sabato 3 novembre 2007

Caro Bobbio, che cos’è per lei il socialismo?

EPISTOLARI La lunga discussione tra il filosofo e Giuseppe Tamburrano nel loro carteggio inedito tra il 1956 e il 2001. Un momento chiave per la messa a punto dell’idea di sinistra nel pensatore torinese

C’era una volta Norberto Bobbio, ricordate? Sembra un’altra era geologica. Eppure è scomparso poco più di tre anni fa. Ma è come se i temi, i problemi e il pungolo di tante questioni, che arrovellavano la sinistra, e che Bobbio ostinatamente riproponeva, siano finiti in cantina. Col ricordo dello studioso. «Libertà e socialismo», «politica e cultura», «destra e sinistra», governo degli uomini e quello della legge, pacifismo e realismo della forza...
E invece, arriva adesso un libretto bellissimo, e godibilisimo oltretutto. Che ha il pregio di riassumere e rilanciare a «blocchi» tutte quelle questioni: inevase o dimenticate. Soprattutto non riproposte affatto ai più giovani. Ed è un epistolario tra un ex giovane di belle speranze, ma oggi più appassionato e vitale che mai, e il filosofo: Norberto Bobbio e Giuseppe Tamburano, Carteggio. Su marxismo, liberalismo, socialismo (Editori Riuniti, pp.141, euro 14). Il libro, oltre che silloge di problemi vissuti, è una piccola storia di vita. Che comincia nel 1956 e si arresta nel 2001, due anni prima della morte di Bobbio. Storia fatta di un rapporto esemplare. Casuale e insperato all’inizio, ma via via intenso, tra il Tamburrano intellettuale di provincia, che scrive dalla sua Foggia al famoso studioso, e il destinatario. Che risponde al giovanotto sconosciuto e grintoso.
Il quale lo provoca su un punto chiave della polemica culturale di quegli anni: liberal-democrazia e socialismo. Dopo il XX Congresso del Pcus, che aveva svelato la natura totalitaria e dispotica di quel socialismo, e dopo i saggi bobbiani su Politica e Cultura. Nei quali l’azionista Bobbio era entrato in contrasto con Togliatti, col filosofo marxista Della Volpe, e con il «deficit» statual-democratico del marxismo, «privo di una dottrina dello stato».
Tamburrano è pugnace, e rilutta all’idea bobbiana che il metodo della libertà, ben più dei «mezzi riformisti», sia essenziale alla costruzione di un socialismo degno del nome. E perciò insiste sulla trasformazione «necessaria» che il metodo liberaldemocratico dovrebbe subire, una volta innestato sugli ordinamenti socialisti, fondati sulla liberazione del lavoro. E nondimeno poco a poco il giovane studioso, precoce ex comunista, futuro storico del socialismo e Presidente della Fondazione Nenni, perviene alla medesima conclusione di Bobbio. E cioè che l’«involucro liberale» deve resistere alla trasformazione socialista. Che gli «universali procedurali» della democrazia sono un termine di progresso a quo non reditur. Irreversibili, proprio per garantire un vero socialismo, umanista e non dittattoriale.
Anche Bobbio però prende gusto nel rispondere a quel giovane importuno. E precisa meglio il suo pensiero: «tecniche liberali e valori socialisti». Piani distinti ma connessi, ciascuno a servizio dell’altro. E chiarisce teoricamente il suo «modello». Che somiglia molto a quello che già fu di Carlo Rosselli, e del suo «socialismo liberale». Ovvero: socialismo come incessante perseguimento dell’eguaglianza nella liberta. «Giustizia e libertà» sinergiche. E il tutto impiantato su una democrazia piena, conseguente. Che salvaguarda i beni comuni, dalla scuola alle «chances di vita»( termine di Dahrendorf, che Bobbio non usava...). All’ambiente, alle relazioni umane più ampie e non strumentali («non tutto è economia e profitto»). E non senza la prefigurazione di un’economia solidale e associata (il «terzo settore»), che incorpora responsabilità etica, senza venir meno all’efficienza. Ma il fulcro di tutto questo ragionare, che per lettera il giovane e il vecchio svolgono assieme, è questo: persino l’economia racchiude un contenuto non economico, vale a dire «etico». E lo sapeva bene l’Adam Smith della Teoria dei sentimenti morali. Etica coincidente con l’etica civile della società, con la democrazia stessa insomma. La quale per tal via si approssima a un socialismo non totalitario. Che dia spazio al «mercato», senza che sia il criterio regolatore supremo, bensì una della forme - necessarie e democratizzate - della riproduzione sociale. E questo è uno dei nuclei chiave del carteggio. Un nucleo che in Tamburanno diventerà la puntualizzazione dei «fini» del socialismo: liberazione della persona e democrazia conseguente. Che non annulla la distinzione tra stato e società civile, con le «regole» annesse. Un «Fine» inespugnabile da ogni «revisionismo», altresì necessario a reintrodurre la libertà nel socialismo, e a correggere l’integralismo messianico da «Antico Testamento» di quel Marx per tanti versi ancora attuale.
E tuttavia nel carteggio vi sono tante altre cose. Ad esempio la discussione su Gramsci, che Tamburrano ristudia negli anni ‘60, ricevendone ostilità dalla vulgata gramsciana del Pci. Su Rinascita e su Paese Sera. Per Tamburrano Gramsci è pensatore dell’ «egemonia come democrazia», del dialogo, dell’antistalinismo. E soprattutto è pensatore non totalitario, che svincola la politica dal «determinismo economico», affidandola allo sforzo democratico di fare evolvere le «sovrastrutture», le forme di coscienza, entro cui i «rapporti economici» si manifestano. Su questo Bobbio in verità ha qualche dubbio. Specie sulla questione del «moderno principe», il Partito gramsciano come «imperativo categorigo» e intellettuale collettivo, per Tamburrano viceversa «concetto descrittivo» dei partiti moderni. Ma anche su Gramsci c’è un’intesa di fondo, soprattutto sul suo concetto di «società civile», che pone la politica in Occidente ben al di là della barbarie orientale, dispotica e priva di articolazioni civiche.
Altro punto decisivo dell’epistolario è poi quello della «svolta» Pci-Pds, tra il 1989 e il 1991. Connesso a quello del rapporto mancato tra Psi e Pci-Pds. E ancora una volta il giovane, ormai non più giovane, e il grande studioso, si ritrovano d’accordo sui «fondamentali». La svolta di Occhetto infatti è salutata da entrambi con favore. E nondimeno entrambi la avvertono come «amorfa», «acefala». Priva di assi forti, incapace di tematizzare «ciò che è vivo e ciò che è morto» nel socialismo. E proclive a buttare il bambino e l’acqua sporca, in assenza di un vero superamento della tradizione comunista: a «contenuto positivo. Certo, sia in Tamburrano che in Bobbio il dubbio che il socialismo sia morto affiora eccome. Ma vince la persuasione che senza contenuti identitari la sinistra si dissolve. Non per caso Bobbio rilancia la distizione destra/sinistra. E Tamburrano la necessità mondiale dei fini etici e programmatici socialisti. Quanto al Psi di Craxi, gli scriventi dicono: respinse in chiave annessionista la svolta del Pds. Che a sua volta non seppe sfidare l’ipoteca craxiana sul nome «socialista». Quel nome finì abbandonato, ma la cosa rimane. Sì, anche su questo gli autori concordavano. E hanno ancora ragione.

di Bruno Gravagnuolo da l'Unità del 3 novembre 2007

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