sabato 15 marzo 2008

Se il mondo va a sinistra

Una spinta a sinistra si avverte nel mondo occidentale. Le cause sono quelle classiche: impoverimento dei ceti più deboli, arricchimento assoluto dei più ricchi, difficoltà crescenti nel sistema capitalistico globalizzato. Ah! Immortale Carlo Marx!
In dettaglio. I socialisti hanno vinto in Spagna nonostante la situazione economica dia segni di crisi. I socialisti non hanno cambiato nè nome nè simbolo. E i giornali raccontano che la grande folla che ha accolto il vincitore Zapatero ha gridato: «Olè, a sinistra».
In Francia i socialisti che sembravano senza speranze, sono invece ancora sul terreno e con i loro colori risorgono e crescono nelle elezioni amministrative. Colui che sarà molto probabilmente il nuovo leader dopo le baruffe “chiozzotte” della famiglia Royal-Hollande, il sindaco di Parigi Delanoë, è favorevole ad una alleanza di tipo neomitterandiano con la sinistra (residua!)
In Germania la sinistra (Linke) cresce alle elezioni dei Länder, e mentre si indebolisce la Grande coalizione tra democristiani e socialisti, questi ultimi cominciano a prendere in considerazione la prospettiva di un dialogo con Lafontaine.
In Inghilterra il tramonto di Blair è anche crisi della sua linea liberista: non sappiamo cosa pensano i suoi guru, Giddens in testa. Non credo che ripristineranno la clausola IV dello Statuto che prevedeva la collettivizzazione dei beni di produzione e di scambio, ma sicuramente dirà “qualcosa di sinistra” questo Labour che è diventato new ma è rimasto Labour.
Un vento di sinistra spira anche oltreoceano dove i programmi sia di Hillary Clinton che di Barack Obama sono sempre più ispirati ad un “preoccupante populismo”, come lo definisce il campione del liberismo ortodosso, l’Economist, visibilmente contrariato dalla cosa (1 marzo 2008) e promettono riforme sociali, specie quella sanitaria, e interventi governativi. È in America che più forti si avvertono i segnali di crisi economica, che non è solo congiunturale (recessione), ma investe il dollaro, investe il capitalismo liberista e globalizzato le cui magnifiche sorti e progressive degli ultimi anni sono fortemente appannate.
E veniamo a casa nostra. L’Italia è sempre un caso a sè, un’anomalia. Qui da noi il cosiddetto “populismo” riemerge non a sinistra, ma a destra. Ha scritto Dario De Vico sul Corriere della Sera (11 marzo 2008): «Sembrava che le ricette dei due principali partiti avessero un po’ lo stesso spirito, che le tendenze centripete all’interno dei due schieramenti stavano finalmente prendendo il sopravvento ... poi è arrivato il pamphlet di Tremonti» e con esso si è rotta la pace centripeta e «mercatista» per usare una parola dell’autore di La paura e la speranza. Un libro “populista” che chiede dazi, controlli, interventi pubblici nei confronti di un liberismo “degenerato” e della globalizzazione. Avremo una politica economica interventista di destra e una liberista di sinistra?
Ovviamente non si può chiedere a Veltroni di accogliere nelle sue vele il vento che viene da Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti e cambiare il programma nel corso della campagna elettorale. Ma il problema si porrà dopo le elezioni. Sia se vince, sia soprattutto se perde, il Pd non potrà isolarsi dal socialismo europeo in forte ripresa. Mi rendo conto che la tendenza “centripeta” impressa da Veltroni al Pd ha avuto forti ragioni: scrollarsi di dosso gli ultimi pezzi di intonaco del crollo del muro di Berlino e accreditarsi al centro verso il ceto medio che lavora e l’imprenditoria privata che produce. Ma lavorano, producono (e muoiono in fabbrica) anche gli operai: ci sono le famiglie a reddito basso e medio basso, i pensionati, i ceti più deboli: insomma il nostro mondo, il mondo della sinistra che si impoverisce, ed è vittima di grave disagio. E ci sono i nostri valori, il laicismo cavallo di battaglia vincente di Zapatero, in una Spagna più cattolica dell’Italia; c’è il nostro cuore antico. E se ci distraiamo ascoltando le sirene della concorrenza, l’Ocse ci ricorda che i salari italiani sono agli ultimi posti in Europa.
E in proposito mi ha fatto una forte impressione la posizione della Conferenza dei vescovi la quale ha invitato gli elettori a “discernere” con riferimento non solo ai valori cattolici della vita e della famiglia - e ciò era scontato - ma anche ai temi più scottanti (puntualmente elencati) della crisi sociale ed economica italiana allo scopo di migliorare le «condizioni di vita della parte più consistente della popolazione». La Cei chiede “larghe intese” su questi problemi di prezzi e salari: e ciò appartiene all’ecumenismo della Chiesa, ma ciò che colpisce è il contenuto, è il contributo fortemente sociale dell'intervento. Evviva per una volta ai preti? Finalmente si può votare secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica che qualche volta si ricorda che Cristo fu il “primo socialista”. Anche se non lo si può mettere accanto al Cardinale Bagnasco, è sintomatico che Mario Monti sostenga che «la globalizzazione ... richiede di essere molto più governata dai pubblici poteri».
Nello scenario politico non vi può, non vi deve essere un populismo demagogico della destra al quale si contrappone un liberismo innaturale, duro e puro del Pd. Bisogna che la sinistra ritrovi le sue radici e i suoi legami con i partiti europei di ceppo comune.
Caro Walter, il socialismo non è morto. Rianimiamolo.

di Giuseppe Tamburrano da l'Unità del 15 marzo 2008

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