giovedì 24 aprile 2008

Se i poveri cancellano la sinistra

Perchè gli operai e gli strati poveri della popolazione non votano a sinistra? Perché votano in misura non trascurabile a destra? Queste sono le domande semplici e fondamentali a cui dovrebbe rispondere la sinistra sconfitta. Credo che solo dalla risposta ad esse possa iniziare la sua ricostruzione. Perché - come ha efficacemente detto Mario Tronti - una sinistra incapace di riscuotere la fiducia degli operai non è una sinistra. E lo è tanto meno se si vede rifiutata dalla parte più povera del popolo.
Cominciamo col dire che i poveri e gli operai che votano a destra non sono un fenomeno nuovo e non sono solo italiano. L'attuale presidente americano George Bush, la cui presidenza ha visto un consistente aumento del numero dei poveri, da questi è stato tuttavia votato. In un'intervista al Corriere della sera il politologo americano Michael Walzer ricordava che il voto italiano del 13 e 14 aprile fa venire in mente che nel 1980 per eleggere Reagan "decisivi furono i cosiddetti Reagan Democrats , elettori della classe operaia bianchi, spesso cattolici che avevano deciso di lasciare il loro partito e votare repubblicano". La crisi della sinistra francese è stata plasticamente evidente nel passaggio delle periferie proletarie tradizionalmente di sinistra alla destra e anche alla destra xenofoba di Le Pen. E si potrebbe continuare.
Nulla di nuovo sotto il sole quindi. Non è nuova neppure l'incapacità di rispondere a questa domanda che la sinistra finora ha dimostrato. Come lo struzzo che, di fronte al pericolo, non lo affronta ma nasconde la testa sotto la sabbia. Ma essa nelle elezioni italiane è apparsa più che mai grande.
Ha portato non al suo ridimensionamento, ma alla sua scomparsa, E soprattutto, osservando il dibattito che si è aperto, è rimasta anche dopo i disastrosi risultati elettorali.
Un tentativo di rispondere a questa domanda è venuta da Barack Obama il sei aprile a San Francisco. Nelle piccole citta colpite dalla crisi - ha detto il candidato democratico - l'amarezza è tale che la persona si sente perduta ed è a quel punto che s'aggrappa non alle reali soluzioni del disagio economico, ma a valori e stili di vita culturalmente consolatori: l'uso delle armi o della religione, la ripugnanza del diverso, dello straniero. E lo stesso Walzer ricorda che i "Reagan Democrats" avevano cambiato schieramento perché erano diventati sensibili a questioni - aborto immigrazione , pena di morte - che fin lì erano rimaste nello sfondo.
«Sono decenni - ha scritto di recente Barbara Spinelli sulla Stampa , affrontando il problema con la consueta profondità - che le cosiddette questioni culturali sono invocate in America per occultare difficoltà e misfatti economici».
Il meccanismo al quale in questi anni abbiamo assistito (anche se abbiamo evitato di affrontarlo) è pressochè identico. Di fronte alla sfiducia nella capacità di chi storicamente si è posto questo compito, cioè la sinistra, di risolvere i problemi sociali, problemi che la globalizzazione rende ancora più grandi, più gravi e più impellenti le classi popolari si rifugiano in un sistema valoriale, identità, territorio, sicurezza. E qui incontrano la destra che di quei valori o di quei disvalori è portatrice mentre la sinistra è drammaticamente assente. Insomma alla incapacità di affrontare questioni sociali che stanno modificando - e in peggio - le condizioni dei più poveri si somma l'assenza nel dibattito sui sistemi valoriali o sulle modalità etiche che dovrebbero guidare la società. Anzi la sinistra quelle questioni le teme, cerca di tenerle lontane dal dibattito politico, invocando nei casi migliori la libertà di coscienza, o rimanendo staticamente legata a vecchie discussioni e a vecchie conclusioni.
In questo rapporto fra incapacità di affrontare i temi sociali e garantire realmente la difesa del lavoro e dei salari ed assenza dai temi etici si è formata ed è cresciuta l'estraneità dei poveri nei confronti della sinistra e si è definito il nuovo comportamento elettorale. Determinante la paura di perdere, dopo essere stato privato delle conquiste e i diritti sociali, quel poco che ai poveri rimane: la famiglia, i valori della propria comunità, la propria religione, le proprie tradizioni.
Il libro di Giulio Tremonti "La paura e la speranza" racconta questo passaggio, lo teorizza, ne fa la base della cultura della destra oggi al governo del paese.
Il nemico individuato è la globalizzazione e il modo in cui essa si esprime, cioè mercatismo, il mercato senza regole e norme, lasciato a se stesso che sta distruggendo il pianeta e la vita delle donne e degli uomini che non riescono più ad avere livello di vita decente. Per Tremonti il mercatismo è un meccanismo neutro che non ha alcun rapporto con la destra anzi se mai ha un legame con il comunismo (pensiero unico e uomo a taglia unica), ma a questo occorre opporsi. Come?
La speranza non viene da un nuovo sviluppo economico, dalla lotta alla globalizzazione e al mercato senza regole in nome di una regolazione del mercato che salvaguardi nuovi livelli di giustizia sociale e di eguaglianza fra i popoli della terra ma dalla riproposizione dell'identità dell'Europa cristiana. Dalle sette parole d'ordine che Tremonti elenca: valori, famiglia, identità, autorità, ordine, responsabilità, federalismo.
Ecco Tremonti ha teorizzato e ha proposto ciò che la destra nel mondo ha fatto, la linea politica e culturale su cui i neocon hanno egemonizzato l'amministrazione americana.
A questo bisogna opporsi. Il modo è tutto da elaborare e su questo la sinistra che ha perso dovrebbe applicare le sue risorse e le sue energie intellettuali. Per quanto mi riguarda penso che la capacità di modificare la condizione sociale non possa essere disgiunta da un intervento altrettanto coraggioso ed energico sulla costruzione di nuovi valori. In una società fluida e disgregata, vita, lavoro, socialità sono strettamente, se pur disordinatamente, intrecciate. La destra ha vinto perché ha saputo fornire una narrazione, ha saputo offrire una esposizione di un sistema di valori e di speranze che hanno avuto più forza di qualunque singola proposta di miglioramento sociale ed economico.
Di recente Nichi Vendola, governatore della Puglia, ha raccontato ad Otto e mezzo un episodio che mi ha colpito. Ha detto di essersi adoperato concretamente e con serietà amministrativa perché un gruppo di lavoratori ricevesse dei benefici che fino ad allora erano stati negati. Ha ricevuto molti ringraziamenti e una sincera gratitudine, ma - ha detto - ho avuto la netta sensazione che al momento del voto altri sarebbero stati i loro percorsi.
Insomma anche Nichi Vendola ha verificato quel divorzio fra il discorso delle pratiche e il simbolico di cui ha recentemente parlato Giacomo Marramao. Ma tutti lo verifichiamo ogni giorno nella nostra esperienza quotidiana. E allora da qui dobbiamo cominciare per avere dalla nostra parte i poveri. O meglio, per stare noi, di sinistra, dalla loro parte.

di Ritanna Armeni da Liberazione del 24 aprile 2008

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