«Aver favorito la crescita economica e aver esteso i diritti civili: è stata questa la “ricetta” vincente di Zapatero». A sostenerlo è Donald Sassoon, ordinario di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, tra i più autorevoli studiosi della sinistra europea». «Il leader socialista - rimarca Sassoon - ha saputo far vivere una idea forte di laicità senza provocare lacerazioni nella società spagnola».
La Spagna ha rinnovato la sua fiducia al Psoe di Zapatero. Come leggere questo successo elettorale?
«Gli spagnoli hanno premiato un’azione di governo che aveva consolidato una svolta laica nel Paese; una svolta davvero impressionante se si pensa al peso che la Chiesa ha avuto per così tanti anni in Spagna. Quando parlo di svolta laica mi riferisco in modo particolare alle varie riforme nel campo dei diritti civili, tra le quali quella del matrimonio gay: se solo una decina di anni fa qualcuno avesse parlato di una cosa del genere lo avremmo tacciato di “pazzia” politica. E questa svolta, altro dato a merito di Zapatero, è avvenuta senza provocare lacerazioni insanabile nella società spagnola; certo, la Chiesa ha protestato ma questa innovazione progressiva nel campo dei diritti civili è stata talmente metabolizzata dalla società spagnola che anche il campo conservatore aveva affermato che quelle leggi così avanzate non sarebbero state cancellate nel caso di una sua vittoria».
Quale è stato una altro terreno centrale nello scontro politico in Spagna?
«L’economia. L’andamento dell’economia spagnola, al pari di quella delle altre maggiori economie europee, era stato positivo fino ad un anno fa, e di fatti se Zapatero avesse anticipato le elezioni ad ottobre, avrebbe probabilmente riportato una vittoria ancor più netta di quella, comunque ampia, che ha ottenuto. E significa anche che è sempre più difficile per i governi europei fare fronte a una economia che è sempre più globalizzata, per cui la crisi dei mutui che sta segnando profondamente l’economia statunitense si è subito proiettata sulle economie europee. E poi c’è un terzo terreno su cui Zapatero ha fortemente caratterizzato la sua azione di governo..».
Qual è questo terzo terreno?
«Quello dell’immigrazione, uno dei temi che più ha caratterizzato la campagna elettorale spagnola, così come da molti anni ha una particolare rilevanza in Gran Bretagna e in Francia. I partiti di sinistra non sono ancora riusciti a convincere pienamente il loro elettorato che in realtà il fatto che ci sia immigrazione è un segno che l’economia e il sistema-Paese funzionano; tradizionalmente l’immigrazione è una cosa che rende: la riprova sono gli Stati Uniti, un Paese che ha avuto una fortissima immigrazione negli ultimi trenta-quarant’anni, quasi pari a quella della fine dell’Ottocento, e che in questo arco di tempo ha avuto un fortissimo incremento. Gli immigrati portano prosperità, ma questo è un messaggio che la sinistra non ha saputo diffondere, finendo così per restare subalterna ad alcune parole d’ordine della destra».
Un altro tema scottante, soprattutto nell’insanguinata vigilia del voto, è stato il terrorismo.
«Un terreno su cui Zapatero ha mostrato una grande capacità di leadership. Il leader socialista ha saputo fare una cosa che è sempre riuscita difficile ai partiti della sinistra: fare del Psoe un partito che nella lotta al terrorismo non ha cedimenti, non è arrendevole, ma che allo stesso tempo tiene duro sulle parti più importanti dei diritti civili. È una lezione importante visto che il terrorismo ha colpito molti dei nostri Paesi. Si può essere determinati, inflessibili senza per questo venir meno ai fondamenti di uno stato di diritto. C’è poi un altro campo dove Zapatero ha mostrato coerenza e determinazione...».
Qual è questo campo?
«Quello della politica estera. Soprattutto sull’Iraq ha mostrato una fermezza critica, cosa che non si può dire per i laburisti inglesi, ad esempio., che rischiano di pagare pesantemente l’interventismo di Blair».
A proposito dell’ex premier britannico: c’è chi vede in Zapatero l’«anti-Blair».
«A parte che Blair almeno in Inghilterra, ed è incredibile per qualcuno che è stato al potere per un decennio, è già quasi dimenticato, ciò di cui sono fermamente convinto è che la sinistra non può continuare ad aspettare, o invocare, un “messia”, sia esso Blair, Zapatero o Obama...L’epoca messianica è finita da tempo, e per fortuna aggiungerei, e l’unico modo per costruire una politica innovativa è di farlo insieme in Europa. È questa la sfida per il futuro per le sinistre e i progressisti europei. Una sfida di cui Zapatero sarà uno dei protagonisti».
di Umberto De Giovannangeli da l'unità del 10 marzo 2005
La Spagna ha rinnovato la sua fiducia al Psoe di Zapatero. Come leggere questo successo elettorale?
«Gli spagnoli hanno premiato un’azione di governo che aveva consolidato una svolta laica nel Paese; una svolta davvero impressionante se si pensa al peso che la Chiesa ha avuto per così tanti anni in Spagna. Quando parlo di svolta laica mi riferisco in modo particolare alle varie riforme nel campo dei diritti civili, tra le quali quella del matrimonio gay: se solo una decina di anni fa qualcuno avesse parlato di una cosa del genere lo avremmo tacciato di “pazzia” politica. E questa svolta, altro dato a merito di Zapatero, è avvenuta senza provocare lacerazioni insanabile nella società spagnola; certo, la Chiesa ha protestato ma questa innovazione progressiva nel campo dei diritti civili è stata talmente metabolizzata dalla società spagnola che anche il campo conservatore aveva affermato che quelle leggi così avanzate non sarebbero state cancellate nel caso di una sua vittoria».
Quale è stato una altro terreno centrale nello scontro politico in Spagna?
«L’economia. L’andamento dell’economia spagnola, al pari di quella delle altre maggiori economie europee, era stato positivo fino ad un anno fa, e di fatti se Zapatero avesse anticipato le elezioni ad ottobre, avrebbe probabilmente riportato una vittoria ancor più netta di quella, comunque ampia, che ha ottenuto. E significa anche che è sempre più difficile per i governi europei fare fronte a una economia che è sempre più globalizzata, per cui la crisi dei mutui che sta segnando profondamente l’economia statunitense si è subito proiettata sulle economie europee. E poi c’è un terzo terreno su cui Zapatero ha fortemente caratterizzato la sua azione di governo..».
Qual è questo terzo terreno?
«Quello dell’immigrazione, uno dei temi che più ha caratterizzato la campagna elettorale spagnola, così come da molti anni ha una particolare rilevanza in Gran Bretagna e in Francia. I partiti di sinistra non sono ancora riusciti a convincere pienamente il loro elettorato che in realtà il fatto che ci sia immigrazione è un segno che l’economia e il sistema-Paese funzionano; tradizionalmente l’immigrazione è una cosa che rende: la riprova sono gli Stati Uniti, un Paese che ha avuto una fortissima immigrazione negli ultimi trenta-quarant’anni, quasi pari a quella della fine dell’Ottocento, e che in questo arco di tempo ha avuto un fortissimo incremento. Gli immigrati portano prosperità, ma questo è un messaggio che la sinistra non ha saputo diffondere, finendo così per restare subalterna ad alcune parole d’ordine della destra».
Un altro tema scottante, soprattutto nell’insanguinata vigilia del voto, è stato il terrorismo.
«Un terreno su cui Zapatero ha mostrato una grande capacità di leadership. Il leader socialista ha saputo fare una cosa che è sempre riuscita difficile ai partiti della sinistra: fare del Psoe un partito che nella lotta al terrorismo non ha cedimenti, non è arrendevole, ma che allo stesso tempo tiene duro sulle parti più importanti dei diritti civili. È una lezione importante visto che il terrorismo ha colpito molti dei nostri Paesi. Si può essere determinati, inflessibili senza per questo venir meno ai fondamenti di uno stato di diritto. C’è poi un altro campo dove Zapatero ha mostrato coerenza e determinazione...».
Qual è questo campo?
«Quello della politica estera. Soprattutto sull’Iraq ha mostrato una fermezza critica, cosa che non si può dire per i laburisti inglesi, ad esempio., che rischiano di pagare pesantemente l’interventismo di Blair».
A proposito dell’ex premier britannico: c’è chi vede in Zapatero l’«anti-Blair».
«A parte che Blair almeno in Inghilterra, ed è incredibile per qualcuno che è stato al potere per un decennio, è già quasi dimenticato, ciò di cui sono fermamente convinto è che la sinistra non può continuare ad aspettare, o invocare, un “messia”, sia esso Blair, Zapatero o Obama...L’epoca messianica è finita da tempo, e per fortuna aggiungerei, e l’unico modo per costruire una politica innovativa è di farlo insieme in Europa. È questa la sfida per il futuro per le sinistre e i progressisti europei. Una sfida di cui Zapatero sarà uno dei protagonisti».
di Umberto De Giovannangeli da l'unità del 10 marzo 2005
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