maggio 2008
Sei morti a Mineo, Catania, mercoledì soffocati in un depuratore comunale. Due ne morirono il 18 gennaio nella stiva di una nave a Porto Marghera. Cinque a marzo a Molfetta in un'autocisterna della Truck Center. Sette alla Thyssen Krupp di Torino alla fine dello scorso anno. Bruciati, soffocati, morti violente e dolorose. Morti eroiche. C'è qualcosa di prezioso in questa classe operaia che ricompare solo negli annunci di morte.
Muoiono in tanti perché fra quelli che muoiono ci sono i soccorritori. Anche i pompieri che hanno estratto i corpi di Mineo correvano rischi. Le cronache raccontano storie che avrebbero commosso Victor Hugo. A Mineo il prete dice che gli operai sono morti abbracciati cercando di darsi reciprocamente aiuto. Nella stiva di Porto Marghera il secondo morto stava cercando di soccorrere il primo in difficoltà. A Molfetta è il padroncino dell'autocisterna a perdere la vita quando si accorge del dramma. Alla Thyssen altra storia di solidarietà. Solo fra gli operai troviamo tracce di questa antica cultura dell'aiuto. Su You Tube ha fatto epoca quel filmato in cui si vede un uomo falciato in una strada cittadina della grande America, ma poteva accadere anche qui, e per dieci minuti macchine e passanti fingevano di non veder il corpo sull'asfalto.
Voltare la testa dall'altra parte, salvarsi senza occuparsi dell'altro, non farsi turbare dallo spettacolo terribile sono la cifra della nostra epoca. Non per gli operai. Oggi sono minoranza, sono peggio pagati, lavorano come bestie, parlano spesso lingue strane e hanno facce di diverso colore. Ma si soccorrono. Forse erano una classe e lo sono tuttora non perché legati dalla produzione ma perché la produzione esaltava lo loro umanità.
Il mio compagno di lavoro non è più l'amico della vita, forse non so neppure dove abita, ma è il mio compagno di lavoro, se è in difficoltà io sono con lui. È una solidarietà laica, una umanità ribelle all'indifferenza che insegna come si sta al mondo.
Sono bestie strane questi operai. Vanno per conto loro anche quando rischiano inutilmente la vita. Tutti gli incidenti che abbiamo letto, visto in tv, ascoltato dai sopravvissuti dicono che i morti potevano non morire. Un casco, una maschera a gas, come a Mineo, una maggiore prudenza. Niente, anche nel cantiere di Montecitorio per un paio di mesi potevi fotografare l'operaio senza casco. In Italia muoiono come mosche mentre in altre parti del mondo, pensiamo ai giganteschi ponti in costruzione in Oriente e all'Ovest, accade molto di meno e non vedi un operaio che non abbia un casco, una maschera che li tuteli.
Spesso gli operai che muoiono sono operai-padroncini come a Molfetta, spesso il padrone è crudele come la Thyssen, ma a Mineo era il comune, non c'era la frusta a tener viva la loro dedizione. È che gli operai hanno certezza di sé, sanno come si lavora, il pericolo non lo allontanano con la maschera o con quel coso in testa ma con un mestiere appreso faticosamente che è quello di famiglia, il più delle volte. Operai testardi che sanno sfidare la vita e per questo spesso la perdono. Di Vittorio li avrebbe pianti e rimproverati.
Noi li piangiamo senza capirli assuefatti alle statistiche che ci dicono che sono scomparsi o rumeni. Invece salgono sulle impalcature, scendono nelle stive e vada come dio vuole. Alla salvezza ci pensano da soli, sorretti dal mestiere e dall'esperienza, l'uno fratello dell'altro. Operai italiani che non hanno letto l'invettiva di Umberto Saba contro gli italiani, abitanti di un paese in cui non si possono fare le rivoluzioni perché nella storia, da Romolo e Remo in poi, ci sono solo fratricidi e non parricidi. Loro non ammazzano i fratelli. Si fanno ammazzare per i fratelli.
di Peppino Caldarola da il Riformista del 13 maggio 2008