Ci sono tre ragioni fortissime e stringenti per occuparsi con estrema attenzione della disuguaglianza: non solo di disparità di reddito, ma più in generale di opportunità. Prima di tutto una maggiore disuguaglianza porta alla paralisi della mobilità sociale e dei progressi basati sul merito, può dare origine a frustrazioni politiche e fragilità economica. In secondo luogo l’opposizione politica rischia di essere dirottata e trasformata in opposizione populista, contro gli aspetti positivi della globalizzazione, mediante l’uso di politiche e controlli di tipo protezionistico. Già vediamo in atto processi di questo tipo nell’Unione Europea, negli Stati Uniti e in alcuni Paesi in via di sviluppo. In terzo luogo, l’eccesso di disuguaglianza è sempre sbagliato dal punto di vista etico, e potrebbe delegittimare il nostro sistema economico.
Secondo un recente studio dell’Ocse, nel 2005 il 10% più ricco della popolazione percepiva un reddito di 9 volte superiore a quello del 10% più povero. Nei Paesi nordici e in Francia la disuguaglianza era molto inferiore, ma in molte grandi nazioni la disparità era decisamente più elevata. In Messico per esempio la differenza nei livelli di reddito tra il 10% al vertice e il 10% al fondo della scala sociale era di 26 a 1, negli Stati Uniti di 16 a 1, in Italia di 11 a 1 e in Giappone, Regno Unito, Germania e Canada di 8-10 a 1. In termini monetari il rapporto affermava che i cittadini più poveri dei Paesi Ocse erano costretti a vivere in media con meno di 7 mila dollari l’anno, quando non dovevano accontentarsi di 5 mila come in Italia e negli Stati Uniti. I dati citati fotografano unicamente le due estremità del livello di reddito. Non si riferiscono alla disparità di ricchezza, dove il primo decile della popolazione di regola possiede almeno il 50% della ricchezza, definite in termini di patrimonio immobiliare, depositi bancari, prodotti finanziari e altri beni dello stesso genere. Nessuno vuole sostenere che tali disparità siano un fenomeno recente, ma negli ultimi 20 anni le dimensioni della disuguaglianza sono andate aumentando.
Esistono misure che i governi possono intraprendere per affrontare la disuguaglianza da subito, malgrado le pressioni finanziarie generate dalla spesa finalizzata a scongiurare il crollo del sistema bancario. Nel futuro immediato si possono prevedere forme di finanziamento per gli elementi più poveri della società, e si potrebbero avviare programmi concentrati su infrastrutture, rinnovamento urbano, attenuazione dei fenomeni di cambiamento climatico, energie alternative e altri progetti ecosostenibili. Sono cose che dovremo fare comunque, e sarebbe il caso di cominciare subito anche perché questi programmi produrrebbero conseguenze durature sui posti di lavoro e sui redditi.
Nel lungo periodo non ci sono alternative a programmi fortemente strutturati volti a incrementare il livello complessivo dell’occupazione e soprattutto della specializzazione e dell’istruzione. Dobbiamo dar vita a una globalizzazione migliore, capace di una migliore valutazione e gestione dei costi. La Cina è diventata il fulcro della produzione manifatturiera di basso e medio profilo per il mondo intero, e l’India aspira allo stesso ruolo nel settore dei servizi. Dobbiamo lavorare alla pari con questi giganti del mercato emergente. \ Dobbiamo sviluppare programmi che incrementino l’inserimento nella forza lavoro delle donne e delle persone con più di 55 anni. E concentrarci sulle strategie volte a promuovere l’istruzione e la formazione professionale permanenti, per tutta la durata della vita attiva della popolazione, volte ad agevolare la mobilità sociale e la capacità di competere nell’economia globale. Nei prossimi 10 anni avremo più bisogno di ingegneri meccanici che finanziari, occorrerà che i nostri cervelloni si adoperino per costruire cose concrete invece di escogitare complicati modelli di prodotti finanziari. E dobbiamo bloccare la crescente tendenza al pensionamento di persone che godono di un livello di istruzione e competenza più elevato di quello dei loro figli e nipoti che entrano oggi nel mondo del lavoro.
di George Magnus*, La Stampa, 28-11-2008
*Senior Economic Adviser dell’UBS Investment Bank.
Dal saggio «Non possiamo più ignorare la disuguaglianza»
pubblicato su «MicroMega» da oggi in edicola
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