venerdì 30 marzo 2007

L’arcipelago della sinistra

La sinistra vive in Italia (ma potremmo dire in Europa e nel mondo intero) una fase di crisi e di intensa trasformazione. Nel nostro Paese ha a che fare con una destra che si è divisa almeno in parte: una parte, ma la più piccola numericamente che accetta alcune regole di democrazia e che vuole ostinatamente rompere l’attuale alternanza e chiamarsi “centro” secondo la tradizione democristiana e una più grande che fa capo al leader carismatico Berlusconi e abbraccia un populismo poco democratico.
La condizione della destra non aiuta la sinistra e questo è uno dei problemi che rischia di esser rinviato ancora di qualche anno. Non sappiamo di quanto tempo.
Ma è all’interno della sinistra che le cose incominciano a muoversi in una maniera che incoraggia qualche speranza. La formazione ormai molto avanzata del partito democratico è di sicuro l’avvenimento più significativo degli ultimi mesi.
La mozione firmata dal segretario Fassino ha conseguito all’interno dei quadri e dei gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra una vittoria più netta di quanto molti all’interno e all’esterno del partito si aspettavano. Intorno ai due terzi dei voti, oltre il settanta per cento, riservando il quindici per cento alla sinistra di Mussi e di Salvi e il dieci per cento alle obiezioni, interne alla maggioranza, di Angius e di Zani. Ormai dunque i Democratici di sinistra viaggiano speditamente verso l’incontro con la Margherita con l’affermazione degli ex Popolari che hanno mandato all’opposizione il presidente Rutelli, indicando una linea meno centrista di quella perseguita dal vicepresidente del Consiglio.
Nasce insomma un partito di centro-sinistra che lascia scoperto il lato più di sinistra che, tradizionalmente, era stato fino a qualche anno fa proprio dai principali eredi del Pci, non solo Rifondazione comunista ma in parte il Pds dei primi anni novanta.
Gli elettori dei due partiti che formano il Partito Democratico sembrano essere in maggioranza collocati in una posizione più a sinistra della nuova forza politica: del resto a leggere i documenti e i discorsi della fase costituente si può constatare la corsa al centro da parte di Fassino e di Rutelli sia nel rapporto con la Chiesa di Benedetto XVI sia in materia economica,sociale e culturale.
Ad ogni modo, e a prescindere dal giudizio complessivo che si dà dell’operazione, non c’è dubbio sul fatto oggettivo di uno spazio a sinistra che resta disponibile per le altre forze che tuttavia sono assai frammentate. L’interrogativo maggiore riguarda il destino della sinistra diessina che in un primo tempo si prepara a formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato: si tratta di ventisei deputati e dieci senatori che costituiranno la terza forza dell’arcipelago di centro sinistra, dopo il partito Democratico e Rifondazione comunista.
Restano per ora divise Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi anche se è finalmente balzata in primo piano l’esigenza di un raccordo verso processi di federazione o di unificazione proposte già da alcuni anni dal Pdci e che ora sembrano accettate anche da Bertinotti. Quest’ultimo ha parlato per la prima volta dell’esigenza di una “massa critica” da opporre all’esistenza di un partito più centrista come quello Democratico e di una destra in crisi ma comunque per la maggior parte raccolta intorno a Berlusconi.
È difficile prevedere se il processo andrà avanti rapidamente o se invece seguirà ritmi lenti e contorti. Gli elettori sono di sicuro in maggioranza favorevoli alla prima ipotesi ma non è detto che lo siano i gruppi dirigenti che negli ultimi anni hanno di frequente duellati opponendo al tema dell’unità quello della propria peculiare identità.
La stagione dei congressi che in primavera prevede più di un appuntamento ci dirà qualcosa ma non c’è dubbio sul fatto che i problemi di una nuova forza elettorale e quelli di una maggioranza parlamentare sempre sul filo, spingono le forze attualmente in gioco a uno sforzo eccezionale verso l’unità. Se si mettessero insieme i Verdi, la sinistra Ds, i Comunisti italiani e Rifondazione potrebbe nascere una forza di oltre il dieci per cento in grado di apportare al centro-sinistra un contributo assai più importante dell’attuale e di influire in maniera maggiore di quanto avvenga oggi sull’indirizzo e la direzione dell’alleanza. All’interno di Rifondazione esiste ormai una minoranza che non accetta la scelta governativa del gruppo dirigente e contesta, come si è visto non solo a Roma ma anche nei territori, l’atteggiamento tenuto in questi mesi sull’Afghanistan e sulla politica economica e sociale. Assisteremo a una ennesima scissione anche all’interno del partito di Bertinotti? Non si può escludere sia perché potrebbe includere scissionisti che hanno già lasciato quel partito sia pezzi rilevanti del sindacato Cgil che non condividono l'attuale indirizzo del gruppo dirigente nazionale.
In una conclusione che resta provvisoria siamo vicini a una svolta che probabilmente sarà influenzata dall’esito delle discussioni sulla nuova legge elettorale e che avrà efficacia se sarà in grado di elaborare una piattaforma programmatica chiara.
Una politica estera nella direzione già indicata dal governo Prodi ma una politica culturale, economica e sociale più avanzata di quella svolta finora, più nettamente preoccupata dei lavoratori,dei giovani e degli anziani, più aperta, nel senso di una democrazia moderna, alle libertà dei cittadini, dall’informazione ai nuovi saperi.
I tempi per una simile svolta sono maturi. Chi si opporrà alla formazione di una sinistra più unita porterà su di sé pesanti responsabilità in un Paese diviso come è ancora l’Italia.

di NICOLA TRANGAGLIA da l'Unità del 30-03-2007

L'appello della Sinistra DS: la nostra prospettiva di fronte al partito democratico

La sinistra deve vivere. Un'autonoma sinistra democratica di ispirazione socialista - aperta alle nuove idee di un mondo che cambia rapidamente - serve all'Italia. Serve ad un'Italia protagonista del progetto dell'Europa, politica e sociale, unita. Dunque pienamente integrata nelle fondamentali correnti di cultura e pensiero politico che la storia ci consegna, e che sono sfidate dalle grandi questioni - della pace, della giustizia, della libertà, del lavoro, del sapere, dell'ambiente - che il futuro prossimo dell'umanità ci mette davanti.
Noi sentiamo una responsabilità, e vediamo il rischio che scelte strategiche sbagliate portino al tempo stesso ad una abdicazione della sinistra e il nostro Paese in un vicolo cieco. Si stanno assumendo decisioni che avranno effetti duraturi per tutti gli anni che verranno.
Il nostro impegno perché il Governo Prodi, sostenuto dalla maggioranza di centro sinistra, abbia successo in questa legislatura, è assoluto. Il passaggio più difficile, il voto al Senato sul rifinanziamento delle missioni militari, è stato superato brillantemente. La maggioranza c'è. L'opposizione - Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega, da una parte, UDC dall'altra - ha preso strade divergenti. Il blocco della "Casa delle Libertà", sotto il comando di un padre-padrone, non c'è più.
Truppe italiane in Iraq, non ce ne sono più. Questo è molto importante. Sull'Iraq avevamo visto bene dall'inizio, anche se abbiamo faticato ad imporre l'uso di quella parola: "ritiro". La parola è stata pronunciata in questi giorni anche dalla Camera e dal Senato americano, che hanno fissato la richiesta di ritiro al marzo 2008. Anche i democratici americani si sono mossi. I neoconservatori non hanno schiuso - come era nei loro sogni - un "new american century", ma hanno liberato lo spirito della guerra. Ora il mondo deve potersi aspettare che gli Usa cambino strada, finito Bush, e siano in grado di annunciare a tutta l'umanità qualche buona novella, di tornare ad aprire qualche "nuova frontiera".
La situazione economica italiana va migliorando. I conti pubblici, dopo pochi mesi, sono in ordine. Il gettito fiscale continua a crescere. C'è ora bisogno di recuperare, e rapidamente, un rapporto di fiducia con rilevanti parti dell'opinione pubblica, di sinistra e di centro sinistra, che si sono mostrate deluse da questo inizio di legislatura. E che si aspettano un'azione forte e incisiva di riforme.
In questo Paese sono esplose le diseguaglianze e le ingiustizie. Bisogna riprendere il filo del programma dell'Unione: valore del lavoro, etica delle professioni, responsabilità dell'impresa, libertà delle persone, laicità dello Stato, primato del sapere, innovazione tecnologica, sostenibilità dello sviluppo, principi morali nuovi nella politica e nell'esercizio del potere.
Ci sono enormi possibilità di fare, e la necessità di restituire senso e forza ad un progetto di governo. Lo spazio politico entro il quale il progetto può realizzarsi è quello dell'Unione. Noi abbiamo dall'inizio contestato che, per dare ordine all'Unione, debba formarsi - quale "centro di comando, timone, cabina di regia" - una neoformazione, figlia della fusione tra DS e Margherita, chiamata Partito Democratico. Che non ha corrispondenze in Europa, salvo il partito del francese Bayrou, centrista di origine gaullista.
Si sono conclusi i congressi di sezione dei DS. Manca ancora qualcosa. I dati sono quasi completi. I nostri numeri dicono: Fassino 179.812 pari al 74,6%. Mussi 37.330 pari al 15,5%. Angius 22.895 pari al 9,5%.
In termini di voti assoluti alla nostra area siamo a quelli del complesso delle mozioni di minoranza del congresso precedente. La terza mozione, che arbitrariamente la maggioranza si annette, ottiene un buon risultato. Fassino, nonostante la forte crescita dei votanti, scende sensibilmente.
I votanti sono aumentati: hanno votato molti di più di quelli che hanno discusso.
Un quarto degli iscritti risulta contrario o fortemente critico verso la formazione del Partito democratico. Sono convinto che la posizione degli iscritti abbia una corrispondenza nell'orientamento dell'elettorato. Che già nelle elezioni politiche del 2006 ha provocato un cedimento, tanto rispetto alle elezioni europee quanto alle regionali, dell'Ulivo, e un risultato dei DS vicino ai nostri minimi storici.
Il nostro partito, al quale non è mai mancato il contributo leale e appassionato della minoranza, è diventato sempre più pesante e sempre più leggero: pesante nelle funzioni di esercizio del potere (in particolare locale e amministrativo), leggero nelle funzioni di formazione della coscienza, delle idee, dell'opinione pubblica.
Parallelamente al congresso Ds si è svolto il Congresso della Margherita, 450mila iscritti dichiarati. Caratterizzato da un duro scontro interno. Non politico, si presume, visto che la mozione era unica. Dunque, che cosa sta alimentando il pubblico conflitto tra maggiorenti?
DS e Margherita: in campo c'è la pura ipotesi della loro fusione. Non dico rispetto all'Ulivo del '96, ma anche rispetto alla più recente "Federazione riformista", l'ipotesi si è dunque ristretta: per strada si è perso lo Sdi, che terrà in aprile un congresso per formalizzare il suo definitivo no al PD.
I congressi dovevano servire a sciogliere i nodi politici. Invece i nodi politici fondamentali sono più aggrovigliati di prima. L'unica piattaforma nota su cui possa aprirsi la "fase costituente" del Partito democratico, è il "Manifesto dei 12 saggi", sintomo di uno smarrimento culturale e intellettuale, piuttosto che alta sintesi dei "riformismi".
Questioni relative alla libertà delle persone e ai diritti civili, connesse al principio della laicità dello Stato, come quella del disegno di legge governativo sui DICO, vedono parti dei DS e della Margherita manifestare in piazze contrapposte. Spinosa contraddizione già per partners di una stessa coalizione, figurarsi per membri di uno stesso partito. Il Consiglio Regionale della Liguria, per esempio, grazie al voto di alcuni rappresentanti della Margherita, tra cui il segretario regionale di quel partito, ha approvato un ordine del giorno di Alleanza Nazionale che impegna formalmente la Regione a partecipare al "Family Day".
E non è che l'inizio, temo.
Del tutto irrisolta la questione della collocazione internazionale, sulla quale proprio la Margherita ha via via radicalizzato in tutte le sue componenti la contrarietà all'approdo nel PSE., che sarà formalmente votata nel loro congresso. La sfuriata di François Hollande, segretario del PSF, nell'ultimo vertice dei leaders socialisti europei, che ha chiesto conto dei sostegni venuti dal centrosinistra italiano a Bayrou, in competizione al primo turno delle presidenziali francesi con Ségolène Royal, è solo un assaggio di quel che ci aspetta.
Non esiste politica nazionale possibile senza un chiaro orizzonte internazionale. Questo è il punto. E quel che succede nel mondo - dalla minaccia terroristica alle tendenze riarmiste, dai caratteri dello sviluppo economico all'aggravamento delle diseguaglianze, dalle derive tribali e integraliste alle debolezze delle istituzioni internazionali, dall'evoluzione delle tecnologie all'impatto catastrofico sull'ambiente, dalla inedita diffusione del lavoro salariato e intellettuale ai processi della sua svalorizzazione - impone un rafforzamento delle culture critiche di riferimento, chiede una nuova visione socialista. Parla della funzione storica della sinistra sociale e politica.
Tutto parla del bisogno di sinistra, non dell'esigenza di slittamenti centristi e moderati.
Ieri Piero Fassino ci ha rivolto - e mi ha rivolto personalmente - un appello alla cogestione della costituente del partito democratico. Contemporaneamente ne conferma l'accelerazione che, lui e Rutelli, avevano già annunciato in occasione della crisi di governo: "accelerazione spettacolare". Il nuovo partito deve essere pronto entro la primavera del 2008. "Avanti tutta, non possiamo aspettare il 2008", ha detto ieri il segretario ai segretari regionali del partito. Ad Aprile, con i congressi di DS e Margherita, la partita è chiusa.
Pur senza mai nominare Angius, Fassino nella sua intervista chiude la porta anche alle richieste della terza mozione, che ha posto 3 condizioni: garanzie che la fase costituente non si concluda prima della fine del 2008; una verifica congressuale alla fine della fase costituente; la formale adesione del nuovo partito al PSE, e un referendum in caso di mancata condivisione.
Rivolgiamo piuttosto noi, prima di assumere decisioni irreversibili, un estremo appello alla maggioranza del partito. Un appello a fermarsi per pensare.
L'appello che anche Achille Occhetto ha rivolto a Fassino e Veltroni. Scrive Occhetto: "Lo faccio con una certa trepidazione, perché mi sembra di avvertire, assieme ad altri, un profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana rischia di perdersi. Che in sostanza, fra poche settimane, con il congresso dei DS, si possa precipitare in un buco nero nelle profondità oscure del quale si rischierebbe di perdere il senso stesso delle scelte dominanti, delle stesse discriminanti che hanno caratterizzato fino ad ora il nostro modo di sentire l'impegno pubblico. In quel buco nero temo che possa sparire, prima di tutto, la sinistra".
Questo sentimento non è isolato. Riporto le parole di un osservatore come Ilvo Diamanti: "Il viale che conduce verso il partito democratico, in questa stagione, è coperto di foglie ingiallite. Secche. Come fossimo in autunno e non in primavera. Sul viale del tramonto invece che all'alba di una nuova era. Chi rammenta il tempo dell'Ulivo e delle "mitiche" primarie rischia di affogare nello spleen".
E il senso di vuoto non si riempie certo promettendo al popolo che "comunque le feste dell'Unità si faranno" (e intanto l'Unità è di nuovo in tempesta), e che la gente sarà periodicamente chiamata a scegliere i dirigenti con le primarie. Promesse che non possono bastare a soddisfare il bisogno di democrazia e partecipazione, vivo ed esigente anche durante lunghi intervalli che separano una festa da un'elezione.
Dice Fassino nell'intervista di ieri: "Vogliamo dar vita a un grande partito che rappresenti il mondo del lavoro. E sia capace di realizzare una riforma dello sviluppo - nella direzione della sostenibilità ambientale e sociale; di affrontare la crisi democratica; di riformare la politica; di promuovere partecipazione; di rinnovare le classi dirigenti; di parlare alle donne e ai giovani; di promuovere il merito ed il talento; di favorire la pace e di costruire una società solidale, multiculturale e multietnica; di affrontare i nodi dei diritti civili e dei temi eticamente sensibili".
Quello che verrà, perché quello che c'è si muove concretamente parecchio al di sotto dell'annuncio di tante cose meravigliose. Sicuramente pronte per essere afferrate, quando gli stati maggiori di DS e Margherita avranno provato a farne uno solo. Siamo di fronte a scelte politiche di fondo. Affrontate queste, si può discutere di modi e di tempi.
Escludo che si possa vivere, e sopravvivere, da separati in casa. In una logorante opera di resistenza e interdizione di un' impresa non condivisa. Il partito democratico si presenterà come un campo trincerato di fazioni personalizzate.
Si può decidere di farne parte, di fare - come si dice - "la sinistra del PD". Io non riesco a rassegnarmi all'idea che la sinistra italiana sia in futuro un grumo di correnti "riformiste" di un partito inevitabilmente più moderato e centrista, più una serie di più piccole forze "radicali" divise e frammentate. Qualcosa che non ha eguali in Europa.
Il tentativo di formazione del Partito democratico sta già provocando un terremoto. Dentro i DS, e fuori dai DS. Lo Sdi ha aperto un dialogo, fortemente centrato sui temi della laicità, che l'interventismo della Chiesa sta rendendo sempre più acuti. Dentro Rifondazione comunista è aperta una discussione non più sull'eredità del passato, ma sul socialismo e sulla sinistra del futuro.
La nostra posizione è cruciale. Se si apre la Costituente del Partito democratico, è inevitabile che si aprano altri processi a sinistra.
Tanto più ora che tutta la sinistra, in tutte le sue componenti, e per la prima volta nella storia d'Italia, condivide la stessa responsabilità di governo.
La nostra mozione parla dell'esigenza di garantire in Italia l'esistenza di una grande forza di sinistra, di ispirazione socialista. Questo è il punto della discussione. Dobbiamo prenderci l'autonomia necessaria a lavorare alla sua costituzione. Nella prospettiva di un'Alleanza democratica per il governo del Paese, non deprivata della sinistra. Della sua autonomia politica, sociale e culturale.
Un bisogno non nostro, ma dell'Italia.
Relazione di FABIO MUSSI - Roma, 29 marzo 2007

martedì 27 marzo 2007

Lettera di Achille Occhetto a Piero Fassino e Walter Veltroni

Caro Walter, caro Piero,

mi rivolgo in modo particolare a voi due per il tipo di collaborazione privilegiata che ci ha accompagnato durante la svolta e negli anni immediatamente successivi.
Lo faccio con una certa trepidazione, perché mi sembra di avvertire, assieme ad altri, un profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana stia rischiando di perdersi. Che in sostanza fra poche settimane, con il congresso dei Ds, si possa precipitare in un buco nero nelle profondità oscure del quale si rischierebbe di perdere il senso stesso, il significato delle scelte dominanti, delle stesse discriminanti che hanno caratterizzato fino ad ora il nostro modo di sentire l'impegno pubblico.

In quel buco nero temo che possa sparire, prima di tutto, la sinistra.
Questa mia affermazione, come vi sarà chiaro, non nasce da una sorta di nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra.
Ho più volte affermato che non ho alcuna prevenzione, o pregiudizio ideologico, verso la formazione di un partito democratico capace di fondere, attraverso una effettiva contaminazione ideale e politica, i diversi riformismi della tradizione politica italiana.
All'indomani della svolta della Bolognina io stesso proposi la costituente di una nuova formazione politica. Anche il Pds, come ricorderete bene, avrebbe dovuto essere nella nostra visione strategica solo una prima tappa sulla strada della formazione di un nuovo organismo alla cui nascita contribuissero forze esterne provenienti non solo dai tradizionali partiti, ma anche dalla stessa società civile. In sostanza, si trattava di quella che allora chiamammo la sinistra sommersa, che si andava formando attorno ai problemi e alle sfide del nuovo millennio che stava per aprirsi e non già nel chiuso delle vecchie, e a volte logore, nomenclature politiche.

Questa ipotesi doveva essere favorita dal formarsi di una grande coalizione, una sorte di Carovana, come la chiamai in modo forse troppo colorito, nella quale ogni convoglio mantenesse la propria identità di partenza, ma che fosse ispirata dalla identica tensione ideale e morale verso la nuova frontiera di una politica profondamente rinnovata.

Il "Grande Ulivo" del 1996 incominciò ad incarnare questa idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad un' effettiva esperienza unitaria di base. Esattamente come nella mia visione della Carovana quella esperienza avrebbe dovuto, senza forzature burocratiche dall'alto, preparare il terreno di coltura di una fecondazione unitaria da realizzarsi nel vivo di una comune esperienza di vita politica e sociale.
Purtroppo quell'idea, come sapete, è stata sacrificata, con la crisi del primo governo Prodi, frutto di un vero e proprio complotto politico, sull'altare della vecchia politica. Invece di fornire alla coalizione una propria autonoma identità, di un originale soggetto politico di coalizione, rispetto al quale i partiti avrebbero dovuto fare un passo in dietro, i partiti stessi si ripresentarono con prepotenza sul proscenio della politica italiana portando con sé tutto il retaggio di vecchi rancori e antiche contrapposizioni. Con l'aggravante che al posto dei grandi partiti di massa usciti dalla Resistenza apparve la loro caricatura di meri comitati elettorali, dando così vita ad una sorta di partitismo senza partiti.

Non c'era dubbio pertanto che occorresse riprendere, in qualche modo, la via della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi di cui abbiamo tante volte parlato.
Ma come farlo? Questa è la domanda che vi pongo; perché dovete sapere che non è il fine, sul quale comunque ci sarebbe molto da discutere, che mi spaventa, ma è il modo che ancor mi offende.
La mia risposta a quella domanda è: in un modo totalmente opposto da quello tentato con l'attuale proposta di partito democratico. A mio avviso occorreva prendere le mosse da una effettiva costituente delle idee che avviasse la stagione di un confronto culturale e programmatico aperto, in partenza, all'insieme del popolo di centrosinistra. Purtroppo la scelta non è stata questa; la società civile, nelle sue differenti espressioni, non è stata chiamata a raccolta, e tutta l'operazione politica si è ridotta all'incontro di due apparati molto ristretti, quello dei Ds e quello della Margherita. Una strada, quella che è stata imboccata, che si allontana sia dall'ispirazione ulivista del primo Prodi e sia dalla visione che del partito democratico era stata avanzata dallo stesso Veltroni.
Infatti il partito che tu Walter avevi sognato, lo so per certo perché ne abbiamo parlato tante volte, anche di recente, avrebbe dovuto essere il naturale coronamento della stagione ulivista per nascere dal crogiuolo del tutto originale di forze politiche, movimenti, associazioni e personalità della cultura e della società civile. Questa, come si sa, era anche la mia ipotesi di lavoro, anche se probabilmente, vissuta su alcuni punti programmatici, con una torsione più di "sinistra" della tua.
Ma poco importa, perché in una grande forza politica democratica, riformatrice e liberal non dovrebbe certamente vigere lo spirito del centralismo democratico proprio dei vecchi partiti comunisti, che, con la svolta, mi onoro di aver contribuito a sradicare definitivamente.
E con te, caro Piero, ho lavorato, gomito a gomito, per quella grande impresa che è stata l'ingresso degli ex-comunisti italiani nell'Internazionale socialista e la co-fondazione, da parte mia, del Partito del socialismo europeo.

Ebbene ora mi chiedo e vi chiedo: queste due ipotesi di lavoro dovevano necessariamente separarsi tra di loro?
Ma soprattutto che cosa è rimasto di tutto quello che abbiamo pensato, sognato nell'attuale tentativo della formazione di un partito democratico che si basa sull'incontro, molto spesso insincero, tra ex-comunisti e ex-democristiani, e su un'ipotesi programmatica, che per quanto venga sapientemente coperta da alcuni espedienti verbali, è sostanzialmente moderata?
Per questo vi dico con estrema franchezza che se la formazione del nuovo partito democratico dovesse procedere su questi binari, già minati in partenza, si lascerebbe nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di una sinistra moderna, capace di reinventare il senso di una attuale ispirazione socialista e democratica.

Ma prima che le nostre strade si separino definitivamente mi chiedo, se si vuole per davvero muovere verso la formazione di un nuovo partito democratico collegato alla grande famiglia della sinistra europea, se non sia il caso di fermarsi a pensare per riprendere il cammino su basi diverse e più solide. Su basi che si riallaccino per davvero alla nostra comune esperienza precedente.
Vi chiedo una pausa di riflessione al fine di rendere più chiaro il percorso e più ampio il consenso verso la costruzione di una formazione politica capace di raccogliere l'eredità positiva del "Grande Ulivo" e della "Carovana" verso la nuova frontiera della politica italiana.

Se avrete il coraggio e insieme l'umiltà di fare questo, siatene certi, potrò, assieme a molti altri, riprendere con voi lo stesso cammino.
In caso contrario, sarà compito ideale e morale di molti di noi di impegnarsi perché la sinistra in quanto tale non sparisca dal panorama politico italiano.

Con affetto e speranza
ACHILLE OCCHETTO

Le foglie secche del Partito Demoratico

Il viale che conduce verso il Partito Democratico, in questa stagione, è coperto di foglie ingiallite. Secche. Come fossimo in autunno e non in primavera. Sul viale del tramonto invece che all´alba di una nuova era. Chi rammenta il tempo dell´Ulivo e delle "mitiche" primarie rischia di affogare nello spleen. D´altronde, gli inventori e i portabandiera del progetto, oggi, hanno altro a cui pensare. Romano Prodi, Arturo Parisi. Alle prese con i problemi seri che assillano non solo la maggioranza, ma, prima ancora, il governo.
Al Senato, dove ogni voto è una scommessa. In politica estera, che vede il Paese in conflitto con gli USA, deprecato dagli europei. Isolato. Perfino Vallettopoli. Prima il governo, poi la politica. Per cui il Partito Democratico diventa una questione di secondo ordine. Anche se è nell´agenda dei due "azionisti" di riferimento. I Ds e la Margherita. Alla vigilia dei congressi che dovrebbero sancire la prossima confluenza nel "Partito Democratico". Non più condominio, ma "casa comune". Un viatico senza gioia e senza festa. Come mostra il sondaggio condotto da Demos-Eurisko, nelle scorse settimane. Il sostegno al Partito Unico è progressivamente sceso, fra gli elettori di centrosinistra. Dal 77% nel luglio 2004, al 67% del luglio 2006, fino al 60% scarso di oggi. Una maggioranza robusta. Ma sempre meno "maggioritaria". Tanto che oggi appaiono più "unitari" (seppur di poco) perfino gli elettori di centrodestra. Reduci da una campagna elettorale nel corso della quale hanno sperimentato il "Partito Unico"; la Casa guidata e governata da un solo padrone. Inoltre, solo una parte significativa, ma limitata, degli elettori di centrosinistra pensa che la costruzione del PD costituisca un progetto urgente. Una priorità. Il 20%: esattamente come un anno fa.
E´ un segno di declino? Ne dubitiamo. Semmai di delusione. Perché ciò che sta emergendo appare diverso e distante dalle attese originarie. Dal sogno condiviso da molti elettori. Per fortuna, potremmo dire. Visto che i sogni, quando si materializzano, quando vengono riprodotti nella realtà, spesso generano mostri. Tuttavia, il viale che conduce al PD non riesce a suscitare neppure un´illusione. Altro che sogni… Il Partito Democratico sta crescendo integralmente dentro i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita. Animati, alcuni, anzi, molti di essi, da buone intenzioni. Cui, però, non sono seguite le buone azioni. Visto che la discussione ha proceduto interna agli apparati, secondo i rituali e le logiche dei partiti di una volta. Non manca nulla, in questa vigilia congressuale. Correnti e frazioni a condurre il confronto, sempre più aspro. Le polemiche sul tesseramento gonfiato ad arte. Gli iscritti talora superiori ai voti. Le minacce di scissione, che inquietano i Ds. I riformisti e la sinistra preannunciano la volontà di andarsene, in caso il partito approdasse nel PD. Gli uni in nome della socialdemocrazia, gli altri del socialismo. Mentre nella Margherita fanno sentire il loro peso e la loro voce (ma soprattutto le loro tessere) i Popolari. Gli ex democristiani. Che sfidano non solo i partigiani dell´Ulivo, guidati da Parisi (una minoranza ridotta, nel partito). Ma anche il ruolo di Francesco Rutelli. Il leader. Il baricentro. Ciò che manca (soprattutto nella Margherita) è il confronto sulle idee. Sul progetto.
Il Partito Democratico che verrà - se verrà – rischia di nascere dal compromesso fra i resti di questi due partiti. Dall´accordo fra i gruppi che prevarranno, al loro interno. Dall´intesa con quelli che decideranno di restare. Un cartello di correnti, fazioni, leader. Nessuno dei quali disponibile a "perdere l´identità". La visibilità. Questo rischia di diventare il PD. Un partito nato non per passione, ma per pigrizia. Perché, arrivati a questo punto, non è possibile fare altrimenti. Non si può più tornare indietro. Anche se non è chiaro dove conduca questo percorso. Cosa ci sia in fondo al viale.
D´altronde, il progetto del PD è nato parallelamente alla riforma del sistema partitico e istituzionale. Un "partito nuovo", concepito in funzione di una "nuova Repubblica". Il nome stesso evoca l´esempio americano. I partigiani del PD, infatti, immaginavano e immaginano un modello presidenzialista o, comunque, fondato su un premier forte; insieme a un Parlamento espresso attraverso un sistema maggioritario e bipolare. Meglio se bipartitico. Come suggerisce il progetto organizzativo presentato da Salvatore Vassallo al seminario di Orvieto. Consigliato da Arturo Parisi. Loro, per primi, "referendari". Non solo perché il referendum costituisce l´unico metodo di pressione efficace, per cambiare questo indecoroso sistema elettorale. Ma perché il referendum, in sé, spinge al bipolarismo. Anzi, in direzione bipartitica. Di qua o di là. Senza mediazioni. Magari non permette di fare buone leggi, però, se e quando riesce a captare l´umore popolare e a mobilitare gli elettori, può produrre effetti devastanti - e comunque destrutturanti - sugli assetti e sugli attori politici. Soprattutto sui partiti. Com´è avvenuto dopo il 1991. Non pare questo il disegno che, oggi, anima l´incontro fra Margherita e Ds. Non solo perché risulta sinceramente difficile scorgere un "disegno", nel percorso che conduce al PD. Ma perché le proposte di riforma elettorale sostenute dai Popolari, da Rutelli, ma anche da figure autorevoli dei Ds (D´Alema), richiamano principalmente il "modello tedesco". Un proporzionale con sbarramento, senza premio di maggioranza. Lo stesso Prodi, d´altronde, ha dato il suo assenso a questa ipotesi. Facendone la base del confronto con le forze politiche di opposizione. Ma il modello tedesco, inutile girarci intorno, è in contrasto con il disegno originario del Partito Democratico: maggioritario e, tendenzialmente, presidenzialista. Ne rivela, invece, una diversa concezione. Suggerisce, cioè, l´intenzione di dar vita a un partito orientato alla competizione proporzionale. Una forza politica di taglia media; sicuramente meno forte dei Socialdemocratici o dei Popolari tedeschi. Ma in grado di crescere, in futuro, e di affermarsi. Alleandosi, magari integrandosi con le altre formazioni di centro. L´Udeur, la Lista Di Pietro e, forse, anche l´Udc. Insomma, un Partito Democratico di centro-sinistra. Più di centro che di sinistra. Leva di una meccanica proporzionale. Simmetrico e alternativo al Partito Forzaleghista. Dove la Lega agirebbe da soggetto regionalista. Mentre AN assumerebbe un ruolo di rincalzo e di complemento; come la Sinistra radicale, sull´altro versante. Spinti ai margini della competizione elettorale e del sistema partitico.
Uno scenario che riproporrebbe il bipartitismo della Prima Repubblica. Questa volta meno "imperfetto" di allora. Aperto all´alternanza. (Ma non è detto).
Per queste ragioni, la prospettiva unitaria e il PD, oggi, non entusiasmano gli elettori di centrosinistra. Non è ciò che avevano sperato nell´autunno 2005, quando si erano recati, in massa, a votare alle primarie. Un partito americano, maggioritario e presidenzialista, che rischia di trasformarsi, strada facendo, in un partito alla tedesca, piegato alla logica proporzionale. Senza averne i requisiti, la vocazione. Da ciò i dubbi. Vale la pena di rinunciare a dirsi socialisti, comunisti e democristiani per confluire in un partito "nuovo", che sorge seguendo logiche "vecchie"? Dal compromesso di vertice fra leader, partiti e correnti? E perché questo partito-collage, dai riferimenti culturali incerti, dovrebbe "funzionare", in una competizione proporzionale, dove è importante offrire un´identità specifica e riconoscibile?

ILVO DIAMANTI da la Repubblica del 25-03-2007

lunedì 26 marzo 2007

Da qualche parte il treno PD rallenta

Il Congresso delle Ville di Ortona (Abruzzo), 41 iscritti, si è conlcuso con 2 soli voti per la mozione Fassino e la vittoria della nozione Mussi.

Pubblichiamo il documento conclusivo redatto dall'Assemblea congressuale.

La sezione dei DS delle Ville di Ortona, non condivide la formazione di un nuovo partito, invita la classe dirigente ad una profonda riflessione e chiede di fermare il treno del PD.
Ci sembra di capire che chi vuole la dissoluzione della sinistra, chi cerca una vera e propria rottura, (nel 1922 si fece la scissione a sinistra, oggi si promuove una scissione al centro) chi sta provocando una scissione, non è certo la mozione a cui noi abbiamo aderito "seconda mozione" e guardiamo con interesse, "A sinistra verso il socialismo europeo".
Per noi deve prendere vita una nuova idea, originale, di "socialismo dei cittadini" dove c'è un'attenzione particolare al ruolo sociale delle donne, ai giovani, agli anziani, ai meno abbienti e dove si cerca a ridurre al minimo il "dominio" dello Stato sugli individui attraverso il potenziamento d'una cittadinanza attiva e consapevole.
Sta proprio in questo originale approccio, il nuovo feeling, con idee di un nuovo "repubblicanesimo civico" e con le "nuove libertà", nel tempo della globalizzazione di oggi.
Per noi, infatti, il problema è rinnovare l'idea di socialismo (non certo dissolverlo) dal momento che la tradizione del movimento operaio non ha messo in secondo piano "il racconto della democrazia - partecipata - " a scapito del primato dell'economia.
Metodo e contenuti di governo devono essere sempre gestiti con austerità e rigore nelle forme e nei comportamenti, i programmi vanno rispettati ("Il potere non può modificare gli obiettivi dopo che si è stati eletti"), dobbiamo essere consapevoli che la politica deve recuperare credibilità e coerenza morale sulla via di una sua possibile auto-riforma.
Di qui la naturale scelta del conflitto con la destra su un'idea alternativa di società che deve mettere all'angolo i conservatori e parte della Chiesa tuttora intrisa di connivenze con i poteri forti.
Non pensiamo di fare tutto quello che è stato fatto in Spagna come: l'immediato ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq (tutte), la questione un vero stato laico, Afganistan, la legalizzazione dei Pacs e delle unioni civili tra coppie omosessuali, il ridisegno della scuola pubblica, la riforma della legge sul divorzio, le nuove leggi per tutelare le donne contro la violenza di genere e le discriminazioni sui luoghi di lavoro, l'aumento del salario minimo, la liberalizzazione della ricerca sulle cellule staminali, la legalizzazione dell'immigrazione clandestina, la riforma della Tv pubblica(non l'abolizione) con l'obiettivo di svincolarla dall'intervento dei partiti e dei governi, la legge quadro per ridurre il lavoro precario attraverso un accordo con le parti sociali, l'istituzione di un fondo d'assistenza per le persone che dipendono economicamente da altre (il "quarto pilastro" dello Stato sociale che affianca quelli tradizionali di scuola, sanità e previdenza).
Decisamente sarebbe troppo, ma almeno il programma sottoscritto, (l'abolizione delle leggi vergogna), o quello che ci si era fatto intendere che fosse stato definitivamente concordato. Abbiamo la presunzione di voler ridisegnare le prerogative di uno Stato di diritto e laico e la caparbietà di far seguire, sempre, i fatti alle parole del programma elettorale e degli impegni sottoscritti.
Proponiamo un rinnovamento profondo dei Ds, partito del socialismo europeo e dell'Internazionale socialista. Proponiamo una tavola di valori e una piattaforma programmatica più avanzate: nelle politiche economiche, sociali e ambientali; nell'impegno per la libertà e i diritti di tutte e di tutti; nel rinnovamento etico e democratico della politica; nella lotta per la pace e la giustizia del mondo; nella capacità di rappresentare tutto il mondo del lavoro.
L'Italia e l'Europa hanno bisogno di socialismo e le ragioni del socialismo non muoiono. Il socialismo è nato: per ottenere giustizia sociale ,per la dignità del lavoro e dei lavoratori, per sganciare la scienza dal cappio mortale della morale religiosa e di tutti i fondamentalismi, ad affrancare uomini e donne da tutte le forme di schiavitù - morali e fisiche - , al progresso e al miglioramento delle condizioni di vita e al benessere delle classi meno abbienti, ieri in Italia e in Europa, oggi nel mondo (Non stiamo tornando indietro con il neoliberismo ?) per la pace nel mondo, il disarmo e per la risoluzione politica dei conflitti, per costruire stati laici.
Insime fermiamo il treno del Pd e promoviamo l'unita a sinistra per un partito del socialismo europeo.

Assemblea congressuale della Sezione dei DS delle ville - Villa Caldari - Ortona

Videoforum con Fabio Mussi

Oggi, lunedì 26 marzo, alle 11 videoforum con Fabio Mussi (Conduce Antonio Cianciullo):

I fondi per la ricerca, i precari nell'università, ma anche la battaglia nei Ds e il futuro della sinistra.


venerdì 23 marzo 2007

Al buio!

Siamo alla fine dei congressi di sezione e ancora non si è fatta luce.
Cosa sarà il Partito Democratico?
  • Ancora oscura la tavola dei valori
Quella della Sinistra? Quella della Margherita? Quella del Manifesto dei 12?

  • Ancora confusi gli elementi costitutivi
Quale progetto di società? Quale priorità del lavoro? Quale laicità dello Stato? Quale spazio per la riconversione ecologica dell'economia?

  • Ancora ignota la collocazione internazionale
Nell'ambito del PSE? Mai nel PSE? Collaborare con il PSE?

La risposta di Fassino e Rutelli al problema: "Accelerazione spettacolare".

Un nuovo partito: la costituente socialista vista da un diciottenne

Caro direttore,
sono un ragazzo di 18 anni, in primo luogo mi sento di esprimere un pensiero che certamente risulterà impopolare ai vecchi socialisti di oggi: la mia generazione è estranea agli avvenimenti di Tangentopoli e vuole rimanerne tale. Un ragazzo come me vuole guardare avanti, costruire una casa che sia dinamica. Costruire un nuovo partito, oggi, significa svincolarsi dagli avvenimenti del passato mantenendo però un filo conduttore con quella che è stata la storia del socialismo italiano, da Costa e Pascoli a Craxi e Bobbio. La storia non ha lasciato ai socialisti solo rancore e odio ma soprattutto un bagaglio di postulati che ancora nessuno rivendica e fa proprio. Tali postulati non servono a fondare un nuovo partito ma a rifondare la stessa idea del secolo scorso. Purtroppo noto che la costituente parte con un piede sbagliato: è filtrata tramite i giornali l'idea che la costituente si pone l'obiettivo di riunificare sotto un unico simbolo tutte le etichette socialiste nate in seguito allo scioglimento del Psi. Spero di sbagliarmi ma la gente questo ha capito. L'idea di un nuovo partito socialista, secondo il mio parere, deve nascere dalla ripresa di quei valori e di quei postulati che abbiamo ereditato dalla storia. Per riappropriarsi dell'eredità storica del socialismo italiano e, quindi, per rifondare una nuova casa socialista, bisogna svincolarsi dai vecchi rancori dell'era di Mani pulite: la riappropriazione e lo svincolamento sono strettamente legati fra loro, in quanto lasciare alla storia i vecchi odi significherebbe tornare alla realtà per affrontarla, cioè riacquisire il patrimonio. Per dimostrare che i socialisti sono tornati tali e che sono liberi da vecchi sentimenti bisogna compiere un atto importante: non solo dialogare con gli anti-democratici dei Ds, ma anche con quella parte del Prc che si rispecchia nella figura Riccardo Lombardi e che negli ultimi giorni si sono dimostrati disponibili ad aprire il cantiere di una sinistra rinnovata. È una importante richiesta, non di poco conto, che molti vecchi socialisti non manderanno giù o che, nella peggiore delle ipotesi, non prenderanno assolutamente in considerazione. Ciò che vorrei ricordare, però, ai miei anziani compagni è che in gioco vi è il futuro di una generazione come la mia che altrimenti si ritroverebbe a studiarla solamente la storia dei socialisti e non a viverla in prima persona.

FABIANO FARINA (Salerno) - Lettere al Riformista - 22 marzo 2007

mercoledì 21 marzo 2007

Socialisti cacciati

La pubblicità di iniziative socialiste imperversa. Vedo che è ritornato di moda anche Quarto Stato di Pelizza da Volpedo. Porto in tasca la tessera di mio padre del partito D’Azione, confluito poi nel PSI e morto lombardiano. Per tradizione familiare mi sono iscritto al PSI di Nenni nel 1957 e ne sono uscito il 3 Ottobre del 1981. Dopo due giorni, Natali, inventore del sistema ambrosiano delle tangenti, su ordine di Craxi, con un semplice telegramma, senza neanche ascoltare gli “ imputati”, per “attività frazionista” ha cacciato Tristano Codignola, Enriques Agnoletti, Franco Bassanini, Paolo Leon, Gianfranco Amendola, Renato Ballardini, Antonio Greppi e altri, tutti membri del comitato centrale. Craxi era furibondo perché pensava che avessimo “complottato” con il PCI e ci bollò con parole di fuoco:”piccoli trafficanti e girovaghi della politica”.

Giornali come Der Spiegel e le Monde attaccarono il segretario. Anche De Martino, Bobbio, Bocca, Giolitti, Arfè, Galli della Loggia, presero le nostre difese. Codignola, già vice segretario del partito, era il leader naturale del gruppo e con lui tentammo l’avventura della Lega de Socialisti, che ebbe fine con la morte di Pippo, il quale con una lettera all’amico missionario don Nesi, lasciò il suo testamento morale e politico. Prima di morire, lui laico e azionista, si era congedato dall’amico prete con queste parole “ Il degradare del far politica nella menzogna, nella clientela e nella corruttela non aveva più nulla di socialista, per quanto questa parola contenga impegni morali profondi”. La diaspora socialista dell’era Craxi iniziò da lì. Ora, con la proposta del partito democratico e la incapacità di Bertinotti e Diliberto di capire le “ dure repliche della storia” e trarne le conseguenze, si riaprono spiragli di speranze socialiste. D’altronde, non potrebbe essere diversamente per alcune ragioni:
  • la sinistra collegata al socialismo europeo, non sempre condivisibile e non sempre all’altezza della sfida dei tempi, ma pur sempre erede dei partiti che nacquero alla fine dell’800, in Italia sparisce;
  • la globalizzazione dell’economia legata al mercato imperante e senza regole, che marginalizza miliardi di persone, mettendole nel frullatore dei non aventi diritti, richiede più socialismo e non meno socialismo;
  • in Italia c’è bisogno di socialismo etico che riprenda la grande e nobile tradizione del Gramsci vittima dello stalinismo, della rivoluzione liberale di Gobetti, del socialismo riformista di Turati e Matteotti, di Giustizia e Libertà e del socialismo liberale di Carlo Rosselli, di Salvemini, di Ernesto Rossi, e Sylos Labini.
Eredi della cultura e della prassi che fascismo, comunismo e cattolicesimo curiale hanno cercato di cancellare dalla storia e dalla politica di questo paese. Ve lo immaginate lo spirito di Salvemini e di Carlo Rosselli che aleggia accanto a Gianni De Michelis e Bobo Craxi, impegnati nella spola tra Berlusconi e Prodi? Inoltre, ed è anche peggio, dalle biografie dei partecipanti agli incontri dei Bertinoro di turno, pare che per essere ammessi sia necessario almeno uno dei seguenti requisiti:
essere post comunisti; dichiararsi eredi del craxismo; essere stati coinvolti direttamente o per interposti “ compagni” nelle vicende di tangentopoli. Se queste sono le credenziali, ogni tentativo di ricostruire una forza socialista degna di questo nome è destinato al fallimento. D’altronde, Boselli, De Michelis, Craxi e compagni, richiamando il pensiero del capo e accapigliandosi nel rivendicarne l’eredità, non sono riusciti ad andare oltre percentuali elettorali da prefisso telefonico. In più, avendo fatto credere che il PSI fosse stato fondato al Midas da Craxi, hanno contribuito a creare una sorta di allergia alla parola socialismo in tutte le persone per bene e potenziali militanti socialisti. Mussi e chiunque altro voglia creare una forza socialista, degna della migliore tradizione italiana ed europea, è avvertito: la storia delle persone e i loro comportamenti contano più delle parole e dei comizi.

di ELIO VELTRI

da Critica liberale

I laici, i democratici, i liberali, i repubblicani, i socialdemocratici, i liberalsocialisti, gli azionisti, i socialisti europei, i cittadini dell'Ulivo... non ci stanno!!

È necessario evitare che gli elettori che intendono opporsi al ritorno al potere di Berlusconi Bossi Fini e Buttiglione siano posti di fronte ad una sola possibile scelta: votare o per un "Partito democratico" ridotto ad una mera riedizione in miniatura della strategia del compromesso storico (con l'aggiunta caratterizzante di clericali estremisti) e ad una sommatoria di quel che resta degli apparati e delle clientele della vecchia Dc e del vecchio Pci; o per l'ennesima riproposizione della "sinistra onirica" italiana, composta da neocomunisti, altermondialisti o addirittura nostalgici.

Sempre più il progetto del "Partito democratico" si sta allontanando dall'idea iniziale del partito dei "cittadini dell'Ulivo", per rivelarsi invece come lo strumento di autoconservazione di un esausto personale politico, delle idee-forza e, ancor più, dei metodi di gestione della cosa pubblica tipici della fase critica della prima repubblica; mentre la sinistra massimalista non si pone neppure l'obiettivo di governare la modernizzazione del paese, né ne ha gli strumenti teorici, ancorata com'è alle decrepite parole d'ordine comuniste e al bel gesto indifferente alle sue conseguenze. In mezzo ci sarà il vuoto. E sarà la fine della sinistra italiana, quella occidentale, europea, dedita ai diritti, alla libertà, all'equità e alla solidarietà. Sarà certificata ufficialmente l'assenza di una qualunque forza politica laica. Sarà la definitiva vittoria prima politica che elettorale della destra e dell'egemonia clericale.

La fondazione Critica liberale ritiene che i tentativi di riaggregazione dell'area laica, socialista, liberale, liberalsocialista, liberaldemocratica, repubblicana, azionista, intrapresi nelle scorse settimane, non debbano ridursi, contro le intenzioni degli stessi promotori, a una riproposizione soltanto dell'unità socialista, peraltro necessaria. È vitale per le sorti del centrosinistra e della stessa fisiologia democratica del sistema politico italiano che non sia esclusa la rappresentanza a quella larghissima parte della società italiana e dell'elettorato del centrosinistra che vuole che il destino dell'Italia resti fortemente incardinato nell'Occidente europeo, nella modernità, nella laicità, nella libertà e nella responsabilità degli individui, e che assiste con sgomento alla riconsegna del paese alla destra eversiva di Berlusconi-Bossi.

Come è già accaduto in Austria, e le forze politiche e tradizioni civili facenti riferimento al Partito socialista europeo e all'Internazionale socialista e quelle che si riconoscono nelle corrispondenti organizzazioni liberali potrebbero allearsi ed eventualmente essere presenti alle prossime elezioni politiche.

La fondazione Critica liberale invita ad una riflessione comune tutte le forze politiche o le loro componenti, le associazioni, le rappresentanze della società civile che condividano questa prospettiva, per delineare un'area politica e per creare un tavolo di discussione che rintracci punti in comune e forme organizzative non tradizionali e non burocratiche.

CRITICA LIBERALE

martedì 20 marzo 2007

Verso il congresso. Che fare?

Mentre prosegue il valzer tra Giorgio Lunelli e Remo Andreolli sulle note del Partito Democratico, Ferruccio Demadonna, rappresentante della mozione Mussi, osserva: «Il 29 marzo gli esponenti della mozione Mussi si troveranno per decidere se partecipare al congresso o uscire prima dal partito: io sono dell'idea che sia sbagliato uscire dal partito prima ancora di arrivare al congresso».

lunedì 19 marzo 2007

L'alba dei catto-comunisti

Sessant'anni fa Togliatti si accordava con la Dc sull'articolo 7 della Costituzione.
Il Pci accolse i Patti Lateranensi e avviò una strategia di dialogo che sarebbe arrivata fino al compromesso storico. Una lunga stagione politica di cui si discute in vista del Partito democratico.

Il partito democratico è davvero «l´idea forza per galvanizzare il nostro popolo, l´unica chance che abbiamo per battere il centrodestra», come esclama, con entusiasmo un po´ disperato, Michele Salvati, tra i principali estensori del Manifesto dei Democratici? Lasciando in sospeso l´interrogativo c´è da augurarsi che l´Unione sappia presentarsi con una panoplia più ricca di armi e di argomenti e con una capacità unitaria capace di esprimersi oltre l´orizzonte del partito democratico, qualora questo non avesse ancora superato le doglie del parto al momento del voto, specie se anticipato.
L´incertezza di questo appuntamento spiega forse anche il carattere ultimativo imposto da Piero Fassino («non si può più tornare indietro») alla dialettica congressuale, da cui dovrebbe scaturire la decisione dell´auto scioglimento ds, concepita evidentemente come una strategia senza altre alternative. I sostenitori del Pd avanzano in proposito due argomenti: alle ultime politiche si calcola che i ds abbiano raccolto il 17,5 dei voti e la Margherita il 10,7.
Non sono percentuali paragonabili a quelle raccolte dagli schieramenti riformisti negli altri paesi europei. L´altro argomento a favore è la parallela ispirazione riformista sia dei post comunisti sia dei post dc, per cui, a quasi vent´anni dalla caduta del muro di Berlino, essendo venute meno le ragioni storiche della loro contrapposizione, non avrebbe più senso una separazione non suffragata da una sostanziale differenziazione politica.
Vi è, peraltro, almeno a mio avviso, un altro elemento imponderabile e che potrebbe dare, come nel gioco d´azzardo quando si becca l´en plein, una soddisfazione di gran lunga più decisiva delle attese aritmetiche: l´esplodere propulsivo di un sentimento di massa, scaturito dalla combinazione tra l´attesa sempre delusa, ma sempre risorgente di unità e concordia del popolo di centro sinistra, e la nascita del nuovo partito. Dipenderà dal modo e dal come si presenterà, dalla sua apertura e trasparenza, dal grado di sterilizzazione percepita delle dinamiche partitiche e di potere fino ad oggi prevalenti e sempre più mal sopportate dall´opinione pubblica di qualsivoglia tendenza, dalla formazione e dal profilo della leadership. Tutte premesse per ora lontane, poiché allo stato dell´arte, purtroppo, la gestazione in corso denota un appiattimento sul presente, quasi questo partito democratico venisse proposto per una subitanea illuminazione o per un calcolo strumentale di scarso respiro. Eppure credo che se si collocasse questa svolta nella ormai lunga vicenda del rapporto tra mondo cattolico e sinistre e si uscisse dalle questioni di breve momento, le incomprensioni e i dilemmi si collocherebbero in una dimensione storica che consentirebbe di riconoscerli alla radice. E forse di chiarire quale obbiettivo viene proposto, al di là del prossimo o meno prossimo risultato elettorale.
Tanto per fissare una periodizzazione partirò da un giorno ormai lontano, l´11 marzo 1947, quando Palmiro Togliatti illustrò su quale terreno di "compromesso" (compare qui per la prima volta quella formulazione che, dice T., «non ha in sé un senso deteriore» e che Berlinguer riprenderà molti anni dopo) giudicasse possibile costruire una Costituzione che valesse ben oltre «gli accordi politici contingenti dei partiti che possono costituire una maggioranza». Suo interlocutore privilegiato è Giorgio La Pira, in quella stagione il rappresentante più alto, assieme a Giuseppe Dossetti, del pensiero cattolico. Le parole di La Pira che aveva parlato poco prima, ascoltate con "appassionato interesse" dal capo del Pci hanno indicato «la via per la quale siamo arrivati a quella unità che ci ha permesso di dettare queste formulazioni (gli articoli basilari della Costituzione, n.d.r.). Effettivamente c´è stata una confluenza di due grandi correnti: da parte nostra un solidarismo - scusate il termine barbaro - umano e sociale; dall´altra parte un solidarismo, di ispirazione ideologica e di origine diversa, il quale però arrivava, nella impostazione e soluzione concreta di differenti aspetti del problema costituzionale, a risultati analoghi a quelli cui arriviamo noi. Questo è il caso dei diritti del lavoro, dei cosiddetti diritti sociali; è il caso della nuova concezione del mondo economico, né individualistica né atomistica, ma fondata sul principio della solidarietà e del prevalere delle forze del lavoro; è il caso della nuova concezione e dei limiti del diritto di proprietà. Né poteva far ostacolo a questo confluire di due correnti... la concezione... della dignità della persona... vi era qui un altro punto di confluenza della nostra corrente, socialista e comunista, colla corrente solidaristica cristiana... Se questa confluenza di due diverse concezioni su un terreno ad esse comune volete qualificarla come "compromesso" fatelo pure».
Solo pochi giorni dopo, il 27 marzo, dc, comunisti (col voto contrario di Concetto Marchesi e Teresa Noce) e qualunquisti faranno approvare l´art. 7 che sancisce l´inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, malgrado l´opposizione dei socialisti e di buona parte de partiti repubblicani e laici.
Si apre in quel momento la lunga stagione del catto-comunismo che segnerà tutta la storia della prima Repubblica e non solo la Costituzione scritta ma altresì la Costituzione materiale, quell´assieme di norme, leggi, regolamenti e prassi parlamentari, suddivisione di poteri, riforme di vario segno, comportamenti consolidati che hanno caratterizzato in modo permanente e vincolante l´operato di quello che fu chiamato l´arco costituzionale.
Assai meno lineare, già da allora, come si è visto con l´art.7 ma non solo, il rapporto fra le due sinistre, comunista e socialista. E se dal 1948 al 1956 la stagione della guerra fredda rinsalderà il patto di unità d´azione e il comune impegno nei sindacati, comuni e cooperative, la repressione prima a Poznan, poi in Ungheria porterà ad un progressivo distacco e a una ripresa dell´autonomia socialista. Chi poi, come Giorgio Amendola, tenterà di sostenere nel Pci l´esigenza di un partito unico di sinistra di stampo riformista, uscirà isolato e sconfitto.
La partecipazione del Psi ai governi di centro sinistra darà nuovi incentivi alla ostilità, ancor prima che compaia Craxi all´orizzonte. Ma quel che qui preme sottolineare è la funzione che il rapporto coi cattolici assume per impedire ogni possibile trasformazione del Pci in un partito socialdemocratico. Nel settembre-ottobre 1973 Enrico Berlinguer con due articoli su Rinascita prende le mosse dal colpo di Stato di Pinochet in Cile per trarre la conclusione che, neppure con il 51 per cento dei voti, le sinistre possano e debbano andare al governo. Di qui la proposta del compromesso storico che corona un ragionamento esplicito: «Noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica». Incardinando in questa nuova fase la strategia consociativa inaugurata da Togliatti, Berlinguer, da un lato, approfondirà il rapporto con la Dc che con Moro toccherà l´acme, proponendosi di ottenere l´avallo cattolico per arrivare alla cancellazione della conventio ad excludendum senza affrontare una profonda revisione della natura del partito, dall´altra, taglierà ogni prospettiva all´autonomia socialista negando alla radice la possibilità di un governo delle sinistre, persino nel caso avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi.
Su questa premessa sbagliata e conservatrice il Pci arriva al crollo del Muro e alla fine dell´Urss. L´empito dell´anti socialismo, che si confonde con l´anti craxismo, si riverbera anche nel neonato Pds. L´approdo al partito socialista europeo e la patetica operazione della Cosa due avvengono per partenogenesi: vetero e post comunisti si autobattezzano socialdemocratici, guardandosi bene dal recuperare e far accedere alla stanza dei bottoni gli ex socialisti, anche quando si chiamano Giuliano Amato e Giorgio Ruffolo. Contemporaneamente viene respinta anche quell´ipotesi di "partito democratico" avanzata da Walter Veltroni, come involucro di trasformazione radicale e di modernizzazione dell´ex Pci.
È guardando a questo storico retroterra, che ci accompagna almeno da cinquant´anni, che il giudizio sul costituendo partito democratico si fa più approfondito. Le varianti col passato sono senz´altro notevoli. In primo luogo fino a ieri e certamente da Togliatti a Berlinguer il catto-comunismo costituiva il terreno comune, sovente para istituzionale, di compromesso politico e sociale, fra due partiti ben distinti, fieri della loro identità e, almeno in alcuni periodi, aspramente contrapposti. Oggi siamo di fronte ad un salto di qualità: la creazione di un partito unificato tra post dc e post comunisti, un parto assai tardivo ma non incestuoso del compromesso storico.
Se così è appare anche abbastanza naturale il distacco dal Pse, un impronta genetica troppo recente e, dunque, eliminabile senza dolore per una buona parte dei post comunisti.
Il discorso, peraltro, non si chiude qui perché lascia aperto il quesito su quale cultura risulterà egemonica nel nuovo partito. È lecito presumere che i ds si presentino col bagaglio più leggero avendo fatto piazza pulita del concetto stesso di ideologia, obbligati a una terapia di rigetto nei confronti della socialdemocrazia, incerti su una identità slabbrata tra liberismo e no global. Per contro le margherite post dc trovano nella conciliazione tra fede cattolica e riformismo temperato l´humus su cui far crescere una cultura capace di marcare il futuro partito. Lo si ricava dallo stesso Manifesto dei Democratici, laddove si bolla come "presunta e illusoria" la "neutralità" del laicismo e si rivendica, per contro, il «riconoscimento della piena cittadinanza, dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata, delle religioni». L´empito interventista impresso alla Chiesa dagli ultimi due pontificati - dalla scienza all´etica, dalla scuola alla famiglia - si riverbera sulla diaspora politica del cattolicesimo italiano con una dialettica destinata a farsi sentire su ogni comparto partitico, ancorché separato. Da Togliatti a Ruini il cammino è stato lungo. Le vie della Provvidenza sono infinite e non è detto che il Partito democratico non possa contribuire alla ricostruzione in forme nuove dell´unità politica dei cattolici. Non è detto che sia un male.

MARIO PIRANI da La Repubblica del 19-03-2007

sabato 17 marzo 2007

PD: un balzo nel vuoto

Siamo arrivati a un punto cruciale della storia di questo partito. La prospettiva è quella di un grande balzo. C'è chi sostiene sarà in avanti e chi indietro. Io credo sarà un balzo nel vuoto.
Non siamo ancora arrivati al congresso e già si è deciso cosa fare. Non si aspetta nessun esito, nessun verdetto. Verrebbe da chiedersi: che qualità della politica è mai questa? E' questa la prospettiva del PD? Un partito che si definisce democratico, dove in realtà la volontà del singolo iscritto che intenda veramente partecipare non viene rispettata. Possiamo davvero pensare a grandi soggetti collettivi, inventati per rigenerare il Paese, che nei momenti fondamentali dell'esercizio democratico producono primarie confermative a posteriori e accelerano per realizzare decisioni non ancora prese?
Negli ultimi suoi due congressi il partito dei DS non aveva per niente come piattaforma politica quella del PD, né a Pesaro nel 2001 né a Roma tre anni fa. Eppure nell'ultimo anno non si fa altro che dire che il PD è l'approdo naturale per i DS.

Qui non si discute sull'importanza dell'alleanza con la Margherita: strategica come lo sono tutte le alleanza con gli altri partiti dell'Unione.
Il problema è che un'alleanza politica non è un partito. Un partito deve rappresentare una tavola di valori e progetti comuni.
Questo fondamento nel PD verrebbe decisamente a mancare. Alcuni lo mascherano dietro la parola pluralismo, io invece credo sia un modo per descrivere un contenitore pieno di idee in contrasto tra loro, in sostanza vuoto.
Si vorrebbe che questo nuovo partito sia omogeneo al proprio interno. Ma quando si passerà dalle lodevoli intenzioni alla cruda realtà? Proprio in queste settimane, sulla laicità e sui diritti individuali della persona il futuro PD sta dimostrando quanto poco sia coeso.
Mozione Fassino, mozione Rutelli, Manifesto dei valori: sui punti nodali il semplice raffronto di questi tre documenti è tale da provocare un corto circuito politico. E' quindi evidente che, prima o poi, i nodi sono tutti destinati a venire al pettine.
A livello nazionale questi problemi si vogliono lasciare al dopo, attribuendo al Manifesto dei valori il ruolo di collante. Un lavoro pregevole, ma ricco di genericità e ovvietà. Se non si parte da qualche cosa di solido, il rischio è quello perdersi nella retorica della chiacchiera.
A livello internazionale quale sarà il suo posto in un mondo sempre più dominato da relazioni ed eventi sovranazionali? Si sente dire che il PD sarebbe una sorta di esperimento pilota da esportare nel resto d'Europa, ma non è forse il caso di fare l'operazione inversa, cioè di adeguare l'Italia agli altri stati del Vecchio Continente? Il PSE si è detto disponibile ad accogliere nuovi venuti, ma tutti i dirigenti della Margherita e la mozione congressuale unica di quel partito, dicono con chiarezza: "mai nel PSE".
Questo per quanto riguarda la situazione nazionale ed europea, ma a livello locale le cose non sono meglio. La Margherita trenina ha svolto il suo congresso decisa a procedere per la propria strada confinando ogni discussione sul PD nei salotti buoni. A questo punto la domanda più ovvia è la seguente: ma i DS con chi lo vogliono fare il PD?

La mozione promossa dal segretario Fassino chiama il congresso DS a consentire alla costituzione di un nuovo partito, “democratico”, ma non più “di sinistra”. Dobbiamo prepararci al fatto che la più importante forza della sinistra italiana rappresentata dai DS, sta per compiere una regressione politica e culturale impressionante. La realtà è che i DS non ci saranno più.
Lo scioglimento dei DS è del tutto immotivato. Il nuovo partito non garantirà, come vogliono i suoi sostenitori, una semplificazione della politica né un rinnovamento della classe dirigente. Infatti è tutto da dimostrare che, con il PD, la realtà politica italiana possa ricomporre i suoi frammenti, non basta semplicemente dirlo.
Questo PD è una operazione politica destinata al fallimento ma che purtroppo lascerà dietro di sé danni devastanti per il futuro della sinistra socialista e democratica, poiché non rafforzerà l'Unione, ma al contrario aprirà nuove tensioni al suo interno e ne cambierà gli equilibri politici destinati a spostarsi in senso centrista e moderato.
Per questo diventa prioritario superare le divisioni a sinistra che rappresentano uno dei fattori della crisi italiana. L’obiettivo è quello di una più grande e unitaria forza della sinistra di ispirazione socialista, ossia lo strumento della trasformazione economica e sociale, per noi e per le generazioni del futuro.
Questa situazione richiede ai DS di fermare il percorso di costituzione del PD e superare una pratica di sopravvivenza, ritrovando la propria unità interna e soprattutto con il proprio elettorato: ricominciare a coinvolgere la società dando la possibilità ai cittadini di esprimersi e essere rappresentati.

Fin'ora ho espresso tutti le motivazioni per cui sono contrario al progetto di costituzione di questo PD e per cui sostengo la mozione Mussi.
Ora dico anche quello che voglio. Voglio un partito di sinistra di ispirazione socialista che rinnovi i suoi rapporti con la società italiana, che rappresenti il lavoro, la cultura, l’ecologia, la scienza, l’impresa responsabile, che finalmente apra la porta al protagonismo femminile e conquisti i giovani.
Per questo la sinistra non può e non deve scomparire.

NICOLA PERONI

giovedì 15 marzo 2007

Si può immaginare un’Italia senza la sinistra?

IL RINNOVAMENTO VERO CHE SERVE
Proponiamo un rinnovamento profondo dei Ds, partito del socialismo europeo e dell’Internazionale socialista. Proponiamo una tavola di valori e una piattaforma programmatica più avanzate: nelle politiche economiche, sociali e ambientali; nell’impegno per la libertà e i diritti di tutte e di tutti; nel rinnovamento etico e democratico della politica; nella lotta per la pace e la giustizia del mondo; nella capacità di rappresentare il lavoro. Proponiamo di superare le divisioni a sinistra che rappresentano uno dei fattori della crisi italiana.
Vogliamo contribuire al consolidamento e all’allargamento dell’Unione, che si prefigge di aprire la strada ai profondi e necessari cambiamenti nella società, nell’economia, nella cultura e nell’etica. Vogliamo dare impulso alla partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica.
Indichiamo l’obiettivo di una più grande e unitaria forza della sinistra. Il luogo degli ideali e dell’impegno e della passione civile e politica. Lo strumento della trasformazione economica e sociale, per noi e per le generazioni del futuro.
Serve al mondo. Per realizzare la pace, il disarmo, cambiare i caratteri dello sviluppo globale e indicare l’orizzonte di un nuovo umanesimo, fondato su giustizia e libertà. Serve all’Europa. Per realizzare il progetto di un’Europa unita, democratica e sociale, legittimata dal consenso dei cittadini e protagonista di un mondo multipolare, retto dalla cooperazione e non dalla guerra. Serve all’Italia di oggi per sostenere e rilanciare l’azione del governo Prodi. Il Governo deve durare l’intera Legislatura. A questa maggioranza non c’è alternativa. Serve alla storia lunga del nostro Paese.

CHI È IL PARTITO DEMOCRATICO?
La mozione promossa dal segretario Fassino chiama il congresso Ds a consentire alla costituzione di un nuovo partito, “democratico”, ma non più “di sinistra”. I Ds, la forza principale della sinistra politica italiana, non ci saranno più. In parallelo, la Margherita deciderà la stessa cosa. Il Partito democratico nasce come fusione tra Ds e Margherita. Quale sarà il suo posto nel mondo, in un mondo sempre più dominato da relazioni ed eventi sovranazionali? Il Pse si è detto disponibile ad accogliere nuovi venuti, ma tutti i dirigenti della Margherita e la mozione congressuale unica di quel partito, dicono con chiarezza: “mai nel PSE”.

Fermiamo il treno del Partito democratico
  • un’idea incerta
  • una tavola dei valori confusa
  • una collocazione in Europa fuori dal socialismo
Noi siamo per l’unità di tutto il centrosinistra. Vogliamo un partito di sinistra di ispirazione socialista che rinnovi i suoi rapporti con la società italiana e conquisti i giovani, che rappresenti il lavoro, la cultura, l’ecologia, la scienza, l’impresa responsabile, che apra la porta al protagonismo femminile. Che stia in un rapporto fecondo con le associazioni e i movimenti che operano nel Paese, valorizzando sempre più le forme politiche anche non partitiche. Un partito protagonista già nella battaglia delle idee, che traduca i sogni delle persone in speranza e in azione.

UNA NUOVA POLITICA PER IL FUTURO DELL’UMANITÀ
Apparteniamo alle generazioni che hanno assistito ad un’accelerazione bruciante della globalizzazione.
Apparteniamo alle generazioni che toccano con mano il rischio di una catastrofe ambientale.
Apparteniamo alle generazioni su cui si riversano le promesse infrante della globalizzazione.
Siamo perciò le generazioni che devono affrontare una sfida gigantesca, una riforma profonda della società e dell’economia, la diffusione del sapere a beneficio di tutti, un salto tecnologico che fermi la guerra dell’uomo alla natura, una guerra che l’uomo non può vincere.

6 PUNTI PER COSTRUIRE IL RINNOVAMENTO
  1. UN MONDO PIÙ GIUSTO, UN PIANETA IN EQUILIBRIO, UN FUTURO DI PACE
  2. UN’EUROPA DEMOCRATICA E SOCIALE
  3. QUALITÀ DELLO SVILUPPO
  4. CENTRALITÀ DEL LAVORO: PER UNA PIENA, STABILE, BUONA OCCUPAZIONE
  5. UNO STATO LAICO, I DIRITTI CIVILI, LA LIBERTÀ
  6. DEMOCRAZIA E RIFORMA DELLA POLITICA

Al Congresso di sezione vota la mozione 2 che candida Fabio Mussi alla segreteria del partito

martedì 13 marzo 2007

Bressanini ha fatto bene – I DS e il Titanic

Ottorino Bressanini ha dato le dimissioni dalla Giunta Provinciale. Questa volta un esponente dei DS ha dato le dimissioni, anziché iniziare minacciose inconcludenti manfrine che si sono ripetute così spesso in questa legislatura tanto da far ritenere a tutti che ormai, quando la delegazione DS protesta e minaccia non si tratti mai di un ultimatum, semmai di un penultimatum, che scompare entro i tempi di una verifica. Le dimissioni offrono lo spunto per una riflessione che è importante per i DS del Trentino, per cercare di trasformare questa situazione in una positiva opportunità per il partito, ma anche l’intera coalizione del centrosinistra. Non si pone il problema di rivincite, ma certo una forza politica indipendente e di solide tradizioni, come sono i DS, deve governare per i trentini tenendo conto delle aspettative dei suoi elettori. Il problema che ha posto Bressanini è inerente la rappresentanza, non la governabilità. La tenuta della coalizione a livello provinciale è sotto gli occhi di tutti è dovuta a Dellai. Il risultato elettorale gli ha consentito di formare una maggioranza, se non politica almeno numerica, a prescindere dal suo principale alleato, i DS. Il suo ruolo non può che riproporlo per la prossima legislatura come candidato, anche a sinistra, alla carica di Presidente della Provincia. L’occasione delle dimissioni, che spero rientrino per modifica del quorum nel senso richiesto dall’assessore dimissionario, però consente di chiarire talune situazioni oggi, per arginare l’offensiva del centro destra, e per affrontare il biennio che ci separa dalle elezioni con quello spirito unitario che costituisce il cemento indispensabile per vincere le elezioni del 2008. I DS stanno conducendo, a livello locale, un congresso per la formazione del Partito Democratico che sempre più assomiglia alla traversata del Titanic. L’unica cosa che ancora non si sa è quando troverà l’iceberg contro cui schiantarsi. Intanto, proprio come per il Titanic sul ponte l’orchestra suona: i congressi di base si chiudono con percentuali “bulgare” a favore del partito democratico, il gruppo dirigente ne è orgoglioso. Quel che forse non seguirà i piani previsti è che il finale di questo percorso, proprio come nel caso del Titanic, sia uno schianto, un’implosione politica. In sede locale la Margherita ha svolto il suo congresso decisa a procedere per la propria strada. Lunelli, il coordinatore, ha confinato ogni discussione sul partito democratico nei salotti buoni. I DS ora non possono più confondere la propria strategia con passaggi tattici quale a questo punto diventa il Partito Democratico in Trentino.
Il sussulto d’orgoglio di Bressanini credo possa giovare al partito se serve per ribadire a chiare lettere che per i DS non esistono alternative all’attuale centrosinistra, ma se affermano altrettanto chiaramente che la loro partecipazione al governo provinciale va vista all’interno di un’alleanza rispettosa del ruolo tutti i partecipanti e che trova la sua bussola, che è il motivo per stare insieme, nella taratura del programma di coalizione, non nell’affidamento plebiscitario al “principe”. Questa situazione richiede ai DS di fermare la nave del Partito democratico, rinsaldare la propria unità, interna e con il proprio elettorato, superare una pratica di sopravvivenza, parlare alla società e coinvolgerla, perché questo, ben prima che l’esistenza o meno dell’ambito della Rendeva, è il tema posto da Bressanini: la possibilità per i cittadini di esprimersi, la possibilità di ridar loro rappresentanza.


FERRUCCIO DEMADONNA - esponente della sinistra DS mozione Mussi

martedì 6 marzo 2007

Rinviata la presentazione a Trento della Mozione Mussi

In relazione alla grave situazione verificatasi con la crisi del Governo Prodi la riunione di presentazione della Mozione Mussi prevista per sabato 24 febbraio a Trento presso l'Hotel America è rinviata a data da destinarsi.

venerdì 2 marzo 2007

I valori dei democratici

Un manifesto non è un programma. A quello del partito democratico (ma non sarebbe più corretto chiamarlo «per il partito democratico?») non si può muovere l´obiezione di ridondanza dei valori rispetto alle proposte. Anche se, nell´enunciarli, bisognerebbe evitare genericità e ovvietà.
Credo che uno dei migliori manifesti politici prodotti nell´Italia repubblicana sia stato quello socialista del 1987, «dei meriti e dei bisogni», così noto dal titolo della principale relazione di Claudio Martelli. Si svolgeva, come una buona sinfonia, su due tonalità: quella liberale, del riconoscimento dei meriti e della competizione; e quella socialista, dei diritti sociali e della solidarietà. Com´era naturale, per un manifesto socialista, anche se le due tonalità erano bene integrate (fu quella la novità) la dominante era la seconda.
Anche il manifesto dei democratici si svolge su quelle due tonalità. Mi sembra però che la tonalità dominante sia la prima. Ma non voglio fermarmi a questa impressione, per svolgere qualche breve, necessariamente, considerazione nel merito. Ci sono, a mio parere, nel Manifesto, cose ottime, cose buone, anche se parziali, mentre mancano, sorprendentemente, cose essenziali per un partito democratico che dovrebbe stare, così continuo a pensare, a sinistra.
E´ cosa ottima, anzitutto, che sia scritto in buon italiano, non in politichese. E anche che si apra con una dichiarazione d´amore per l´Italia, cui segue una giustamente impietosa denuncia delle sue magagne. Sono ottimi i richiami a principi e valori fondamentali, come l´eguaglianza delle opportunità, l´indignazione di fronte alla minorità della condizione femminile, il riconoscimento del merito nelle carriere, della concorrenza nei mercati, dell´efficienza dell´amministrazione, la piena e buona occupazione, la lotta contro l´emarginazione sociale, la formazione permanente per tutto l´arco della vita, i diritti dei disabili, il superamento dell´oligopolio televisivo, la promozione di centri di eccellenza nelle Università, l´accoglienza e la promozione della cittadinanza per gli immigrati integrati, l´affermazione della legalità a tutti i livelli, la riforma elettorale bicamerale, tante altre cose maggiori e minori che non posso elencare.
Tuttavia queste enunciazioni mancano spesso di indicazioni di riforme istituzionali che, senza scendere ai programmi particolari, consentirebbero di saggiarne la concretezza.
Per esempio. Si capisce che un´amministrazione debba essere efficiente e rendere buoni servizi ai cittadini e alle imprese. Ciò comporta che essa sia riformata da capo a piedi secondo il principio della programmazione strategica, largamente applicato in altri paesi, come gli Stati Uniti e la Francia: altrimenti si resta nella solita perorazione.
Per esempio. E´ bene evocare le potenzialità del volontariato: ma occorrerebbe, perché esse si realizzino, promuovere l´organizzazione di un vero e proprio terzo sistema di prestazioni democratiche e gratuite, come complemento essenziale di una welfare society, che integri il welfare state.
Per esempio: è bene richiamare la piena (e buona) occupazione come cardine della politica democratica: ma senza un sistema di assicurazione contro la disoccupazione, di avviamento permanente al lavoro e di previdenza sociale dei disoccupati, il proposito resta tale.
Per esempio. E´ giusto denunciare la povertà e l´emarginazione sociale. Ma senza concreti istituti, come il reddito sociale di base, resta solo la denuncia.
Per esempio. E´ giusto chiedere più concorrenza nei mercati. Ma senza autorità di controllo vere, e cioè provviste dei necessari poteri di intervento diretto, resteremo alle grida.
Per esempio. E´ bella la formazione permanente. Ma senza una legislazione specifica e una riforma profonda della scuola nel suo insieme per integrare questa funzione fondamentale, anche questa resterà nei «prossimamente».
E che cosa dire della mancanza di ogni accenno alla organizzazione della sanità? E a quel piano decennale dell´ambiente che pure era stato proposto come risposta agli sconquassi del territorio, all´inquinamento e al disordine del traffico?
Ci sono perplessità più gravi. Quanto alla questione della laicità. Il rispetto per la religione, mi pare, non dovrebbe comportare alcun riconoscimento della sua «rilevanza nella sfera pubblica» e «le energie morali che scaturiscono dall´esperienza religiosa» riguardano esclusivamente la sfera privata e non gli «elementi vitali della democrazia». Non sarebbe male inoltre che un manifesto che si ispira al pensiero liberale riproponesse l´antico motto del conte di Cavour.
E sempre tra i principi generali, manca del tutto una posizione chiara sui rapporti che devono stabilirsi tra il mercato e la società. Economia di mercato, sì. Società di mercato, no. Questo, avremmo voluto leggere. Tra i punti del manifesto a mio avviso insoddisfacenti c´è l´Europa. Alla quale si tributa grande importanza, senza però richiamare, anche qui, gli impegni nei quali essa troverebbe la sua espressione più concreta: come, nell´immediato, il compimento dell´Unione Economica e, nella prospettiva, quello del grande disegno «spinelliano» degli Stati Uniti d´Europa.
Vengo infine a quelle che mi sembrano le lacune più sorprendenti, e il punto più critico. Sono stato e resto un sostenitore della formazione di un grande partito democratico e riformista: ma come soggetto che indichi una strada di riforme sociali e politiche di portata pari alle sfide che si pongono alla democrazia nel nostro tempo; e partendo da una collocazione storica e geopolitica ben precisa.
Quanto al primo punto, Non vedo ancora, nei pur volenterosi propositi enunciati, una visione di insieme delle riforme necessarie per contrastare la deriva liberistica e mercatistica in atto nel mondo. Quanto al secondo. Resta la irreperibilità europea. Un partito privo di una sua collocazione europea, ove i fronti tra destra e sinistra sono chiari e distinti, non è nuovo, è semplicemente sans papiers. Nel momento in cui il partito del Congresso indiano chiede di aderire all´Internazionale Socialista il partito democratico italiano dovrebbe costituirsi in un´area indeterminata, con un pudico accenno alla collaborazione con il partito socialista europeo. Quando si dichiara presuntuosamente superata la socialdemocrazia e ci si propone di «creare un nuovo campo di forze che colmi la carenza di indirizzo politico» si dimentica che la socialdemocrazia aveva un pensiero forte e proposte istituzionali che cambiarono lo Stato e fecero avanzare la democrazia. Se non si parte da qualche cosa di solido, si abbandona il solco della storia per perdersi nella retorica della chiacchiera.

Giorgio Ruffolo da La Repubblica del 02-03-2007