Mentre la politica - la politica "che conta" - è entrata in una fase di particolare complessità (sulla questione salariale e sulla legge elettorale si stanno giocando, in queste settimane, partite abbastanza decisive), l'attualità politica resta dominata da una categoria suprema: l'emergenza. Anzi, più che di una categoria si tratta di una vera e propria sindrome: quasi tutto, fatti reali o fatti montati a dismisura o fatti addirittura inesistenti, in questo Paese diventano Emergenza. Emergenza rifiuti, certo fondata, che ora apre ogni Tg serale a mattutino con la visione apocalittica delle città campane sommerse dalla mondezza - ma che data, come tutti sanno, da almeno tre lustri. Emergenza morti sul lavoro, certo ancora più fondata, che è esplosa con la strage della Thyssen Krupp - ma che a sua volta ha radici lunghe e nettissime ragioni di classe. Emergenza sicurezza, che invece proprio non c'è - e che se mai andrebbe battezzata come emergenza paura. Emergenza salariale, che c'è - e basta essere un normale lavoratore, o una normale massaia che va a fare la spesa, per saperlo. Emergenza riforma elettorale, che forse c'è, ma che comunque non interessa - legittimamente - a nessun cittadino "normale". Tutte cose molto diverse, tra di loro. Ma, appunto, prima ancora che un contenuto, l'emergenzialismo è una modalità, un approccio, una filosofia, a volte consapevole e anche cinica, a volte perfino quasi inconsapevole. L'emergenza viene cioè rappresentata come un'esplosione improvvisa, una bufera inattesa, una nevicata nel mezzo dell'agosto. E' la rottura drammatica di un equilibrio o di un ordine che, fino ad allora, erano percepiti o vissuti come tollerabili. Insomma, è un'eccezione che rompe la normalità - e come tale richiede misure eccezionali, immediate, talora emotive o poco riflettute, di sicuro mai "strategiche". Diamine, se torno a casa e trovo tutto allagato, la mia prima preoccupazione sarà quella di togliere l'acqua in eccesso e di chiamare un pronto intervento idraulico, non certo quella di rimettere a nuovo, o a norma, il sistema che ha prodotto l'allagamento! Così procede la politica italiana, così si comporta l'informazione: un'alleanza maledetta tra due poteri pubblici cruciali, che si alimentano a vicenda nella produzione di un clima che sta minando alcuni essenziali fondamenti della nostra - già non brillante - democrazia.
***Perché la logica dell'emergenza è sempre sbagliata? Per almeno tre ragioni, che proviamo ad analizzare schematicamente.
La prima ragione già la accennavamo sopra: l'eccezionalità, anche quando è legata a necessità effettive o evidenti, fa sempre velo alla natura reale - quasi sempre strutturale - dei problemi e ne rallenta sempre la soluzione, o la possibilità di soluzione. Ne è un esempio chiaro la lunga teoria di "morti bianche", di incidenti sul lavoro, di vere e proprie stragi, che da anni caratterizzano il nostro paese e il sistema economico-sociale - questo giornale (e pochi altri, ricordo il "manifesto" negli anni '70) non si stanca di denunciare, di raccontare, di indicare le cause di fondo, di proporre soluzioni. Ci sono state e ci sono commissioni parlamentari ad hoc. Ma, fino alla tragedia della Thyssen Krupp, né la politica né l'informazione (quella grande, quella che conta) si sono accorti delle morti e degli incidenti quotidiani. Poi, con Torino, è scattato qualcosa: l'Emergenza, appunto. Forse, per qualche settimana, gli incidenti diminuiranno. Ma poi? Calato il sipario su quei sette corpi di operai straziati, esaurita la commozione e stemperata la pietà, tutto resterà come prima - senza la sicurezza, senza i controlli, senza la repressione necessarie, ma sotto la frusta della produttività e della competizione economica mondiale, che sono i valori portanti del nostro tempo.
La seconda ragione è che la sindrome emergenziale, fondata o non fondata che sia, serve talora - molto spesso - a legittimare scelte non democratiche, o pericolosamente antidemocratiche. La guerra è l'esempio più chiaro: in tempi bellici, leggi e diritti della cittadinanza sono sospese, in parte o in tutto, il potere politico stesso cede alla logica del potere militare.
Ma basta dichiarare una guerra "anomala", come la guerra al terrorismo, per ottenere effetti analoghi, pur in tempo di pace, pur nel pacifico e avanzato occidente - negli Usa, il "Patriot Act", a tutt'oggi in vigore, consente giust'appunto la sospensione di diritti finora considerati costitutivi in quella che molti si ostinano a considerare la culla della democrazia. E basta dichiarare un'Emergenza che non c'è - quella della Sicurezza nelle città - per sfornare decreti inutili, perseguitare cittadini di etnia "sbagliata", inviare all'opinione pubblica un messaggio (finto) muscolare. Questo è proprio un caso in cui la coalizione tra le responsabilità della politica e il ruolo dell'informazione provoca - sta provocando - una vera regressione democratica e civile. I direttori dei Tg (e dei grandi quotidiani) possono anche negare l'evidenza, ma mentono sapendo di mentire quando sostengono di fare, né più né meno, il loro mestiere: sono anni che qualsiasi delitto, omicidio o stupro o rapina, commesso da un cittadino extracomunitario ottiene titoli, attenzione e spazio imparagonabili a quelli dei loro omologhi italiani; sono anni che la cronaca nera, l'ossessione "gialla", le telenovelas delittuose, da Cogne a Garlasco, invadono a dismisura la programmazione televisiva; sono anni, insomma, che il sistema dell'informazione, non questo o quel quotidiano, diffonde ogni giorno la certezza a)che i crimini, gli omicidi, stanno vertiginosamente aumentando; b)che sono gli stranieri ad aver indotto questa macabra crescita di delittuosità; c)che il cittadino (italiano e bianco) è sempre più indifeso ed esposto ad ogni pericolo; d)che dunque servono misure eccezionali a garanzia, appunto, della sicurezza delle persone. La politica, come spesso le accade, questa volta ha seguito l'onda, come si usa dire - e del resto la tecnica del capro espiatorio è antica quasi come la civiltà, e serve a molti, quasi a tutti. Il risultato concreto, anche qui, è quasi irrilevante, mentre rilevantissima è la crescita di umori razzisti, xenofobi, intolleranti, spietati. Questa, del resto, è una guerra ad altissimo tasso simbolico, dove il potere, oltretutto, sfrutta ignobilmente l'insicurezza e la paura di massa che effettivamente ci sono - del resto, come può la "common people", normalmente precaria, sentirsi "al sicuro" in tempi come questi? La precarietà come condizione del lavoro e della vita: ecco ciò che sta succedendo effettivamente nelle nostre società, e che mina radicalmente la fiducia nel futuro - talora la razionalità.
Terza e (non) ultima ragione: a forza di procedere di emergenza in emergenza, a forza di ignorare le emergenze vere e di inventare quelle false, tutto diventa egualmente importante e parimenti drammatico - ovvero tutto rischia di diventare irrilevante. Con effetti ulteriori di scetticismo e di sfiducia, nel già vasto abisso che separa la vita reale dall'establishment (economico, politico, istituzionale, informativo, televisivo, ormai che differenza c'è?). Quando, appunto, un'emergenza come quella campana dei rifiuti si protrae, o si ripete, magari aggravata, per un ventennio, ogni allarme rischia di suonare come la grida di manzoniana memoria: un vuoto e roboante esercizio retorico (e bisognerebbe esser dotati di fede cieca per credere nelle virtù taumaturgiche del prefetto Di Gennaro). Quando ci sono emergenze puntuali come le stagioni (le frane primaverili del devastato e mai risanato geo-territorio italiano, le rivolte estive di carcerati che non ce la fanno più, gli incidenti ferroviari per degrado (voluto) delle Ferrovie, le "stragi del sabato sera" sulle strade per incitamento alla velocità, voluto da un'economia a tutt'oggi fondata sull'automobile, e mille altri esempi che si potrebbero fare) è sicuro che subentrano l'abitudine, la "mitridizzazione", forse l'indifferenza. Quando quella che è oggi l'emergenza mondiale più grave di tutte - l'impazzimento climatico - viene tranquillamente dichiarata come tale, e poi non succede nulla, assolutamente nulla, in che cosa le persone possono continuare a credere? Sì, è nostra radicata convinzione che questa Emergenza infinita sia una malattia, tra le più gravi, del nostro tempo. Finchè la politica e l'informazione non saranno in grado di liberarsene, e di tornare ad affrontare i problemi - che sono sempre complessi, e chiedono tempi, pazienza, e la fatica del cambiamento - in un'ottica di serietà, la loro stessa crisi non potrà che galoppare.
di Rina Gagliardi da Liberazione del 13 gennaio 2008
La prima ragione già la accennavamo sopra: l'eccezionalità, anche quando è legata a necessità effettive o evidenti, fa sempre velo alla natura reale - quasi sempre strutturale - dei problemi e ne rallenta sempre la soluzione, o la possibilità di soluzione. Ne è un esempio chiaro la lunga teoria di "morti bianche", di incidenti sul lavoro, di vere e proprie stragi, che da anni caratterizzano il nostro paese e il sistema economico-sociale - questo giornale (e pochi altri, ricordo il "manifesto" negli anni '70) non si stanca di denunciare, di raccontare, di indicare le cause di fondo, di proporre soluzioni. Ci sono state e ci sono commissioni parlamentari ad hoc. Ma, fino alla tragedia della Thyssen Krupp, né la politica né l'informazione (quella grande, quella che conta) si sono accorti delle morti e degli incidenti quotidiani. Poi, con Torino, è scattato qualcosa: l'Emergenza, appunto. Forse, per qualche settimana, gli incidenti diminuiranno. Ma poi? Calato il sipario su quei sette corpi di operai straziati, esaurita la commozione e stemperata la pietà, tutto resterà come prima - senza la sicurezza, senza i controlli, senza la repressione necessarie, ma sotto la frusta della produttività e della competizione economica mondiale, che sono i valori portanti del nostro tempo.
La seconda ragione è che la sindrome emergenziale, fondata o non fondata che sia, serve talora - molto spesso - a legittimare scelte non democratiche, o pericolosamente antidemocratiche. La guerra è l'esempio più chiaro: in tempi bellici, leggi e diritti della cittadinanza sono sospese, in parte o in tutto, il potere politico stesso cede alla logica del potere militare.
Ma basta dichiarare una guerra "anomala", come la guerra al terrorismo, per ottenere effetti analoghi, pur in tempo di pace, pur nel pacifico e avanzato occidente - negli Usa, il "Patriot Act", a tutt'oggi in vigore, consente giust'appunto la sospensione di diritti finora considerati costitutivi in quella che molti si ostinano a considerare la culla della democrazia. E basta dichiarare un'Emergenza che non c'è - quella della Sicurezza nelle città - per sfornare decreti inutili, perseguitare cittadini di etnia "sbagliata", inviare all'opinione pubblica un messaggio (finto) muscolare. Questo è proprio un caso in cui la coalizione tra le responsabilità della politica e il ruolo dell'informazione provoca - sta provocando - una vera regressione democratica e civile. I direttori dei Tg (e dei grandi quotidiani) possono anche negare l'evidenza, ma mentono sapendo di mentire quando sostengono di fare, né più né meno, il loro mestiere: sono anni che qualsiasi delitto, omicidio o stupro o rapina, commesso da un cittadino extracomunitario ottiene titoli, attenzione e spazio imparagonabili a quelli dei loro omologhi italiani; sono anni che la cronaca nera, l'ossessione "gialla", le telenovelas delittuose, da Cogne a Garlasco, invadono a dismisura la programmazione televisiva; sono anni, insomma, che il sistema dell'informazione, non questo o quel quotidiano, diffonde ogni giorno la certezza a)che i crimini, gli omicidi, stanno vertiginosamente aumentando; b)che sono gli stranieri ad aver indotto questa macabra crescita di delittuosità; c)che il cittadino (italiano e bianco) è sempre più indifeso ed esposto ad ogni pericolo; d)che dunque servono misure eccezionali a garanzia, appunto, della sicurezza delle persone. La politica, come spesso le accade, questa volta ha seguito l'onda, come si usa dire - e del resto la tecnica del capro espiatorio è antica quasi come la civiltà, e serve a molti, quasi a tutti. Il risultato concreto, anche qui, è quasi irrilevante, mentre rilevantissima è la crescita di umori razzisti, xenofobi, intolleranti, spietati. Questa, del resto, è una guerra ad altissimo tasso simbolico, dove il potere, oltretutto, sfrutta ignobilmente l'insicurezza e la paura di massa che effettivamente ci sono - del resto, come può la "common people", normalmente precaria, sentirsi "al sicuro" in tempi come questi? La precarietà come condizione del lavoro e della vita: ecco ciò che sta succedendo effettivamente nelle nostre società, e che mina radicalmente la fiducia nel futuro - talora la razionalità.
Terza e (non) ultima ragione: a forza di procedere di emergenza in emergenza, a forza di ignorare le emergenze vere e di inventare quelle false, tutto diventa egualmente importante e parimenti drammatico - ovvero tutto rischia di diventare irrilevante. Con effetti ulteriori di scetticismo e di sfiducia, nel già vasto abisso che separa la vita reale dall'establishment (economico, politico, istituzionale, informativo, televisivo, ormai che differenza c'è?). Quando, appunto, un'emergenza come quella campana dei rifiuti si protrae, o si ripete, magari aggravata, per un ventennio, ogni allarme rischia di suonare come la grida di manzoniana memoria: un vuoto e roboante esercizio retorico (e bisognerebbe esser dotati di fede cieca per credere nelle virtù taumaturgiche del prefetto Di Gennaro). Quando ci sono emergenze puntuali come le stagioni (le frane primaverili del devastato e mai risanato geo-territorio italiano, le rivolte estive di carcerati che non ce la fanno più, gli incidenti ferroviari per degrado (voluto) delle Ferrovie, le "stragi del sabato sera" sulle strade per incitamento alla velocità, voluto da un'economia a tutt'oggi fondata sull'automobile, e mille altri esempi che si potrebbero fare) è sicuro che subentrano l'abitudine, la "mitridizzazione", forse l'indifferenza. Quando quella che è oggi l'emergenza mondiale più grave di tutte - l'impazzimento climatico - viene tranquillamente dichiarata come tale, e poi non succede nulla, assolutamente nulla, in che cosa le persone possono continuare a credere? Sì, è nostra radicata convinzione che questa Emergenza infinita sia una malattia, tra le più gravi, del nostro tempo. Finchè la politica e l'informazione non saranno in grado di liberarsene, e di tornare ad affrontare i problemi - che sono sempre complessi, e chiedono tempi, pazienza, e la fatica del cambiamento - in un'ottica di serietà, la loro stessa crisi non potrà che galoppare.
di Rina Gagliardi da Liberazione del 13 gennaio 2008
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