lunedì 30 aprile 2007

Nasce "Sinistra Democratica per il socialismo europeo"

Il prossimo 5 maggio, al Palazzo del Congressi dell'Eur, nascerà il Movimento della Sinistra democratica per il socialismo europeo, costituito dagli esponenti della Sinistra DS (Mussi, Salvi, Bandoli e Spini) usciti dal partito al congresso di Firenze, appuntamento al quale e' stato invitato anche Gavino Angius.
Il passo iniziale di Sinistra Democratica, sara' la costituzione di gruppi
autonomi alla Camera e al Senato: il terzo gruppo per consistenza numerica del centro sinistra.


Fabio Mussi citando l'intervento del presidente del Senato Franco Marini al congresso della Margherita: "E' necessario lavorare alla riunificazione della sinistra anzitutto per garantire che l'asse del governo non scivoli verso il centro. Mi ha molto colpito l'intervento di Marini: 'nella prossima legislatura il Pd deve avere le mani libere'. Cosa vuole dire 'avere le mani libere?' Vuol dire marginalizzare la sinistra, per accordarsi con l'Udc? Non credo che basti per governare", chiosa il ministro dell'Universita'. Quindi "occorre scongiurare l'apertura di una stagione neocentrista" e nel contempo "smontare la macchinetta ideologica delle due sinistre: quella riformista e quella radicale".
Si tratta di "ribaltare i luoghi comuni", che hanno tenuto aperte divisioni del passato, aggiunge Mussi, di guardare il futuro con l'ottica del socialismo che mette al centro dei suoi programmi dei suoi valori, il lavoro, le libertà, i diritti, la pace, lo sviluppo sostenibile.
"Ma sento anche dire che occorre 'andare oltre' -ha proseguito Mussi, avvertendo il rischio di un radicalismo troppo accentuato che potrebbe bloccare sul nascere ogni processo di riaggregazione- talvolta questa espressione viene letta come 'tornare indietro', a un passato superato, e questo non va bene. Il nostro obiettivo deve essere un partito politico, il cammino è lungo, si può fare insieme se ci mettiamo d'accordo su una cosa: dobbiamo fare una forza della sinistra critica, larga, plurale, ma di governo. Siamo disponibili, alla pari, senza rivendicare primazie ma tenendo conto che il tempo non e' molto. Dobbiamo provarci e chissa' che stavolta non ce la facciamo".

Giovanni Russo Spena concorda: "Il dibattito di Uniti a sinistra -ha affermato il capogruppo del Prc al Senato- ha rappresentato un passo sostanziale verso l'edificazione di un soggetto unitario di sinistra. Nel confronto tra le diverse aree di sinistra si e' evidenziata l'esistenza di un terreno culturale comune, che va oltre la stessa agenda politica a breve e autorizza a scommettere su un soggetto unitario le cui ambizioni non si limitano alla contingenza politica immediata. Un soggetto capace di rappresentare quella larga fascia di popolo di sinistra che non si puo' riconoscere nelle posizioni del Pd e, allo stesso tempo, di innovare profondamente le forme della rappresentanza".

"Le ipotesi messe in campo -ha continuato Russo Spena- indicano da subito cosa si debba intendere per 'cantiere della sinistra': un lavoro culturale e politico ma anche, da subito, organizzativo. Nelle istituzioni, con i patti di consultazione tra i diversi gruppi in parlamento e negli enti locali e, soprattutto, sul territorio, con le
le 'case della sinistra' proposte da Uniti a sinistra. Tuttavia -ha concluso- in questa fase i tempi sono importantissimi e sono del tutto d'accordo con quel che ha detto Fabio Mussi: dobbiamo sapere che il tempo a disposizione non è infinito".

"Di fronte a noi -gli ha fatto eco Pietro Folena- abbiamo 5-6 mesi decisivi, anche per il governo. Davanti alla questione salariale e al rinnovo di certi contratti di lavoro, la sinistra non puo' permettersi cedimenti di sorta". Allora il promotore
di Uniti a sinistra, ha auspicato che "l'azione politica quotidiana che si puo' fare in parlamento attraverso il coordinamento dei gruppi, possa favorire la convergenza e rafforzare la ragioni di un progetto comune".

"Il Pd che non abbia alla sua sinistra un soggetto altrettanto forte e strutturato -ha osservato il verde Paolo Cento- sara' tentato, al termine di questa legislatura, di fare un'alleanza stabile con il
centro moderato. Dobbiamo fare presto, assumendo alcune iniziative immediate: il 'patto di consultazione' va bene ma va arricchito con un'assemblea dei parlamentari che si riconoscono nel progetto di riunificazione della sinistra. Dovremo dare vita al piu' presto a una Costituente, dove ognuno puo' stare con la propria identita' e con la consapevolezza che non esistono partiti autosufficienti e che al suo interno ci sia un ruolo forte anche per i movimenti".

Un partito a corto di idee

Cosa può spingere alla creazione di una nuova formazione politica? La fondazione del Partito democratico (Pd) annunciata dagli ultimi congressi dei Ds e della Margherita tra il 20 e il 22 aprile non ha risposto a quest’interrogativo. Eppure è una questione fondamentale per capire quale sarà il destino del Pd e perché finora questo nuovo partito non ha suscitato entusiasmo tra militanti e cittadini.
I progetti innovativi, gli eventi storici, economici o sociali più rilevanti o l’emergere di un leader carismatico hanno sempre costituito le basi per la nascita di nuove forze politiche. Da questo punto di vista, il Pd nasce debole e in ritardo all’appuntamento con la storia. Il superamento delle divisioni tra sinistra moderata e centristi, che avevano caratterizzato la guerra fredda, sarebbe dovuto avvenire molto tempo fa.
Soprattutto perché la caduta del muro di Berlino aveva messo in evidenza la crisi strutturale della sinistra e la necessità di aprire un dialogo con il centro. Sulle sue nuove idee, il Pd è molto vago, come testimonia il manifesto senz’anima elaborato dai saggi del partito. Il Pd sarebbe anche potuto nascere dopo la vittoria di Silvio Berlusconi nel 2001, quando molti cittadini chiedevano a gran voce un’opposizione unita (anche per avere più possibilità in un sistema elettorale maggioritario). Ma gli stati maggiori dei partiti hanno preferito rinviare il progetto, accontentandosi di un’alleanza elettorale di basso profilo e oggi quella necessità “storica” non c’è più (visto che Berlusconi è all’opposizione e si vota con il sistema proporzionale).
Il Pd avrebbe potuto essere il partito di un leader, come l’Ump francese, che è nato per sostenere Jacques Chirac e oggi Nicolas Sarkozy. Prodi era il candidato naturale ma non ha fatto abbastanza per sottolineare la sua leadership. In questo modo lascia sul Pd, già dalla sua nascita, l’ombra di una guerra tra capi che infastidisce l’opinione pubblica.
Il Partito democratico poteva essere una vera innovazione politica, una ventata di modernizzazione nella società, e invece somiglia a quelle fusioni fatte dalle grandi aziende che si alleano per non farsi spazzar via dalla concorrenza, senza avere una vera politica industriale. Il Pd nasce in particolare dal fallimento del gruppo dirigente dei Ds che, dal 1989, non ha saputo trasformare l’ex Pci in una grande formazione di centrosinistra capace di dialogare con una vasta area del paese. L’anno scorso i Ds si sono fermati al 17 per cento e l’unione con la Margherita suona come l’ammissione di questa sconfitta.
Per tutti questi motivi il Pd sembra senza fiato, senza energia. I primi sondaggi lo danno intorno al 25 per cento. Ha già perso pezzi importanti con la defezione di Fabio Mussi e di Gavino Angius. Inoltre dovrà affrontare nei prossimi mesi sfide notevoli, a partire dalla nuova legge elettorale. Il cammino è tortuoso e difficile.
Non solo: tra il Pd e la sinistra radicale si è aperto uno spazio politico per una forza socialista, moderna e laica. Finora lo Sdi, e i radicali, non hanno saputo approfittarne anche per mancanza di un vero leader. I dirigenti del Pd possono sperare dunque che continueranno a votarli per forza di inerzia e turandosi il naso.
Oppure possono provare a ritrovare la linfa che aveva fatto muovere i primi passi dell’Ulivo più di dieci anni fa.
Questa forza propulsiva potrebbe forse venire dalle presidenziali francesi. Un successo di Royal con il sostegno degli elettori centristi darebbe in effetti una enorme boccata d’ossigeno al Pd. Ma se Royal dovesse perdere...

di ERIC JOZSEF (corrispondente del quotidiano francese Libération e del giornale svizzero Le Temps)

Alfiero Grandi e l'eredità di Lombardi e Berlinguer

Un nuovo soggetto che riunisca, raggruppi ed unifichi le tante anime della sinistra su un progetto politico che riprenda l'eredità di grandi personalità che hanno lasciato il segno nella sinistra italiana come Lombardi e Berlinguer. A parlare è il sottosegretario all'Economia, Alfiero Grandi, un passato diviso tra la Cgil, il Pci prima poi Pds e infine Ds. "Se penso alla geniale idea della programmazione lanciata da Lombardi negli anni '60 - osserva Grandi - essa è ancora oggi di grandissima attualità: la politica deve riappropriarsi e guidare i processi economici e non subirli". La programmazione economica era parte della strategia politica che Lombardi chiamò 'riforme di struttura' o, meglio ancora, 'riformismo rivoluzionario', nota Grandi ed aggiunge: "riformismo rivoluzionario di cui si sente e c'è assoluto bisogno". E questa strategia politica si amalgamò con il riformismo 'padano' della Cgil di Di Vittorio e Santi. "Mi colpisce molto - nota il Sottosegretario all'Economia - questa forte tensione di rifarsi e riappropriarsi di alcuni, i migliori, punti di riferimento della sinistra italiana: ed in questo contesto ha il suo grande spazio la moralità, la coerenza e lungimiranza di Enrico Berlinguer". Qualità che furono anche di Lombardi - osserva Grandi - assemblate a una onestà mai messa in discussione. Il trio Mussi-Salvi-Angius, la ex-sinistra Ds, si accinge a lanciare il 5 e 6 maggio prossimi "una proposta, un progetto per un nuovo soggetto politico" e poi, spiega Grandi, "a costruire un percorso" che porti entro le europee del 2009 "al nuovo soggetto politico". E a questo processo fondativo daranno il contributo numerosi dirigenti della Cgil. "Il nostro obiettivo è questo: spero che l'operazione riesca bene - conclude Grandi - il Pd del resto ha lasciato uno spazio enorme, una prateria a sinistra che va occupata riunificando le tante tribù, le tante anime, superando la frammentazione".

domenica 29 aprile 2007

Uniti a sinistra si può

Si è svolta al Centro Congressi Cavour la quarta assemblea nazionale "Uniti a Sinistra", associazione nata nel settembre dello scorso anno, che si propone di costituire un movimento politico e culturale per contribuire alla costruzione di un nuova realtà capace di raccogliere le sfide nazionali ed europee di nuovo secolo.
Dopo i congressi della settimana precedente di Ds-Dl, che hanno praticamente certificato la nascita del Partito democratico, l'appuntamento era particolarmente atteso, in considerazione delle scelte da operare in conseguenza del nuovo scacchiere politico che va progressivamente delineandosi in Italia.
L'apertura del dibattito viene naturalmente affidata a Pietro Folena, animatore quella "Sinistra romana" promotrice del cantiere "Uniti a Sinistra", che già raccoglie molte a varie organizzazioni.
"Cosa significa essere oggi di sinistra'", si chiede subito il presidente della Commissione cultura alla Camera, sottolineando l'importanza di dare vita a "una rete di singoli e associazioni", tesa a "riformare la politica attraverso una sinistra partecipativa e democratica". I passaggi più importanti toccano temi la quali profonda crisi politica e democratica che attraversa l'intero occidente, nitidamente rappresentata da una amministrazione americana che, in nome della lotta contro il terrorismo, ha addirittura rimesso in discussione il concetto di "habeas corpus".C'è poi la questione del lavoro "ridotto a merce" da una economia globalizzata sempre più colpevole di un "disordine contronatura", che da un punto di vista ambientale mette a rischio l'intero genere umano.
Una riflessione, questa, recuperata dall'intervento di Paolo Cento, che ha chiamato in causa la questione ecologica come emergenza prioritaria da mettere in cima all'agenda della sinistra del prossimo futuro.
Prima del rappresentante dei verdi, erano stati Maura Cossutta e Giovanni Russo Spena a prendere la parola, impostando i loro discorsi rispettivamente sull'importanza di una reale e concreta presenza femminile nell'immaginario di una nuova formazione politica, e sul particolare momento che sta vivendo il panorama elettorale nazionale, che chiede "qui e ora" risposte certe e convincenti al desiderio di partecipazione collettiva e all'esigenza di anteporre i contenuti ai contenitori, già troppo spesso alla fine risultati vuoti e artificiali.
Molto atteso, in virtù di quanto accaduto nel corso dell'ultimo congresso dei Ds a Firenze, era l'intervento di Fabio Mussi, leader della "Sinistra democratica per il socialismo europeo", che verrà presentata sabato 5 maggio al Palazzo dei Congressi.
"Ricambio l'invito di oggi per la giornata del 5 maggio -è stato l'esordio di Mussi-: una giornata che deve anch'essa contribuire al raggiungimento in tempi ragionevoli di conclusioni politiche solide. Il nostro compito -ha proseguito-, è quello di contrastare il possibile deragliamento conservatore che potrebbe verificarsi già nel corso di questa legislatura, durante la quale un abbraccio troppo "moderato" tra forze politiche attualmente non alleate si profila all'orizzonte, viste anche alcune considerazioni del presidente del Senato Marini al congresso della Margherita". Secondo Mussi, parte da qui l'esigenza di una sinistra elettoralmente coesa ed elettoralmente forte, per scongiurare nuove identità politche neocentriste, e tenere ferma la barra del centrosinistra.
Poi si sofferma sul rapporto con i "compagni di viaggio" appena interrotto: "Quando D'Alema in questi giorni mi dice. "Dove vai, che dobbiamo vederci in Consiglio dei Ministri'", gli rispondo che nel Consiglio non c'è soltanto lui, ma anche Bianchi, Ferrero, Russo Spena". L'applauso dalla platea, dove in prima fila siedono tra gli altri Armando Cossutta, Aldo Tortorella, Sandro Curzi, Tiziano Rinaldini e altri nomi di rilievo dell'articolata sinistra italiana, arriva intenso e sentito, come quando la conclusione è concentrata sulle idee da portare avanti nell'immediato futuro.
"Si parla continuamente di estremisimi, ma spesso le parole e le idee diventano luoghi comuni, proprio come scriveva Gramsci. Perchè oggi estremismo significa sostenere le guerre preventive come unica soluzione al terrorismo, o non curarsi di tutta quella sterminata massa di cittadini che sopravvivono immersi nel dramma del precariato".
Ma le idee contano ancora chiosa Mussi, soprattutto quelle chiare e precise, e ancor di più quelle sbagliate, che finiscono per influenzare negativamente l'opinione pubblica, causando la deriva della società, politica e civile, cui assistiamo oggi. Ribaltare i luoghi comuni, come indicava Gramsci, diventa allora un dovere dal quale non ci si può più sottrarre.
Uniti, a sinistra, si può.

di EMILANO SBARAGLIA da AprileOnline del 29-04-2007

sabato 28 aprile 2007

Appello di Fabio Mussi e Gavino Angius: la scomparsa dei Ds pone l’esigenza di ripensare tutta la sinistra italiana

Abbiamo condotto la battaglia congressuale all’interno dei Democratici di Sinistra da posizioni diverse. Ora ci troviamo insieme per affermare la necessità storica che anche in Italia, oggi e domani, sia presente un’autonoma forza democratica e socialista, laica, riformista e ambientalista parte integrante del Pse. Di governo.
Le idealità e i valori del socialismo moderno, aperto alle nuove culture, danno forza all'Europa e a quanti non si rassegnano alla ineluttabilità della guerra, e non accettano così profonde disuguaglianze del mondo contemporaneo, messo a rischio di sopravvivenza dalla devastazione ambientale e dai cambiamenti climatici, indotti dall’attuale modello di globalizzazione e di sviluppo.
L’Italia ha bisogno di una grande rigenerazione morale, politica, sociale, culturale e civile. E' un compito che vede impegnate nel governo del Paese, per la prima volta nella storia della repubblica tutte le forze del centrosinistra di diversa ispirazione politico culturale. Il Paese deve essere ben governato per rinnovarsi e restare così ancorato al gruppo di testa dei paesi fondatori dell’Ue. Per fare ciò, oggi, il governo ha bisogno della massima coesione e determinazione di tutta l’Unione. A tal fine continueremo a dare tutto il nostro contributo affinché il governo Prodi realizzi il suo programma nel corso della legislatura.
La scomparsa dei Ds pone l’esigenza di ripensare tutta la sinistra italiana. L'apporto che vogliamo dare è quello di contribuire a far sì che, dopo decenni di divisioni e di rotture, maturi in tutte le diverse componenti della sinistra italiana l'esigenza - ormai improrogabile - di una netta inversione di rotta, offrendo alla società italiana una sinistra che, nelle sue distinte peculiarità, ritrova la sua missione unitaria di rappresentanza e di governo. Per noi questo percorso non può più essere rinviato. Deve iniziare subito.
Per questo diamo appuntamento a tutti coloro che non considerano esauriti i valori e la forza della sinistra e del socialismo europeo a Roma, il 5 maggio alla Manifestazione per dare vita al movimento della "Sinistra Democratica per il Socialismo europeo". Movimento diffuso su tutto il territorio nazionale, radicato nel mondo dei lavori, della cultura, delle nuove generazioni. Che assume il rinnovamento della politica, forme nuove di partecipazione e la “questione morale” nel suo programma fondamentale.

Allez Ségolène!

Già durante la campagna congressuale avevamo cercato, spesso invano, di avvertire che il nome Partito Democratico non era un nome nuovo, da accostare al riferimento fascinoso del partito democratico americano. Avevamo sottolineato che andando su internet si trovava che il partito democratico europeo esisteva già e che ne erano co-presidenti François Bayrou e Francesco Rutelli e presidente onorario Romano Prodi. Tra l'altro il Partito Democratico americano aveva a suo tempo assorbito le formazioni locali socialdemocratiche, espressione nel middlewest dell'emigrazione tedesca e svedese. Il partito democratico europeo è nato con l'idea di sfrangiare, indebolire e ridimensionare il Partito del Socialismo Europeo. Le elezioni francesi ne hanno dato una chiara dimostrazione.
François Bayrou ha condotto la sua campagna elettorale sia in positivo, sulle sue idee e proposte, ma anche in negativo, contro il bipolarismo gollisti-socialisti. Naturale quindi che dopo il primo turno non abbia inteso dare una indicazione di voto, preferendo puntare sulle elezioni legislative che seguiranno per cercare di consolidare una sua forza parlamentare.
Che Romano Prodi o Francesco Rutelli guardassero con solidarietà e simpatia a Bayrou non ci ha certo sorpreso. Era conseguente alla loro collocazione politica. Ma che i Ds, partito della sinistra italiana, accettando di assumere il nome Partito democratico di fatto facilitassero una strategia, non diretta ad allargare il Partito del Socialismo Europeo, quanto a contenerlo e a ridimensionarlo, è stato veramente sorprendente.
Nessuno dubita che Piero Fassino si sia speso affinchè almeno al secondo turno Prodi e Rutelli si pronunciassero per Ségolène Royal, ma rimangono una serie di fatti sui quali non possiamo non assumere un atteggiamento di critica e di rincrescimento. La candidatura di Ségolène Royal si presentava come innovativa, sia all'interno del partito socialista, che nello stesso fatto di essere la candidatura di una donna. Poteva meritare un sostegno già al primo turno, ma Prodi e Rutelli hanno preferito inviare il loro a François Bayrou suscitando la legittima reazione di François Holland al meeting dei leader socialisti a Berlino.
Quando poi François Bayrou ha scelto il nome di partito democratico, è stato chiaro che gli era stato consentito di giocare sugli effetti di identificazione con l'omonimo partito italiano. Con buona pace delle esponenti ds del neonato pd che hanno cercato di identificarsi con la candidata socialista francese.
Credo di essere al momento l'unico italiano che ha firmato un accordo con Ségolène Royal. Lo dico naturalmente in tono scherzoso: si trattava di un accordo relativo all'istituzione di un "santuario" mediterraneo per la protezione dei mammiferi marini che firmammo a Bruxelles il 22 marzo 1993 in qualità di ministri dell'ambiente francese e italiano. Lo ricordo perché sarebbe veramente da auspicare che una vittoria di Ségolène Royal potesse portare a molti punti di convergenza con l'unione di centro sinistra anche in Italia, a tanti accordi politici rilevanti franco-italiani. Per esempio che accoppiassero ad una ripresa del discorso istituzionale europeo quello di un programma economico e sociale che attirasse le simpatie del nostro continente. Ségolène Royal aveva chiuso la sua campagna elettorale del primo turno con un grande comizio a Tolosa insieme a Luis Zapatero. A quel comizio c'era idealmente anche la nostra mozione insieme a tutti quelli che vogliono unire in Italia la sinistra democratica all'insegna del socialismo europeo.
Vorrei sottolineare che Ségolène Royal ha sfondato tra i giovani. I sondaggi infatti le attribuiscono il 34% del voto degli elettori compresi fra i 18 e i 24 anni.
Anche questa è una smentita che il socialismo guarderebbe all'indietro mentre qualcun altro guarderebbe in avanti. E' chiaro che per Ségolène Royal vincere non è affatto facile: il primo sondaggio la dava al 46% contro il 54% del candidato della destra Nicolas Sarkozy, ma non è una posizione che la tagli completamente fuori dalla corsa e quindi da una possibilità di vittoria. Alla fine un ballottaggio è anche un confronto tra due persone oltre che tra le forze politiche e le alleanze che le sostengono. E il candidato della destra è per l'appunto molto di destra, e se dovesse vincere darebbe alla destra un grande potere sulla vita politica e sociale francese. E quindi:...allez Ségolène !

di VALDO SPINI da AprileOnline del 27-04-07

venerdì 27 aprile 2007

Primi appunti programmatici per una sinistra di governo nel Trentino

Partendo dal dato che l' emergenza prima, in Trentino, come a livello più generale, è quella del lavoro, che deve venir garantito entro gli stretti e irrinunciabili paletti dello sviluppo compatibile e della dignità e sicurezza dei lavoratori, cosa può e devono fare qui nel Trentino, la scuola , l'università, la cultura, la ricerca per dare risposta all'impellente domanda di lavoro delle giovani generazioni senza creare pericolose illusioni sulle "magnifiche sorti progressive " del Trentino?

L'investimento nella Ricerca scientifica: il permanere, anche se in forme via via più ridotte, di ingenti risorse finanziarie provinciali, deve vedere una più coraggiosa, direi quasi ardita, volontà di scelta. Tagliare i rami secchi che non hanno prodotto nella lunga sperimentazione dell'IRST, dai tempi di Stringa in poi, concentrando gli investimenti su poche linee davvero competitive in campo internazionale. Ridimensionare negli Istituti umanistici ( ex ISIG-ISR ) il filone legato alla "confessionalità" della chiesa tridentina, dando davvero spazio alle scienze religiose intese come approccio plurale, potenziare la ricerca in campo storico senza la presunzione di fare di Trento il luogo della mediazione fra mondo germanico e italico ( con la creazione delle "due regioni"Bolzano e dell'EURAC diventano il luogo naturale dell'interfaccia fra i due mondi).

L'Università di Trento: l'espansione incontrollata delle lauree triennali generaliste, che sta portando ad una pressione studentesca insopportabile per la città va decisamente frenata. L'esistenza di luoghi e laboratori di ricerca ( Fondazione Kessler, Musei, accademie, ecc.) crea le condizioni per una concorrenzialità di Trento rispetto ad altre sedi soprattutto per le lauree specialistiche e i dottorati, meno impattanti dal punto di vista della demografia studentesca, e più produttive in termini di ricaduta occupazionale a livello nazionale e internazionale, onde evitare il pericolo che l'università di Trento diventi davvero, come Livia Battisti temeva negli anni sessanta, una fabbrica di impiegati provinciali dequalificati.
Lo stesso sviluppo edilizio dell'Università, incontrollato e non armonizzato urbanisticamente con il resto della città, va ricondotto sotto controllo, ridando alla politica il ruolo fondamentale di programmazione edilizia appaltato ormai da lungo tempo agli organismi interni universitari, per loro natura irresponsabili rispetto alle scelte di compatibilità territoriale che spettano alla comunità politica nel suo insieme.

Le istituzioni culturali: il sistema museale trentino,composto in gran parte da enti funzionali provinciali che sempre più negli anni hanno finito per sottrarsi ad ogni logica di coordinamento seguendo uno sviluppo che non tiene in alcun conto le compatibilità complessive del sistema trentino, rischia di deragliare, come dimostrano la recente polemica sul ruolo della Galleria civica di Trento, le ricorrenti polemiche sul Museo degli Usi e Costumi di San Michele, o la discussione sul gigantismo o meno del MART. Di fronte te al progressivo ridursi delle risorse pubbliche, su cui si basa gran parte dell'attività culturale, impone una più stringente azione di coordinamento delle iniziative e dei progetti, che porti ad una riduzione dei fin troppo evidenti sprechi di risorse in atto. La logica, tutta di lontana matrice dorotea, di finanziamento a pioggia della miriade di associazioni vere o presunte di carattere culturale, in realtà prevalentemente ricreativo-turistiche, devono trovare la loro sede naturale di finanziamento nell'ambito che è loro proprio, lasciando più spazio per il finanziamento di iniziative culturali sperimentali in senso stretto, iniziative di cui si sente la mancanza in Trentino.

Il settore istruzione: l'appalto a livello tecnico e non politico delle competenze nel campo della scuola nasconde in realtà la volontà di sottrarre alla regia pubblica un settore strategico come quello della formazione delle nuove generazioni, settore che va ricondotto sotto responsabilità politiche: la campagna referendaria per il potenziamento della scuola pubblica deve vedere impegnato tutto il fronte autenticamente riformatore della sinistra trentina: il finanziamento alle scuole confessionali cattoliche, oltre che sottrarre preziose risorse ad una scuola pubblica sempre più in difficoltà nell'opera di integrazione dei nuovi cittadini di provenienza extracomunitaria, apre una pericolosa breccia a future rivendicazioni da parte di confessioni religiose dai connotati integralistici che finirebbero per mettere in pericolo la civile convivenza, aprendo anacronistiche guerre di religione.

VINCENZO CALI'

mercoledì 25 aprile 2007

Sinistra democratica trentina allo stato nascente

Ora che nasce il movimento "Sinistra Democratica" e viene annunciata da Salvi la costituzione al Senato del gruppo autonomo, è bene prepararsi ad una assemblea provinciale per decidere il da farsi anche qui in Trentino, dove vi è molta confusione sotto il cielo (l'intervista dell'Adige al duo Lunelli-Andreolli chiarisce che il calendario del processo costituente del PD non c'è ancora, mentre Giorgio Tonini parla già di una Orvieto trentina da tenersi a giugno). Nel frattempo avendo Angius deciso di non aderire al processo costituente del PD, ed essendo poco probabile che chi ha aderito alla mozione 3 in Trentino lo seguirà, l'occasione è propizia per l'apertura di un cantiere della sinistra, aperto a tutti gli interessati e mirato ai punti programmatici da condividere con le forze dell'Unione che intenderanno proporsi alla guida del Trentino per la prossima legislatura.

VINCENZO CALI'

Viva il 25 aprile!

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro di ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Resistenza

[Piero Calamandrei]

martedì 24 aprile 2007

Matrimonio anche in Trentino?

Reduci dai congressi nazionali dei rispettivi partiti, nei quali si è deciso in modo ormai irreversibile che Margherita e Ds daranno vita al Partito democratico, Giorgio Lunelli, coordinatore della Civica Margherita, e Remo Andreolli, segretario dei Ds del Trentino, spiegano cosa ha voluto dire per loro questo passaggio «storico» e quale sarà il percorso che pensano si potrà seguire in Trentino per la nascita di un nuovo partito con caratteristiche originali per meglio rispecchiare la specialità di questo territorio.
E nonostante le differenze su cosa si vuole costruire a livello provinciale, emerse dal congresso dei Ds trentini e nell'ultimo Parlamentino della Margherita, che fanno ritenere che qui sarà più difficile arrivare a un nuovo partito, i due segretari si dichiarano entrambi convinti che si riuscirà a trovare una convergenza entro il prossimo ottobre, quando a Roma si terrà la costituente del Partito democratico, ma ancora non si sbilanciano sul fatto che alle elezioni provinciali del 2008 ci sarà la lista del Partito democratico trentino o ancora quelle distinte di Margherita e Ds o altro ancora.
Lei ha partecipato al congresso nazionale del suo partito: cosa ha significato per lei?
Lunelli : «Nei due congressi non è nato il Partito democratico, ma la Margherita e i Ds hanno fatto convintamente il passo per iniziare un percorso verso il nuovo partito. Devo dire che nel congresso dei Ds c'è stato più pathos, ci sono state le lacrime, mentre in quello della Margherita il clima era un po' più freddo, anche per la scelta secondo me sbagliata del capannone, che non aiuta a scaldare i cuori: sembrava di essere infatti in un magazzino della val di Non».
Andreolli : «Il congresso dei Ds è stato soprattutto partecipato, vissuto emotivamente con la voglia di fare parte di un nuovo grande progetto politico molto proiettato verso il futuro: è stato molto bello e positivo».
Cosa ha apprezzato di più del congresso?
L. : «Gli interventi di Rutelli ed Enrico Letta, che hanno delineato razionalmente l'identikit del nuovo partito, che dovrà avere una dimensione europea e che non può deludere i giovani. Sarà il primo partito del ventunesimo secolo. Il lunghissimo intervento di De Mita, invece, al di là dei contenuti, secondo me ha dato una pessima e vecchia immagine della Margherita, in cui non mi ritrovo così come le lotte tra componenti e la spartizione dei posti nel parlamentino. Noi siamo riusciti a mettere Andrea Robol, come rappresentante trentino, ma non so neppure in che quota sia considerato».
A. : «I Democratici di sinistra hanno una classe dirigente di altissimo livello: quando hai un Fassino, Veltroni, Bersani, Finocchiaro, Damiano, c'è la garanzia di un dibattito di grandissimo spessore e così è stato in questo congresso, che infatti è stato apprezzato da tutti gli osservatori».
Nascerà anche in Trentino il Partito democratico?
L. : «La Civica Margherita trentina parteciperà all'assemblea costituente del Partito democratico nazionale perché vogliamo essere confederati al nuovo partito. Prima di allora individueremo un percorso a livello locale perché qui possa nascere un nuovo partito che sarà originale rispetto a quello nazionale perché dovrà essere caratterizzato territorialmente per essere più adatto al governo del Trentino. C'è bisogno di un partito che abbia come vocazione l'identità e i valori costitutivi del Land, per usare un termine caro al nostro presidente Dellai».
A. : «Ora non ci sono più dubbi: l'obiettivo politico anche qui in Trentino è la costruzione del Partito democratico. Gli spazi politici ci sono e faremo i passi necessari perché ci si arrivi, mi auguro che sapremo suscitare l'attenzione e il coinvolgimento dei cittadini, poi le formule le decideremo insieme alla Margherita e noi abbiamo sempre detto che vogliamo valorizzare le esperienze politiche del territorio».
Sta emergendo però l'idea che Ds e Margherita del Trentino abbiano in mente due progetti diversi, uno più allineato al Pd nazionale, l'altro invece di un partito territoriale: pensate di riuscire a trovare una sintesi?
L. : «I Ds sanno qual è la nostra posizione, l'abbiamo ribadita più volte, e credo che anche loro non considerino eretico cogliere questa opportunità della costituente per dare vita a un partito più territoriale, confederato con quello romano, e per questo penso che parteciperanno al percorso che la Civica intende perseguire con determinazione e a cui non è disposta a rinunciare. Un percorso che ci auguriamo possa vedere la partecipazione non solo dei Ds ma anche di altre forze politiche e persone non iscritte ai partiti».
A. : «Il Partito democratico. lo ripeto, lo si costruirà anche in Trentino. Io non credo che tra quello che pensiamo noi e quello che pensa la Margherita ci sia grande differenza. Si tratta di dare un timbro, un accento locale che valorizza il Partito democratico e in questo senso c'è un'identità di vedute. Noi vogliamo dare un contributo attivo a una costruzione originale del Partito democratico, non di riflesso di quanto avviene a livello nazionale. Possiamo discutere anche della questione della confederazione con il livello nazionale che però, per quanto importante, non la ritengo dirimente».
Ma concretamente quali saranno le tappe di questo percorso? Farete in tempo per le elezioni provinciali del 2008?
L. : «Nei prossimi giorni dovremo incontrarci con i Ds e, ripeto, l'obiettivo è quello di partecipare alla costituente nazionale che è prevista per la fine di ottobre di quest'anno, cosa vorrà dire questo in termini di liste in vista del 2008, l'ho sempre detto, oggi non sono in grado di dirlo».
A. : «Nei prossimi giorni ci incontreremo con Giorgio Lunelli e faremo il punto della situazione alla luce di questi congressi e inizieremo a ragionare sul percorso, sulle modalità e sulle forze per arrivare al nuovo partito. Una cosa è certa: ora si parte e noi lavoreremo con convinzione per affermare la cultura politica e i valori del Partito democratico. Come ci attrezzeremo per le scadenze elettorali lo vedremo insieme».
Nel nuovo partito non ci sarà il Patt, almeno questa è la linea emersa piuttosto dal congresso: pensa che gli autonomisti nel 2008 resteranno nella coalizione di centrosinistra?
L. : «Io non ho mai chiesto agli autonomisti di essere organici al partito che vogliamo costruire o al centrosinistra, ma sono convinto che se noi, come nuovo partito, ci rafforziamo sul radicamento territoriale, sarà più facile per loro la scelta della coalizione, che sarà una conferma di quella di cui oggi fanno parte. Quando ci sono i congressi si usano dichiarazioni forti ad uso interno per galvanizzare la base. Ora che i congressi sono finiti penso che potremo confrontarci con maggiore serenità sulle proposte politiche e programmatiche».
A. : «Mi pare che il dato politico più rilevante emerso dal congresso del Patt sia la sostanziale conferma dell'alleanza. Il segretario riconfermato Rossi ha espresso la volontà di essere protagonista attivo perché i valori autonomistici trovino sempre più spazio e queste mi sembrano richieste naturali».
Farete le primarie sul candidato alla presidenza della Provincia nel 2008, nonostante per ora nessuno metta in discussione Dellai?
L. : Io ho sempre detto di essere favorevole alle primarie a tutti i livelli come strumento contro la gerontocrazia, ma Dellai è giovanissimo».
A. : «A tempo debito decideremo insieme come coalizione di centrosinistra autonomista».
Sta seguendo le elezioni presidenziali francesi?
L. : «Certo, io sto seguendo con attenzione quanto avviene in Francia perché penso stia emergendo soprattutto una domanda di innovazione politica attorto ai candidati. Sono in corsa due cinquantenni. Sarkozy infatti si contrappone a Chirac, non è in continuità. E la Royal ha saputo sfidare gli elefanti del partito socialista».
A. : « Penso che il dato più interessante delle elezioni francesi sia la forte affluenza, che dimostra una voglia di partecipazione dei cittadini. Insieme a questo, ritengo positivo che gli elettori si siano polarizzati sui due partiti più forti, dividendosi in moderati e progressisti.

di LUISA PATRUNO da l'adige del 24-04-07

La svolta anti-oligarchica che solo Scalfari vede

Spenti i riflettori che hanno abbagliato i delegati del congresso Ds, la maggioranza dei quali ha ascoltato discorsi generici e retorici e assistito a dolorose separazioni, cosa resta come sostanza politica della prospettiva che era stata indicata? La risposta sembra semplice: è stata confermata la volontà della maggioranza di confluire nel Partito democratico. E, siccome anche il congresso della Margherita ha dato la stessa indicazione, la nave del Pd, come scrive Scalfari, è partita. Già, ma dove approderà? Ovvero quale sarà la base politico-culturale di un partito su cui si è detto tutto e il contrario di tutto: è nel Pse ma non c’è, è laico ma i confini della laicità li segnano i cattolici della Margherita, è un partito del lavoro, ma anche dell’impresa e delle banche, è di sinistra (come ha gridato Fassino) e di centrosinistra ma anche di centro, è portatore di un riformismo radicale ma anche moderato, è democratico e oligarchico, femminista e maschilista, giovane e vecchio, laico ma con la radice cristiana.
Scalfari scrive che il congresso della Margherita sarebbe stato solo una «registrazione di posizioni tra le varie correnti». Quello della Quercia invece l’ha visto «dominato dal pathos di un popolo di militanti - che ha deciso di rompere gli ormeggi per farsi protagonista del futuro - con una classe dirigente che smantella l’oligarchia cui fino a ora si era affidata e decide di uscire dal limbo dei post e degli ex per mettersi finalmente nel mare aperto della democrazia senza aggettivi». Ma quale congresso ha visto il fondatore di Repubblica per dire che è stata «smantellata l’oligarchia» se quell’assise è stata dominata dalla recita a soggetto di coloro che lo stesso Scalfari definisce oligarchi?
È il confronto tra i due congressi che non regge e meglio di Scalfari l’ha capito un popolano di Testaccio (dove abito) che domenica, incontrandomi, mi ha detto: «Siamo finiti nel ventre della Balena». Lasciamo stare le metafore, ma stupisce il fatto che persone navigate non capiscano che cos’è e cosa sarà domani, col Pd, il mondo che ruota attorno a quel nucleo di persone che esprimono, anche nella Margherita, la continuità di un sistema di potere che ha le sue radici nella Dc. Quale reciproca influenza ci sarà tra quel nucleo politico cattolico e le gerarchie ecclesiastiche, i settori dell’associazionismo moderato (industriale, commerciale, agricolo), le banche, l’Opus dei e la massoneria laica, l’informazione (Rai in testa) e quell’insieme di poteri locali che condizionano già oggi l’Ulivo? È questo aggregato politico economico che avrà la golden share del Pd.
Sia chiaro si tratta di forze reali della società in cui viviamo che si esprimono legittimamente in un gioco democratico ma che tenderanno a dare una loro impronta al Pd. La separazione dal Pse, voluta e ottenuta da questo gruppo, ha questo senso. E il cedimento dei Ds ha un significato inequivocabile. Solo chi non conosce la duttilità e la durezza, la cautela e la spregiudicatezza di un personale politico e parapolitico, abituato a trattare e contrattare nella sfera della politica e degli affari non capisce che sarà proprio quel personale a definire i confini di ciò che può essere e non essere il Pd e ciò che esso potrà fare e non fare. Da ora in poi gli ex Ds si troveranno nelle condizioni di dovere bere o affogare. Chi vivrà vedrà.

di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 24-04-07

Il leader di Sinistra Democratica: d'ora in poi le questioni di maggioranza dovranno essere trattate con noi

Adesso, c´è anche l´annuncio ufficiale. «Sì, ci saranno rappresentanze istituzionali del nostro movimento. In Parlamento, così come in giro per l´Italia, negli enti locali. A breve perciò nasceranno i nuovi gruppi alla Camera e al Senato». Consumato a Firenze l´addio ai Ds e al Pd, «senza torte in faccia, con grandissima civiltà», Fabio Mussi e (l´ex) correntone della Quercia sono alle prese con il day-after. E "Sinistra democratica" chiede già di aggiungere un nuovo posto al tavolo del centrosinistra.
Ministro Mussi, anche voi d´ora in poi ai vertici e alle trattative di maggioranza?
«Credo proprio di sì. Siamo una parte del centrosinistra, e al tavolo dobbiamo esserci. Non voglio che sia un seggio permanente, perché lavoriamo ad un movimento più grande, ad un big-bang di tutta la sinistra che non si riconosce nel Pd. Ma è certo che, avendo un ruolo parlamentare rilevante, dovremo poter dire la nostra».
Nuovo partito, e nuova frammentazione sotto il cielo dell´Unione.
«Inevitabile, con la nascita del Pd. Ma li vogliamo accendere i riflettori su quel che è successo davvero al congresso della Margherita?».
Accendiamoli.
«Rutelli annuncia, abbracciando Fassino: il Partito democratico è già qui. Ma come, e le architetture della Costituente, il processo allargato, e il motore che aspetta la potente benzina delle primarie? Niente. Già fatto. Il Pd è nato. Adesso non gli resta che la battaglia per stabilire chi comanda. E che dire di Franco Marini?».
Parliamone.
«E' stato chiaro: il Pd dovrà tenersi le mani libere nelle alleanze di governo».
Nella prossima legislatura, ha precisato.
«Certo, mica penso che Marini punti adesso al ribaltone. Ma i partiti non si fanno per una legislatura, l´orizzonte balistico è più ampio, nascono per durare. Domando: il Pd non doveva essere il timone riformista del centrosinistra? In Italia, lo abbiamo già avuto un grosso partito di centro che "guardava" a sinistra, e che per 50 anni ha lungamente governato alleandosi però ora con la sinistra ora con la destra. Si chiamava Democrazia cristiana».
Partito democratico uguale Dc?
«La formula delle mani libere di Marini lascia intuire nelle intenzioni un Pd che tende ad esercitare la funzione che fu della Dc, con alleanze ora di qua ora di là».
Forse sarà un sogno della Margherita. E sotto la Quercia?
«Già, i Ds. Che ne pensano? Chi lo sa. Un silenzio assordante. Nessun commento, neanche una parola sull´intervento di Marini. Eppure Fassino era seduto in prima fila, al congresso dielle di Cinecittà».
Se restava qualche dubbio sull´addio, il congresso della Margherita l´ha spazzato...
«Ha confermato in pieno la mia scelta di Firenze».
Dove ha parlato di "due" costituenti. Però quella del Pd è comunque in marcia. E la vostra, ministro?
«Ci siano appena messi in cammino. Non per aggiungere un nuovo partitino ad un arcipelago di sigle già affollato. L´obiettivo immediato è la costituzione di un movimento politico, al quale chiediamo l´adesione di iscritti ai Ds, intellettuali, compagni rimasti alla finestra, della grande area di sinistra "liberata" dal progetto centrista del Pd. Il 5 maggio prossimo, nella prima assemblea di "Sinistra democratica", eleggeremo gli organismi provvisori. Dopo l´estate, la struttura definitiva».
E i rapporti con i partiti della sinistra? Con Boselli o con Giordano?
«Il nostro movimento punta ad aprire un processo, a far da sponda, ad innescare un big bang di trasformazione e di aggregazione di tutta la sinistra. Se non avessi il senso del limite e della misura, parlerei di una Epinay italiana. Immagino un centrosinistra basato su due pilastri».
Quali sono?
«Uno è il Pd. L´altro la sinistra. Le aspettative di un Pd che può contare quasi su tutto lo spazio del centrosinistra, francamente mi sembrano esagerate. Per fare maggioranza di governo, ho l´impressione che serviranno altrettanti voti di quelli portati dal nuovo partito di Rutelli e Fassino».
Intanto, via libera ai gruppi parlamentari autonomi del correntone. Nome?
«Ne discuteranno i delegati. La proposta resta "Sinistra democratica"».
Simbolo? Si "libera" la Quercia, sta per sparire dal logo ds...
«Non è libera, apparterrà comunque a Fassino. In ogni caso, bisogna costruire cose nuove. I vecchi edifici a questo punto sono tutti crollati».
Non parliamo perciò di falce e martello.
«A quella ho rinunciato nel 1989».
In pista come Sd alle ammistrative di maggio?
«Troppo presto. Il quadro, piuttosto, sarà variegato. In alcune città, vedi Taranto, i nostri saranno candidati nelle liste civiche. Altrove con l´Ulivo. In altre città ancora nelle liste Ds».
Nessun disagio a trovarsi ancora sotto lo stesso tetto, dopo la scissione?
«No, perché l´obiettivo comune è far vincere il centrosinistra. E daremo una mano, visto che abbiamo una nostra forza anche elettorale».
Dopo, faranno gruppo a sé consiglieri comunali del correntone?
«Vedremo, caso per caso. Non sarà una questione dirimente. Del resto, c´è sempre un´elezione alle porte. Dopo il voto di maggio, ecco il successivo turno di amministrative. E poi le europee. Hai voglia. Qualunque cosa si faccia, c´è sempre a ridosso un´altra elezione... ».

di UMBERTO ROSSO da la Repubblica del 24-04-07

lunedì 23 aprile 2007

Lettera agli amici e compagni di sinistra che non si sono sciolti

Cala il sipario sui congressi contemporanei di Margherita e DS e sui media si impone prepotentemente la campagna per le presidenziali francesi. Nel ballottaggio fra i due candidati Presidenti sarà decisivo il voto dei centristi per i quali hanno fatto il tifo i margheritini nostrani, centristi che sembrano più propensi ad appoggiare Sarkozy piuttosto che la Royal. Se così sarà, e se fra quindici giorni dovesse vincere la destra, sarebbe un motivo di debolezza in più per l'avanzata dello strano partito democratico partorito dal "differentismo italiano", per dirla con Mussi; comunque auguri di buon lavoro ai "costituenti" nostrani. Noi che crediamo ancora in un socialismo del XXI secolo tifiamo ovviamente per la vittoria della socialista Royal, portatrice di una grande speranza: riportare la grandeur francese entro i confini della comune patria europea, come questa donna coraggiosa ha promesso nel sereno e commovente discorso di questa sera a commento della suo passaggio al secondo turno. Per chi intende accettare la sfida di dare un nuovo volto al socialismo italiano e trentino può venire un grande sostegno dalle cose di Francia. Se per la situazione nazionale, che è obbiettivamente complessa, sapremo qualcosa di più dalla riunione prevista per il 5 maggio, per il Trentino il quadro è chiarissimo già da prima del congresso provinciale diessino. La Margherita nostrana ha fatto sapere a Rutelli che il rapporto con il PD nazionale sarà comunque di tipo federato, e ciò permetterà ai nostri alleati in giunta provinciale e a Trento città di procedere in tutta calma a far nascere il nuovo soggetto politico in vista delle elezioni provinciali dell'autunno 2008 salvo chiedere, con un atto formale, di federarsi col PD nazionale che sarà attivo fra poco più di un anno: E intanto i diessini del Trentino che faranno? Chiederanno a loro volta di federarsi al nuovo soggetto politico dellaiano per potersi così accreditare a Roma anche loro? Insisto con un mio vecchio cavallo di battaglia, correndo consapevolmente il rischio di essere etichettato come il vecchio giapponese ancora in guerra a mezzo secolo dalla cessazione delle ostilità: solo l'attivazione del meccanismo federativo previsto dallo statuto del partito avrebbe potuto permettere alla sinistra trentina di trovarsi pronta all'appuntamento ineludibile del prossimo anno. In articulo mortis, non essendo ancora il partito formalmente sciolto , la cosa sarebbe ancora possibile ma non insisto, sapendo che da quell'orecchio la classe dirigente diessina locale è sempre stata sorda. Pensiamo quindi a noi, a quelli che non si sciolgono e che pensano che il lungo cammino (le convergenze parallele!!) che porterà alla piena sintonia programmatica ed ideale della sinistra trentina con i margheritini nostrani, sintonia che già nella coalizione di governo ha mostrato non poche crepe, dovrà prima passare attraverso un patto federativo sottoscritto dalle varie anime della sinistra con gli amici centristi, patto da sottoscrivere prima delle elezioni provinciali su pochi punti programmatici realmente condivisi per evitare la commedia di cinque anni fa, quando la sinistra scrisse un bel documento e poi sottoscrisse un programma del candidato presidente di ben altro tenore. La riunione di venerdì prossimo dell'area che non ha aderito al varo del PD potrebbe essere ultimente impiegata a cominciare a discutere di quei possibili punti. Su scuola, cultura, università e ricerca, che vedrei come parti di un unico punto programmatico, intendo sottoporvi alcune primissime riflessioni.

venerdì 20 aprile 2007

Noi non ci rassegnamo

Care compagne, cari compagni,
Giorni fa il Presidente del Partito, Massimo D'Alema ha detto: "spero che Mussi ci risparmi i commiati drammatici". Seguirò il suo consiglio. Ma credo - dopo 40 anni dedicati a questo partito, avendo attraversato, credo con coraggio, tutte le sue profonde trasformazioni - di avere diritto di parola. Anzi, il dovere di parlare, prima di tutto a voi. I delegati della Mozione "A Sinistra. Per il Socialismo Europeo", 242, si sono riuniti, hanno discusso, hanno votato. Un voto quasi unanime, con una astensione. Le cose che dirò, rappresentano anche loro.

Il mio, il nostro dissenso data dal 2001, dal congresso di Pesaro quando candidammo Giovanni Berlinguer alla segreteria del Partito. E io voglio tornare a ringraziarlo, per la forza, la passione, il rigore con cui continua a combattere la sua battaglia delle idee.
Abbiamo espresso il dissenso senza mai provocare rotture, dando sempre un contributo leale alle comuni battaglie. Senza mai disperdere non solo il senso di una solidarietà politica, ma anche il sentimento di amicizia verso Piero Fassino e tutti gli altri compagni ai quali siamo legati da una lunga comune militanza nella sinistra e dalla coscienza di un dovere verso l'Italia.

A Pesaro non condividemmo la risposta alla sconfitta elettorale del 2001, una ispirazione "riformista" vicina alla terza via di Blair e di Giddens (una "terza via" che si è persa nell'avventura della guerra irachena). Ora se ne propone una quarta: la fine, nel nostro Paese, unico in Europa, della presenza di una autonoma forza di sinistra di ispirazione socialista. E non è vero che siamo di fronte ad una pura trasformazione delle forme, ad un'altra metamorfosi della sinistra: con il Partito Democratico, l'asse del centrosinistra, e dunque della politica italiana, sarà inesorabilmente più spostato al centro.
I DS si sciolgono. Quando sollevammo il dubbio, all'ultimo recente Congresso di Roma:" Ma questa storia, finisce in un "partito unico"? Ci si rispose che era un malevole processo alle intenzioni. Ecco, invece ci siamo.

Non metto in discussione il valore della politica unitaria. Questa è essenziale per governare il Paese. Noi siamo stati, tutti, e dovremo essere sempre, l'anima della coalizione democratica. Metto però in discussione la natura ed caratteri dei partiti politici, che si muovono su tempi più lunghi di quelli di una legislatura. Sono i partiti che fanno i governi, non i governi che fanno i partiti. E i partiti vivono anche nelle sconfitte, non sono fatti solo per la vittoria. E sono soggetti identitari, non solo programmatici. Quando qualcuno ti chiede: "chi siete?", non basta rispondere :"siamo tanti".
Sono stato tra i protagonisti della svolta dell'89, quando ricollocammo storicamente il più grande partito della sinistra italiana. Eravamo un gruppo di giovani, segretario Achille Occhetto, che si prese la responsabilità di sciogliere il PCI, allora al 27% dei voti e 800.000 iscritti, perché pensammo che fosse un dovere - politico, intellettuale, morale - fare i conti con la caduta del movimento comunista internazionale, di cui pure il PCI era stato una straordinaria variante nazionale, partito eretico a forte vocazione democratica e socialista.

Questa svolta, non è in continuità con quella. Guardiamoci dal cattivo storicismo, quel modo di pensare provvidenzialistico, per cui ciò che viene dopo è tutto contenuto in ciò che viene prima. Al contrario, penso che questa svolta sia figlia di un fallimento, fallimento che sento anche mio. Penso che essa rappresenti il tentativo, sbagliato, di rispondere al problema che fra gli altri ha posto chiaramente un nostro amico, Eugenio Scalfari, quando giorni fa ha scritto che anche il nostro partito "è arrivato al capolinea, ha perso ruolo e rappresentanza. Con una dimensione quantitativa inadeguata alla società di massa, una dimensione qualitativa e culturale povera".
Non mi si dica che, se si cerca il legame tra passato e presente, si parla di cose incomprensibili a chi avrà 20 anni nel 2010. I giovani ci portano mondi nuovi, e noi dobbiamo sempre esortarli alla storia: a ricostruire incessantemente la memoria collettiva, conoscere le radici, comprendere i risultati dei processi storici, e i "sentieri interrotti", le cose che avrebbero potuto essere e non sono state. Cancellare le tracce, è diseducativo. Quando il Moderno si presenta come "il nuovo" assoluto, in verità è già decrepito.

Ora il nostro primo dovere è governare. Corrispondere alle aspettative di chi ci ha votato, non solo per liberarsi da Berlusconi, ma perché vuole un'Italia più pulita, più giusta, più colta, più efficiente. Un'Italia consapevole della propria missione verso l'Europa e verso il resto del mondo. Non è facile, sul filo del rasoio di un soffio di seggi al Senato, e di un soffio di voti di elettori alla Camera. Insomma, dato il risicatissimo risultato delle elezioni politiche 2006, un "sostanziale pareggio", come ha detto giustamente il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Il Governo sta risanando i conti pubblici, un obiettivo ineludibile. E sta avviando un piano di riforme. Sentiamo tutti che occorre dare più forza al Governo, ricaricare di energia il nostro progetto per l'Italia.
L'Italia ha enormi possibilità, ed è un Paese dove è bello vivere. E' anche un Paese dove sono esplose le diseguaglianze. Un Paese ricco, ma che vede i salari più bassi d'Europa, dove si lavora in pochi, e poche sono in particolare le donne che lavorano; dove la condizione fondamentale dei giovani è la precarietà, non figlia della tecnica, ma di un ritorno di condizioni servili nella società contemporanea; dove si muore di lavoro; dove proprietà e ricchezza si sono sempre più concentrate nelle mani di una minoranza; dove la "questione morale" torna a dilagare in ogni campo della vita civile, economica e politica (e non esiste nuova buona politica che non abbia la "questione morale" come sua stella polare: forse conviene tenersi stretto questo pensiero di Enrico Berlinguer, piuttosto che giocare a metterlo e toglierlo dal Pantheon).
Il nostro è un Paese dove la qualità dei sistemi (servizi, formazione, ricerca, tecnologia), perde terreno. E non c'è futuro, con uno sviluppo senza ricerca e innovazione. Per questo servono risorse e riforme. Risorse, molte di più di quelle che siamo stati in grado di mettere quest'anno in finanziaria per la scuola, l'Università, la scienza, se non si vuole restare ultimi in Europa. Il prossimo anno non si può fare il bis. E riforme, orientate alla qualità e al merito. Al merito. Il valore dello studio e della serietà l'ho imparato nella mia casa di operai: il merito non è l'invenzione dei ricchi per escludere i poveri, è la carta che hanno in mano i poveri per non essere esclusi. E' una frase a cui sono affezionato, e mi ha fatto piacere ritrovarla nella relazione di Fassino. Ho tentato, in questi mesi, di non dimenticarlo. Il responsabile per l'Università della Margherita mi ha accusato di "demagogia della serietà". Che cosa vuol dire? Forse vuol dire che esagero con la serietà. Bene, lo prendo come un complimento.
C'è da fare tanto. Il Governo è quello di Romano Prodi. Lo spazio politico della maggioranza è l'Unione. Penso che sia essenziale, qualunque cosa accada sul terreno più propriamente politico, garantire tenuta della maggioranza di centrosinistra e stabilità del Governo. Tra di noi deve esserci comunque questo patto di ferro.
Governiamo uno dei Paesi più importanti del mondo. Pensavo che ci fosse abbastanza da fare, senza gettarci in imprese azzardate come quella di sciogliere partiti e farne di nuovi a pochi mesi dalla formazione dell'esecutivo, nell'illusione di pescare la soluzione magica, la nuova indiscussa guida, il timone, la "cabina di regia" della coalizione e del Governo. La formazione del partito democratico in verità complica il quadro, non lo semplifica - anche solo a voler tenere il livello delle dottrine politologiche e funzionalistiche da cui ha preso le mosse.
Governiamo uno dei Paesi più importanti del mondo. E il mondo cambia velocemente. Quante profezie durate una breve stagione! La profezia della fine della storia, della fine del lavoro, del trionfo del mercato senza vincoli, senza regole, senza frontiere.
La globalizzazione ha subìto nell'ultimo quarto di secolo una bruciante accelerazione. Gli effetti sono misurabili. Sono misurabili i progressi, e le contraddizioni, e le nuove diseguaglianze. Sono misurabili le "promesse infrante", a partire da quella della pace, se i nuovi venti di violenza e di guerra scuotono tanto drammaticamente l'umanità, alle soglie del nuovo millennio.

Le ricette pragmatiche sono acqua fresca.
Bisogna fare uno sforzo di andare più al fondo delle cose.
Le classi medie sono certamente cresciute, ma mai come ora nella storia dell'umanità si era presentato tanto esteso il lavoro dipendente e salariato e il lavoro intellettuale venduto e comprato ai prezzi di quello salariato. Il lavoro è stato svalorizzato su scala globale. Mai come ora dunque è stato strategico il bisogno di rappresentare, sindacalmente e politicamente, il lavoro, in tutte le sue forme e in tutti i continenti.
Mai l'umanità ha dovuto fronteggiare gli effetti potenzialmente catastrofici delle sue attività economiche. Crescono popolazione e consumi, e il ciclo dei rifiuti (in particolare i gas serra) non si chiude. Il Quarto Rapporto sui cambiamenti climatici ci restituisce un quadro sempre più allarmante. Il tempo di radicali cambiamenti - economici, sociali, tecnologici - stringe assolutamente. Altrimenti si rischia di veder degradato irreversibilmente l'ambiente e, con gli eserciti dell'ultima guerra per il petrolio, di combattere la prima guerra per l'acqua.
Non siamo certo in grado di pensare un'economia senza mercato. Ma il mercato da solo non risolverà i problemi dell'umanità. Non valorizzerà il lavoro, non farà le scelte tecnologiche appropriate, non si autoriformerà su principi ecologici. Per questo torna, torna in grande il tema delle scelte collettive consapevoli. Il tema del Governo e della politica. Il tema di un nuovo socialismo. La profezia della "fine del socialismo" si presenta come un'altra di quelle all'ultimo grido, ed è invece una cianfrusaglia ideologica.
Torna il tema di una nuova politica che dia una risposta non solo alle questioni pratiche, ma al bisogno inestinguibile di senso e di identità. Che viene sempre più affidato - quando non alla pura merce - all'etnia, alla nazione, alla religione. Non scaturisce da qui quella crisi dei partiti e della democrazia moderna, che ha allontanato così tanto le masse dalle istituzioni pubbliche? Sono questioni di fondo, di lungo periodo, che richiedono "pensieri lunghi".

E noi, noi dove vogliamo portare la sinistra italiana? Qui, condividiamo tutti la necessità di una strategia unitaria. Non è questo che ci divide. L'Italia si governa con il centrosinistra, con una larga alleanza democratica. Quell'alleanza di cui l'Ulivo è stato il cuore, la scelta decisiva del riscatto democratico, dopo l'apparire dell'inedita destra populistico-plebiscitaria di Berlusconi (che sarebbe magari bene non allargasse ulteriormente la sua posizione di controllo nel campo dei media e delle telecomunicazioni, e la possibilità di farla fruttare politicamente: la lotta per affermare il principio di legalità, e una legge seria sul conflitto di interessi sono urgenti).
L'Ulivo raccolse nel '96, nel maggioritario, il 44% dei voti: rappresentava quasi tutto il centrosinistra. Nel 2006 ha raccolto il 31% e, con l'ultima uscita, quella dello Sdi, che pure aveva partecipato alla "Federazione riformista", comprendeva DS e Margherita. Così drasticamente ridotto, se ne vuol fare un partito.
L'ultima volta che ho votato una mozione di maggioranza, al congresso di Torino, si titolava : "Una grande sinistra in un grande Ulivo". Sarà certamente un limite mio, ma io sono rimasto lì.
Con i congressi paralleli in corso, DS e Margherita cessano una loro autonoma vita. Diventano comitati promotori del Partito Democratico. Chi partecipa, i prossimi mesi non avrà altro da fare che questo. L'appuntamento, prima fissato al 2009, è stato anticipato di un anno. Si accelera. Sul Congresso della Margherita, leggo di giudizi severissimi di molti suoi esponenti di primo piano. Per quanto riguarda i DS, non discuto della legittimità della proposta di Fassino, che si presenta con il sostegno del 75% degli iscritti (anche se mi permetto di ricordare che dunque uno su quattro è contrario o fortemente critico). Penso che si stia commettendo, sia pure a larga maggioranza, un errore di vasta portata. Penso che si stia imboccando una strada che porta la sinistra non a rinnovarsi, come pure è radicalmente necessario, ma a perdersi. "Sinistra", non è un bagaglio appresso che i dirigenti si portano dietro. Sono valori, programma fondamentale, identità. La retorica dell'"oltre" - oltre i partiti, oltre le tradizioni, oltre il socialismo - non dice nulla, se non è, chiaro dove si va.

Vedo che si chiede a noi, della minoranza: "dove andate?". Io chiedo a voi, compagni della maggioranza: "dove andate, esattamente?".
Si apre la Costituente del Partito Democratico. Al buio. La piattaforma è costituita da un Manifesto: debole, pasticciato, confuso. Non so se la "fusione" in corso sia calda o fredda: se il risultato è quel Manifesto, la fusione è al momento fallita. L'unica cosa chiara è il riferimento al Cristianesimo. Fondamentale componente della cultura universale, non c'è dubbio. Ma un principio religioso non può costituire il fondamento costituzionale né di uno Stato, né di un'Unione di Stati come l'Europa, né di un partito politico moderno.
Precipitiamo verso il Partito Democratico senza aver chiarito niente.
Non certo la collocazione internazionale. I nomi sono potenti. Questo nuovo partito si chiama come quello americano e, in Europa, come quello del centrista francese François Bayrou. Sarà, centrista e americano, "Con un rapporto forte e strutturato con il PSE" - ha detto Fassino - Una formula aperta a diversi esiti, salvo uno: è evidente che non potrà far parte del PSE. Lo capiscono tutti. Il sostegno opposto di DS e Margherita ai due candidati concorrenti alle presidenziali francesi (Royal e Bayrou) è solo un antipasto di ciò che ci aspetta. D'altronde Rutelli (che rispetto, e con cui collaboro volentieri nel Governo) è stato chiaro: nel Parlamento europeo, ognuno resta ai suoi posti fino al 2009, poi nascerà un nuovo raggruppamento politico nazional-democratico. Non stiamo parlando di diplomazia internazionale: stiamo parlando delle appartenenze alle grandi famiglie politiche che esistono in Europa e nel mondo. Stiamo parlando della nostra identità in Italia. Temo che con il Partito Democratico condanneremo di nuovo l'Italia a rappresentare in Europa un "caso". Torna l'"eccezionalismo", dal quale abbiamo faticosamente tentato di liberare il nostro Paese, che ne è afflitto fin dalla costituzione dello Stato nazionale.

Non abbiamo chiarito niente di ciò che è essenziale. I grandi temi - lavoro, sapere, ambiente, questione morale e riforma della politica - galleggiano con insostenibile leggerezza nel dibattito politico sul Partito Democratico. Sul sindacato non si dice parola, o si dicono parole sbagliate. Altri temi sono immersi nella più grande confusione. Per esempio il tema della laicità.
Il Governo ha proposto la legge sui "Diritti dei conviventi" - il minimo per chi abita in questa parte del mondo. C'è, tra i costruttori del PD, chi ha partecipato a manifestazioni di sostegno ai Dico, e chi parteciperà al "family day" : non ho l'impressione che siano la stessa cosa. Ci sono, nello spazio del PD, voci assolutamente dissonanti anche rispetto a fenomeni intollerabili come l'onda ritornante di fobia verso gli omosessuali.
Laicità è lo spazio della libertà di tutti. Non ce n'è una "sana" e una "insana", come ritiene Papa Ratzinger. C'è semplicemente quella di uno Stato che garantisce che possano ben esserci nella società idee e modi di vita egemoni, proprio perché non esistono punti di vista che una qualche autorità impone come dominanti, e obbligatori per tutti.
Da questo dipende l'autodeterminazione degli individui, il libero movimento delle forme della vita civile, la libertà della cultura, dell'arte, della scienza (e bisogna tornare a difendere la scienza, se è vero che, non ancora concluso l'appello per il processo a Galilei, si apre quello a Darwin). La stessa libertà religiosa, che è uno dei pilastri della libertà senza aggettivi, è durevolmente garantita solo dal principio di laicità. L'unico antidoto alla barbarie dei conflitti di civiltà e alle guerre di religione. Per questo la laicità dello Stato è un principio non negoziabile, che sta al fondo della politica moderna. Le mezze soluzioni, sono soluzioni gravemente sbagliate.
Persino sulla legge elettorale, il campo del Partito Democratico è diviso in tre: quelli del proporzionale corretto, quelli del neomaggioritario di collegio, quelli del referendum - nonostante che il referendum come è noto sia una spada di Damocle appesa sulla testa del Governo.
Date queste condizioni politiche, non è sorprendente che via via l'attenzione si sia andata concentrando sulle questioni di leadership. Fino alle tensioni esasperate di questi giorni. Questa è la domanda che imperversa. Chi? Chi prenderà il comando? Chi guiderà il Partito Democratico? Chi deciderà?
Decideranno gli iscritti, o i cittadini delle primarie? Una "testa un voto"? Si vota nei gazebo? Ed ecco, come in una matrioska, che dalla discussione sulla legge elettorale per il Parlamento fa capolino quella per le primarie della Costituente del nuovo partito.
Mi permetto di ricordare che, centrale, nel pensiero democratico e socialista italiano, è il tema del rinnovamento delle classi dirigenti. Plurale. Sempre più spesso invece ho sentito in questi anni abusare del singolare: "la classe dirigente". Si tratta di un'altra teoria, quella della "circolazione delle élites": Pareto, non Gramsci. Una teoria non nuova, che si sposa felicemente con la più recente tendenza alla estrema personalizzazione della politica, sempre più innervata di potere, denaro e televisione.

Comunque, il fatto è che non riesco a rassegnarmi. Non riesco a rassegnarmi all'idea che il destino della sinistra italiana possa ridursi a questo: una rete di correnti superpersonalizzate dentro un partito che ammaina i simboli stessi della sinistra e del socialismo, e poi una galassia di partiti più piccoli, verdi, socialisti, comunisti, di sinistra cosiddetta "radicale".
E' una storia grande e drammatica, quella della sinistra italiana del Novecento. Molte delle conquiste sociali e civili si devono a lei. E ora si sono messi in moto due movimenti contraddittori: da un lato, per la prima volta, dai primissimi anni della Repubblica, tutta la sinistra è al governo insieme; dall'altro, nasce il Partito Democratico, che perpetua la separazione, sempre più artificiale, tra "riformisti" e "radicali".
Confermo qui - non con animo leggero - l'indisponibilità della minoranza che rappresento a partecipare alla Costituente del Partito Democratico. E' vero che anche nei DS ci sono le correnti: a questo Congresso tre. Nel PD ce ne saranno trentatre: non si sentirà la nostra mancanza.

Noi ci fermiamo qui.
Non ci si formano idee sui sondaggi, certo. Tuttavia ho l'impressione che il Partito Democratico non recupererà tutto, o quasi tutto, lo spazio del centrosinistra. Ci sarà una parte grande della società italiana, che guarda a sinistra, che non si sentirà rappresentata. Una parte essenziale per fare, oggi e domani, maggioranza e governo. Molte forze si sono messe in cammino. La nostra intenzione è di costituire un movimento politico autonomo, che si propone di aprire un processo politico nuovo, più a sinistra del Partito Democratico. Non un altro piccolo partito. Ma un progetto volto a riunificare forze. A mantenere viva la prospettiva di una forza di sinistra di ispirazione socialista. Laica e di governo. Del lavoro, dei diritti, delle libertà femminili, dell'ambientalismo, aperta alle nuove culture e alle sfide di questo secolo. Alleata del Partito Democratico.

Lo so che è un'impresa difficile. Ma anche la vostra non sarà facile. Per quanto mi riguarda, abbiamo maturato, insieme ai compagni che hanno sostenuto la mozione "A sinistra. Per il socialismo europeo", una convinzione profonda, e sentiamo il dovere di provarci. Si aprono due fasi costituenti. Sarebbe bello un doppio successo.
Buona fortuna, compagni.

Fantasmi socialisti

Non ha mai nominato, manco una volta, la parola operai, mai la parola fabbrica, mai la parola masse. Temi che un tempo incendiavano i militanti di quello che si vantava di essere il più grande partito comunista d’Occidente. Non ha mai citato, neppure una volta, quel Silvio Berlusconi il cui solo nome per un decennio riusciva magicamente a riaccendere anche le più ammaccate e tristi riunioni di piazza. E dopo aver rimosso le arie dell’ «Internazionale» e «Bandiera Rossa» e perfino della «Canzone Popolare» o dell’ironica «Il cielo è sempre più blu», ha affidato la missione di scaldare i cuori al robusto inno di Mameli e a «Over the Rainbow», come non ci fossero più canzoni capaci di riassumere con parole italiane e comprensibili all’intera platea una fede buona per tutti.
Eppure nella sua appassionata relazione al quarto congresso dei Ds, così appassionata da fargli venire infine un groppo in gola, Piero Fassino è stato chiamato a fare i conti soprattutto con una parola antica: socialismo. E lì, ha dovuto tentare più acrobazie del mitico Giovanni Palmiri il giorno in cui fermò il fiato ai milanesi comparendo su un trapezio nel cielo di piazza Duomo.
Doveva infatti, lassù sul filo, reggere contemporaneamente in equilibrio quattro socialismi differenti. Il primo, ovvio, era il richiamo al socialismo che doveva rassicurare Fabio Mussi o almeno instillare qualche dubbio nei suoi fedeli, con un continuo rimando alla lunga storia della sinistra e un monito sulle scissioni del passato, «nessuna delle quali è stata foriera di maggiori opportunità». Il secondo doveva confortare Poul Rasmussen, George Papandreou, Kurt Beck e Martin Schultz, che certo non erano venuti a Firenze per essere smentiti dopo aver detto più volte di aspettarsi che il «partito nuovo» entri senz’altro nella grande famiglia socialista europea. Il terzo dovrebbe, se non subito almeno in un futuro ravvicinato, convincere i socialisti della diaspora a non vedere nel Partito democratico «una riedizione in scala minore del compromesso storico » ma piuttosto «la casa anche dei socialisti». Operazione complessa per l’erede di quell’Enrico Berlinguer che, al di là della rivendicazione di una diversità morale, marchiò Bettino Craxi come «un pericolo per la democrazia» e di quel Massimo D’Alema che ammiccava: «Diciamo che non son mai stato un socialista italiano. Sono diventato direttamente un socialista europeo».
L’esercizio più arduo, però, era il quarto: fare digerire questo continuo appello al socialismo, nominato e invocato nelle sue varianti 31 volte, a chi nella Margherita ha già detto e ridetto di non avere alcuna intenzione di entrare nel Pse e men che meno nell’Internazionale Socialista. Anche se per il segretario diessino «già oggi è costituita per quasi metà dei suoi 185 partiti da forze di ispirazione culturale diversa dall’esperienza socialista». Esempio? Il Partito del Congresso Indiano e il Partito dei Lavoratori di Lula. Due esempi, come dire, esotici. Basteranno? Francesco Rutelli dice che risponderà oggi. Ma potete scommettere che da qui all’appuntamento fondante della prossima primavera, che appare lontana lontana, il tema sul tappeto resterà questo.

di
GIAN ANTONIO STELLA da il Corriere della Sera del 20-04-2007

giovedì 19 aprile 2007

Delegati Sinistra DS: non staremo nel PD

I delegati della mozione Mussi "A sinistra per il socialismo europeo" hanno approvato all'unanimità un documento nel quale sanciscono il loro addio al partito. Dopo una discussione di quasi quattro ore, i delegati hanno approvato la linea dura proposta da Fabio Mussi, cioé un unico intervento al congresso e la decisione di non partecipare alle Commissioni congressuali, e di non entrare negli organismi dirigenti. Insomma un no alla fase costituente del partito democratico.
"Noi scendiamo qui - afferma Mussi - se come dicono Fassino e Rutelli l'Italia ha bisogno del Partito democratico serve anche una forza di sinistra di ispirazione socialista perché se Bersani dice che la sinistra esiste in natura, va rappresentata politicamente non è un bagaglio che si porta dietro".
I delegati "si impegnano a dare vita ad un movimento politico autonomo che contribuisca ad aprire un processo di rinnovamento ed unità della sinistra italiana nel riferimento al socialismo europeo". Diritti dei lavoratori, ambientalismo, libertà, etica della politica sono i valori ai quali aspira questa forza.
Il documento si chiude con un appello agli iscritti dei DS e ai cittadini e "a tutti quelli che hanno voglia ed interesse a partecipare" alla Costituente di Sinistra e "ai movimenti e ai partiti rappresentati in Parlamento e diffusi sul territorio perché si inizi in modo libero e aperto il confronto e la discussione". Il primo appuntamento per avviare il nuovo progetto è il 5 maggio a Roma quando, spiega il ministro dell'Università "daremo più corpo e più contenuto al percorso da compiere io mi rivolgo a tutti i compagni e alle compagnie dei DS e alle persone di sinistra perché si apra subito un dialogo per una sinistra unita".

mercoledì 18 aprile 2007

L'ultimo Berlinguer: "Mai nel Pd"

Si ferma un momento, quasi inseguisse le parole giuste per chiudere il cerchio di un dolorosissimo ragionamento. "E poi, in fondo, anche questa ricerca ossessiva di numi tutelari che legittimino la loro operazione, questa storia del Pantheon, di Berlinguer, di Craxi, degli avi... E' indice di una grande debolezza, di assenza di una personalità propria. E naturalmente fa emergere il contrasto tra alcune figure del passato - tra le quali, certo, anche Enrico - e quelle del presente. La differenza, insomma, tra i dirigenti di un tempo, che parlavano dicendo "noi", e quelli di oggi che ripetono sempre "io", "io", "io"...". E il sipario, allora, potrebbe anche calare qui, sul passo d'addio ai Ds dell'ultimo Berlinguer. Giovanni, fratello di Enrico e candidato alla guida della Quercia nel 2001 dal "correntone" di Veltroni, Cofferati e Mussi, non entrerà nel Partito democratico: "Tenteremo di unire le forze di sinistra - spiega -. Proveremo a superare quella maledetta frantumazione che fa parte della peggior tradizione della sinistra italiana. E' necessario, perché ci sono diritti traditi e calpestati, quelli dei giovani, dei disoccupati, degli operai che crepano mentre lavorano. Bisogna provarci, è un dovere. Ci proveremo. Io sono pronto a continuare...".
Parole che arrivano dritte dal secolo scorso, che è sette anni fa ma sembra una vita. Una filosofia da '900, solida come il suo argomentare, come la sua casa, che è una gimkana tra migliaia di libri e mobili d'epoca; come le foto di Enrico, lì alla parete, ritratto con Giovanni, appunto, la sigaretta cascante tra le labbra come James Dean. Tutto, dalla sua casa al suo ragionare, trasmette l'idea di una solidità demodè. Magari superata. Certo non sostituita. Ecco, per dire, come motiva il suo no al nascente Partito democratico: "Ci sono tendenze pericolose, lì. La più grave è lo smarrimento dell'idea di laicità dello Stato. Arrivo a dire che era meglio quando c'era la Dc, che spesso conteneva l'invadenza vaticana. Oggi siamo invece all'offrirsi, al sollecitare un'influenza diretta della Chiesa sulle decisioni politiche e perfino sul comportamento dei singoli senatori. E' un caso di palese violazione dell'articolo 67 della Costituzione, che tutela l'esercizio parlamentare senza vincolo di mandato". Raddoppia quasi tutte le finali, nel suo intatto accento sardo. La casa è ingombra di mobili che costruisce Giovanni stesso, con fatica e pazienza certosina: un hobby antico. La moglie si lamenta, però: "Da quando è a Strasburgo (Giovanni Berlinguer è eurodeputato ds, ndr) lavora meno - dice portando l'ospite in giro per la casa -. E io, invece, ho bisogno che sistemi un tavolo che altrimenti viene giù". C'è un altro aspetto del nascente partito che non piace affatto al fratello del più amato dei segretari Pci. "Sono deluso per un processo che è tutto di vertice, per l'assenza di contenuti ideali e programmatici e per il disdegno - sì, il disdegno - nei confronti di forme di partecipazione possibili e invece mortificate e perfino combattute. Ora, intendiamoci, io non mi auguro affatto il fallimento del Partito democratico, sarebbe un regresso per tutti noi. Ma certo, mentre nasce quel partito, qualcun altro dovrà lavorare a unire le forze sparse della sinistra...".
Eccola, dunque, l'antichissima «nuova frontiera» di questo professore emerito in Psicologia e Igiene del lavoro: la sinistra. Giovanni Berlinguer parla di precari e disoccupati, ricorda l'esistenza in Italia di 25 milioni di lavoratori, reclama la difesa dei ceti deboli, la necessità di una politica di pace. E' convinto che di tutto ciò il Partito democratico non si occuperà. "E invece vedo una forte volontà di aggiornamento nella sinistra italiana - incalza -. Il passo più importante è stato compiuto sul tema della violenza, e già da tempo ormai. Ora è in atto un grande sforzo nell'assunzione di responsabilità di governo, per evitare che posizioni estreme, di rottura facciano saltare tutto per aria. E' un percorso sul quale è incamminata non solo Rifondazione. Penso ai Comunisti italiani, al mondo dell'ambientalismo, a gruppi e movimenti impegnati in un processo di revisione. E' una sfida difficile, la nostra, lo so. Come quella del Partito democratico, del resto. Ma è solo la competizione e poi l'alleanza tra queste due formazioni future che può permetterci di governare l'Italia. Cambiandola".
Governare per cambiare. Che è diverso dal governare per modernizzare, uno degli slogan del futuro Pd. Giovanni Berlinguer spiega la differenza. Argomenta, cita esempi, ragiona. E nel momento dell'addio al partito germinato dal partito nel quale ha militato per una vita, sembra lasciare poco spazio all'emozione. "Mi spiace, se è questa l'impressione. Invece sono molto coinvolto emotivamente. Mi auguro che ci siano meno lacerazioni possibili. Spero che i nostri diversi percorsi siano intrecciati. Ma quel che è certo è che non intendo rinunciare all'idea di un partito della sinistra democratica collegato all'esperienza del socialismo europeo". Come tanti altri compagni reduci dal vecchio Pci, Giovanni Berlinguer è di fronte alla seconda grande svolta della sua vita. Meno inevitabile di quella dell'89, peggio argomentata, frutto di una scelta discutibile, e infatti discussa, non parto di una drammatica necessità storica. "Nell'89 io subii una forte scossa. Ma riflettendo arrivai all'idea che in quella svolta c'erano assieme un fallimento storico e una grande opportunità: la liberazione da regole e dogmi che avevano frenato un'intera generazione". E' chiaro che per lui, stavolta, le cose non stanno così. La valigia per Firenze, per l'ultimo congresso del suo partito, è pronta. E ora sì che l'ultimo dei Berlinguer deve controllare l'emozione. "Non parteciperò all'elezione dei dirigenti che scioglieranno i Ds - dice -. E il distacco dal tronco rinsecchito sarà immediato o graduale, dipenderà da loro. Ascolterò il congresso e spero non si ripetano intolleranze nei confronti delle nostre decisioni". Giovanni Berlinguer prende un'altra via. E se questo renda incompatibile la presenza del fratello Enrico tra i numi tutelari del Partito democratico, decidetelo un po' voi. Lui non vuole nemmeno sentirne parlare: "E' una cosa barbara giocare con i morti e la memoria". Tutto qui.

intervista di FRANCESCO GEREMICCA per La Stampa del 18-04-2007

Viaggio di sola andata

domenica 15 aprile 2007

La soluzione non è già pronta, ma cominciamo

Bisogna avviare un "dialogo tra compagni", anche se "non sarà facile", non c'è già una soluzione pronta per unire tutti quelli che non vogliono il Pd, ma "c'è un lavoro da fare, va cominciato". Lo dice il leader della sinistra Ds Fabio Mussi, parlando al congresso dello Sdi. "Ho detto che sono interessato a questo confronto", ricorda Mussi. "Non dobbiamo farci illusioni che sia già pronta la soluzione per mettere insieme tutti quelli che non vogliono il Pd. C'è bisogno di lavorare, sui valori, sui principi, un tavolo di confronto. Ma non bisogna avere paura delle strade non ancora battute, a patto di avere una qualche idea di dove si vuole andare. Impegniamoci tutti nella ricerca, sviluppiamo questo dialogo tra compagni".
Per Mussi "c'è bisogno di cose nuove e importanti, dei valori, di una forza ispirata al socialismo, che ha radici nella storia e che guarda al futuro. Più appassionata alla discussione sulle riforme che ad un progetto sui riformismi".

Mozione Mussi al congresso provinciale

Gli appelli rivolti alla maggioranza per evitare la scomparsa della sinistra sono caduti nel vuoto. DS e Margherita perseguono la loro fusione. I congressi non hanno sciolto i nodi politici che anzi risultano più aggrovigliati di prima. Il processo costitutivo del Partito Democratico è una scelta consumata senza che sia stata fatta chiarezza sulla tavola dei valori e sulla collocazione internazionale, né sui punti fondamentali di programma e cultura politica, che si chiamano: lavoro, ambiente, laicità dello Stato, diritti civili, libertà delle persone e della scienza e riforma della politica.
Più di un quarto degli iscritti risulta contrario o fortemente critico verso la formazione del Partito democratico. Non riusciamo ad essere partecipi, né vediamo entusiasmo fra gli stessi compagni della maggioranza che pure hanno fatto questa scelta.
La sinistra deve vivere. Tutto parla del bisogno di sinistra, non dell'esigenza di slittamenti centristi e moderati. La scomparsa del nostro partito lascerà un vuoto politico. Non riusciamo a vedere un futuro per la sinistra dentro un partito che nega i simboli del socialismo. Fare la sinistra del Partito Democratico è una prospettiva che non ci interessa. Non possiamo convincerci di avere spazio per condizionare un partito necessariamente più spostato al centro, perché non la riteniamo la risposta alle questioni che si pongono. La integrazione europea richiede anche in Italia una forza di sinistra e d’ispirazione socialista, aperta alle sfide di questo secolo.
La Costituente del Partito democratico aprirà altri processi a sinistra. Per questo appare importante essere parte di un processo ambizioso ed affascinante, ora che tutta la sinistra condivide la responsabilità di governo a livello nazionale, che abbia come obiettivo quello di raccogliere consensi per creare una forza di governo, collocata nel PSE, alleata e competitiva con il Partito Democratico.
Non ci nascondiamo le difficoltà che pone l’attuale frammentazione, né ci nascondiamo che non potrà essere un processo breve. Non vogliamo, che nasca dalla sommatoria dei gruppi dirigenti, come sta avvenendo con il Partito Democratico, ma attraverso una ricerca aperta a chi chiede una rappresentanza politica nuova. Chiamiamo i cittadini ad essere protagonisti di questa percorso per dar vita e forza ad un movimento politico organizzato per la sinistra democratica e il socialismo, con l’obiettivo di una grande e unitaria forza della sinistra.
I Democratici di Sinistra continueranno a vivere fino alla confluenza della maggioranza nel partito democratico. Nel Trentino le incertezze del partner rendono più difficoltoso il percorso, né possiamo negare che di fronte a questa scelta ci prenda un senso di vuoto rispetto ai percorsi di vita comuni, la nostra storia, ma è la Politica che ci chiede scelte forti anche nel senso di sofferenza che non può non farsi sentire in frangenti come questo. Non vogliamo vivere da separati in casa in una logorante interdizione di un percorso non condiviso. Non è in discussione quindi se la mozione Mussi aderirà al Partito democratico, ma riteniamo che il percorso di scioglimento e lo scenario politico trentino rendano opportuno un raccordo fra le diverse anime che sono uscite dal Congresso e quindi intendiamo essere presenti, per diritto di tribuna perché comunque nel nostro vocabolario non esiste la parola scissione, nella Direzione dei Ds, con una rappresentanza per accompagnare il processo politico in corso fino al definitivo scioglimento dei DS, lavorando peraltro alla costruzione di un movimento organizzato della sinistra.