Il neopresidente ha offerto una prospettiva diversa: la democrazia torna ad essere protagonista
L´annuncio di una serie di immediati provvedimenti di Barack Obama, per segnare già nelle prime dichiarazioni un radicale distacco dalla cultura dell´era Bush, induce (obbliga?) ad una discussione sul senso e le prospettive che assumono oggi le politiche dei diritti. So bene che, affrettandosi ad etichettare le mosse del nuovo Presidente degli Stati Uniti, si corre il rischio di cadere in quel chiacchiericcio provinciale che ha già prodotto le impagabili interpretazioni di chi ha indicato in Berlusconi e Bossi i precursori dell´innovazione prodotta dalle elezioni americane. Ma i segnali provenienti dagli Stati Uniti rimbalzano in tutto il mondo sì che, con la giusta misura, bisogna sempre prenderli sul serio.
Cellule staminali, aborto, Guantanamo sono parole familiari, che ci hanno abituato a vedere in esse addirittura il discrimine tra due mondi. Vengono pronunciate oggi per rendere subito evidente dove si vuole produrre una discontinuità. Chiudere il carcere di Guantanamo significa allontanarsi da una logica che, con l´argomento della difesa della democrazia, ha finito con il travolgere proprio i principi democratici, appannando l´immagine di un paese che ha sempre voluto identificarsi con le ragioni della libertà. Se questo annuncio significativo diverrà concreto, possiamo aspettarci anche un abbandono delle aggressive politiche di sicurezza che si sono volute imporre agli altri Stati, facendo divenire planetarie le leggi americane? Su questo punto l´Unione europea avrà qualcosa da dire se si libererà da una soggezione che l´ha indotta non solo ad accogliere eccessive pretese americane, ma anche a mimarne in maniera ingiustificata i modelli, incurante pure degli appelli ad una coerente difesa dei principi di libertà che arrivavano proprio da organizzazioni americane importanti come l´American Civil Rights Union.
Nettissima sarebbe la discontinuità legata all´abbandono delle politiche "ideologicamente offensive" di Bush che hanno vietato il finanziamento federale delle ricerche sulle cellule staminali embrionali e delle organizzazioni internazionali che aiutano le donne ad abortire legalmente. Qui, infatti, hanno pesato in modo determinante i confessionalismi religiosi e, una volta che Obama avesse ripristinato i finanziamenti pubblici, la distanza con la politica ufficiale del Vaticano diverrebbe clamorosa (e assumerebbe ben diverso significato la stessa versione della religiosità di Obama, sulla quale si sono esercitati con grande disinvoltura diversi commentatori). Su questi temi, peraltro, il sostegno dell´opinione pubblica è ben visibile, testimoniato dalla sconfitta in tre Stati dei referendum contro l´aborto e dal successo in un altro di un referendum sul suicidio assistito. E´ lecito sperare che anche in Italia sia possibile tornare con pacatezza sul tema della ricerca sulle staminali, liberandosi anche qui delle pesantezze ideologiche e mettendo magari a frutto contributi come quello recentissimo di Armando Massarenti (Staminalia, Guanda, Parma 2008)?
Le discontinuità non si esauriscono con i casi appena ricordati, ma riguardano altre importanti materie, dalla tutela dell´ambiente alla sanità, dall´istruzione ai diritti dei minori (vi fu un veto di Bush su una legge che li riguardava). Ed è importante sottolineare che la rottura con il passato può essere rapida e immediata perché la maggior parte dei provvedimenti da cambiare ha la sua fonte in "executive orders" di Bush, atti presidenziali che non hanno bisogno dell´approvazione del Congresso. Usando la stessa tecnica, Obama potrebbe effettuare in pochissimo tempo una spettacolare ripulitura del sistema giuridico americano.
Ma, al di là delle pur importantissime questioni specifiche, è significativo il modo in cui viene concepita l´intera strategia d´avvio della nuova presidenza. L´economia presenta il suo conto, pesantissimo. E tuttavia questa indubbia priorità non ha indotto nella classica tentazione della politica dei due tempi: prima i provvedimenti economici e poi i diritti civili. "Erst kommt das Fresse, dann kommt die Moral", prima la pancia e poi la morale, si canta alla fine del primo atto dell´Opera da tre soldi di Bertolt Brecht. Una politica che vuol essere moderna non si risolve tutta nell´uso delle nuove tecnologie, pur così importanti nel successo di Obama. Ha il suo baricentro nella capacità di tenere insieme economia e diritti, individuo e società. I diritti non sono un lusso o un´appendice, di cui ci si può occupare solo a pancia piena, una volta soddisfatti i bisogni economici e di sicurezza, anche perché è proprio la logica dei diritti e delle libertà a definire, in un sistema democratico, le caratteristiche delle politiche economiche e d´ordine pubblico. Ai molti americani, giovani e non, disimpegnati e lontani dalla politica Obama non ha offerto solo il fascino di You Tube, ma una prospettiva diversa, dove appunto la democrazia e i diritti tornano ad essere protagonisti e hanno bisogno di persone che diano loro voce. Una prospettiva non lontana da quella aperta in Europa soprattutto da Zapatero; che attraverso la vicenda americana si conferma, si consolida, ci dice che le politiche dei diritti hanno bisogno di radicalità; e che dovrebbe indurre qualcuno, anche dalle nostre parti, ad abbandonare schematismi e pigrizie.
Non sarà una passeggiata, quella del nuovo Presidente degli Stati Uniti, anche se la sua elezione offre una importantissima garanzia: la Corte Suprema, strumento essenziale per le politiche dei diritti, non subirà un ulteriore "impacchettamento" conservatore. Ma soprattutto il risultato del referendum californiano contro i matrimoni gay apre un delicatissimo fronte politico e giuridico. Quale sarà la linea di Obama, che pure ha esplicitamente ricordato gli omosessuali nel suo discorso di ringraziamento? Come hanno sottolineato i giuristi più attenti, quel referendum incide in forme improprie sul principio di eguaglianza e mette in discussione i diritti già acquisiti dalle diciottomila coppie che hanno utilizzato il nuovo istituto. Tempi impegnativi si sono aperti, e in essi la lotta per i diritti giocherà un ruolo essenziale.
di Stefano Rodotà da la Repubblica del 21 novembre 2008
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