lunedì 16 marzo 2009

E l’uguaglianza fa bene alla crescita della società

Secondo i due sociologi autori del volume, la stabilità vacilla dov´è più ampio il gap tra chi è ricco e chi vive in povertà. I modelli vincenti: Scandinavia e Giappone. Gli Stati con più problemi, invece, sono gli Usa, il Portogallo e il Regno Unito.

L´ineguaglianza è la madre di tutti i mali: più ampio è il gap tra ricchi e poveri in una società, peggio quella società funziona da ogni punto di vista. È meno solida, meno stabile, più vittima del crimine, con più ignoranza, più gravidanze minorili, più detenuti, più malattie, più obesi, più depressi, più infelicità. Ecco un teorema che piacerebbe ai nostalgici del socialismo vecchia maniera. Eppure, sorpresa, viene da due sociologi che non vogliono affatto ricostruire il socialismo: consigliano semplicemente alle nazioni della terra di seguire il modello della Scandinavia o del Giappone, se vogliono avere una vita migliore. Lo spiegano, con tanto di cifre, grafici, statistiche, in un volume pubblicato in questi giorni in Gran Bretagna: The spirit level. Why more equal societies almost always do better.
Dalle aule di Oxford e Cambridge fino ai corridoi di Downing Street e Westminster, se ne parla come del libro dell´anno, un testo che ogni leader politico, sindacalista, imprenditore illuminato, dovrebbe leggere, specie nel momento in cui, di fronte a una recessione economica e finanziaria forse senza precedenti, tutti si chiedono come ricostruire il capitalismo.
Gli autori, gli inglesi Richard Wilkinson e Kate Pickett, cominciano affermando qualcosa che molti pensano ma non tutti si azzardano a dire, per timore di passare per oscurantisti, improduttivi o lunatici: siamo già abbastanza ricchi. La crescita economica dell´ultimo mezzo secolo ha fatto abbastanza per migliorare le condizioni materiali nei paesi industrializzati (e ha cominciato a migliorarle anche in quelle in via di sviluppo). Ora il compito dell´Occidente sviluppato sarebbe di concentrare i propri sforzi nel tentativo di rendere il reddito dei propri cittadini più ugualitario, almeno quanto quello di Giappone e Scandinavia: non per ragioni morali, non per sentirsi più buoni, non in nome di un egualitarismo socialista, ma perché, così facendo, saremmo tutti meno grassi, staremmo meglio di salute, vivremmo mediamente almeno un anno di più, faremmo vacanze più lunghe, ci fideremmo di più gli uni degli altri, insomma le nostre società sarebbero più armoniose e felici.
Dati alla mano (raccolti dall´Onu, dalla Banca Mondiale, dall´Organizzazione Mondiale della Sanità), i due ricercatori britannici dimostrano che il peggioramento della qualità della vita, come risultato di un aumento della diseguaglianza, risalta ovunque. Praticamente in ogni indice della qualità della vita, si può osservare una forte correlazione tra il livello di ineguaglianza economico di un paese e i suoi risultati sociali.
L´America, ad esempio, è il paese più ricco del mondo, con il reddito medio più alto, ma ha la longevità più bassa tra le nazioni sviluppate, il più alto numero di omicidi, la più alta percentuale di carcerati in rapporto alla popolazione, ed è ai primi posti della classifiche di obesi, di ragazze-madri, di alcolismo, tossicodipendenza, nevrosi. E il paese europeo che ha il più ampio gap tra ricchi e poveri, la Gran Bretagna (dove questo divario è enormemente aumentato, anziché diminuito, nei dodici anni di potere laburista, prima con Tony Blair, ora con Brown), è quello che è in cima alle stesse graduatorie sui problemi sociali e sulla violenza sociale nel nostro continente.
I paesi occidentali dove si vive meglio, afferma il libro, sono quelli dove l´ineguaglianza è più ridotta, e precisamente (nell´ordine) Giappone, Finlandia, Norvegia, Svezia, Danimarca, Belgio, Austria. Quelli dove invece i problemi sociali sono più forti sono quelli nei quali è più forte la diseguaglianza: Stati Uniti, Portogallo, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Israele e, al settimo posto, l´Italia, dove il quinto più ricco della popolazione è 6,7 volte più ricco del quinto più povero (negli Usa la differenza è 8,5 volte, in Giappone 3,4).
Concludono gli autori: diventare ricchi aveva l´effetto automatico di rendere una nazione più sana e più soddisfatta, e non c´è dubbio che il miracolo economico del dopoguerra, in Italia e altrove, sia servito a questo. Ma - nei paesi industrializzati - non funziona più così, anche perché la forbice dell´arricchimento si allarga a beneficio di una élite sempre più ristretta. Si può concordare o meno con la tesi, ma ecco un libro da tradurre subito in italiano e da far leggere ai nostri leader, al governo e all´opposizione.

di Enrico Franceschini da la Repubblica 16 marzo 2009

Nessun commento: