La parola delinquente deriva da una voce dotta del tardo latino (delinquere), che significa «venir meno, mancare o sottrarsi al proprio dovere», come ci spiega Il Grande Dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia. Il titolo proposto per questo articolo non vuole essere un espediente per attrarre l’attenzione del lettore, per «épater le bourgeois», come dicono i francesi, per stupire. Non c’è nessuna intenzione di fare leva sull’effetto emotivo, bensì, se possibile, cercare di costruire un discorso sul filo della ragione.
La vocazione a delinquere (sottrarsi al dovere) la riscontriamo in tutte le fasce sociali del nostro Paese, da quelle medio - alte a quelle basse. Per i ceti economicamente più elevati la conferma ci viene dall’alto tasso di evasione fiscale che non ha eguali in Europa. Imprenditori, dirigenti di aziende (i cosiddetti manager), banchieri, professionisti (medici, avvocati, ingegneri, architetti, giornalisti, notai, commercialisti), artigiani, commercianti (i cosiddetti lavoratori autonomi), risultano in base ai tanto osteggiati «studi di settore», in misura del 65% evasori parziali e per il 15% evasori totali, pari, complessivamente, all’80% della fascia economica.
Che larga parte delle persone (uomini e donne) che fanno politica si sottragga al proprio dovere è sufficiente leggere i verbali delle sedute delle assemblee elettive o delle commissioni di competenza (dal Parlamento alle Circoscrizioni municipali ). «Vengono meno al loro dovere» cioè, delinquono, la stragrande maggioranza degli eletti per assenteismo. Percepiscono la diaria o il gettone di presenza (magari tre nello stesso giorno) mentre sono altrove, non dove, in base al mandato ricevuto dai propri elettori, dovrebbero essere.
Nelle scorse settimane ricordando su queste colonne al ministro Mastella che Craxi era un latitante e non un esule, ho scritto che l’ex segretario del Psi andava considerato un «delinquente politico», poiché aveva mancato al suo dovere, quando intascò svariati miliardi del Banco Ambrosiano. Il figlio Bobo, seguendo una nota tradizione stalinista, mi ha definito un «disturbato mentale» e mi ha attribuito l’appartenenza ad una agenzia di stampa sovietica di cui non ho mai visto una copia. Consiglio al sottosegretario agli esteri di leggere un libro fresco di stampa, del noto banchiere Pierdomenico Gallo (in gioventù socialista a Torino), pubblicato da Baldini Castoldi Dalai, in cui racconta quando nelle vesti di direttore generale del Nuovo Banco Ambrosiano incontrò Bettino Craxi (allora presidente del Consiglio), per farsi sanare «il debito ufficiale che il Psi aveva con le banche». Attenzione: non si trattava dei sette miliardi di lire versati attraverso Gelli (P2) sul conto protezione in una banca svizzera. No, quelli erano clandestini e finirono nelle tasche di Bettino. Gallo voleva solo fare rientrare nel Banco Ambrosiano nato dopo il fallimento, ciò che risultava ufficialmente sui libri contabili. Fu «trattato a pesci in faccia con apprezzamenti poco lusinghieri sui libri».
Mancano al proprio dovere quei giornalisti che riferiscono fatti, circostanze, coinvolgendo persone, magari diffamandole, senza aver esercitato il primo, elementare «dovere» di chi svolge questa professione, cioè, il riscontro della fondatezza della notizia di cui si è venuti a conoscenza. Ad esempio, il best seller di Stella e Rizzo, La casta, tra i libri più venduti da settimane (ha superato il milione di copie) nel corso delle numerose ristampe ha subito modifiche, tagli, senza che gli autori, e la casa editrice, rendessero pubbliche queste operazioni effettuate evidentemente per evitare grane giudiziarie. Fermo restando il valore e il significato politico e morale di quest’opera scrivere anche una sola cosa falsa, per un giornalista significa «venir meno al proprio dovere».
Una ragione deve esserci se oggi in Italia avvertiamo una caduta verticale di valori e principi, ed assistiamo ad una pratica diffusa della scaltrezza, della furbizia, dell’inganno, dell’individualismo rampante, dell’arraffare soldi a buon mercato. Si tratta di un processo che viene da lontano, dopo la stagione degli Anni Settanta che, malgrado la sua tragicità rappresentata dal terrorismo, aveva aperto grandi speranze sul fronte della democrazia, della partecipazione, della responsabilizzazione dei cittadini. «È stato - scrive Giovanni Moro in uno stimolante saggio pubblicato in questi giorni da Einaudi - il decennio della partecipazione civile e delle riforme».
Il degrado ha preso il sopravvento sotto la spinta del decisionismo e della falsa modernità. I partiti hanno cessato (prima ancora del terremoto di Tangentopoli) di essere punti di aggregazione e di stimolo in senso pedagogico, trasformando la scienza della politica in una sceneggiata, con tanti guitti alla ricerca dell’immagine. Il terreno era fertile per un fenomeno di questo genere. Lo scrittore Antonio Scurati ci ha ricordato il 24 ottobre scorso su La Stampa che il nostro è un Paese culturalmente arretrato. Abbiamo appena il 40% della popolazione adulta (tra i 25 e i 64 anni) diplomata, contro la media europea che sfiora il 60%; solo il 9% possiede una laurea contro una media europea del 21%. Si vendono un centinaio di copie di quotidiani al giorno ogni mille abitanti: la media europea (comprendente anche l’Italia) è di 270 copie.
Secondo un’indagine diretta da Tullio de Mauro 2 milioni di adulti sono analfabeti totali; quasi 15 milioni sono semi analfabeti, altri 15 milioni sono a rischio: sanno fare la loro firma ma non sono in grado di trasferire un pensiero su un foglio di carta scritto.
Tutti, ormai, in Italia sono favorevoli alla raccolta differenziata della spazzatura, ma il cassonetto per i rifiuti organici dove lo mettiamo? Di fronte a quale numero civico della strada dove abitiamo? Quella puzza sotto la nostra finestra, mai e poi mai; quindi di notte il bidone si sposta dall’82 all’84, all’86, all’88 sino a quando non finisce in rissa. Non si tratta di cose banali perché fanno parte del quotidiano vivere, ricco di comitati, leghe, gruppi, tutti spontanei, spacciando per partecipazione democratica manifestazioni di gretto egoismo individuale o familistico.
È sufficiente ascoltare le penose, quanto drammatiche, interviste che i telegiornali si ostinano a raccogliere tra la «gggente» sul luogo dei delitti purtroppo molto frequenti. Anche qui si tratta di operazioni mistificatorie («abbiamo fatto parlare il popolo»), diseducative anche perché colgono il malcapitato cittadino intervistato nel momento peggiore, cioè, di più acuta tensione emotiva, senza che abbia la possibilità di riflettere, di ragionare, di conoscere, di capire.
Milioni di ascoltatori vengono così incitati alla giustizia sommaria, al razzismo, alla xenofobia, al linciaggio. I vari Riotta, Mimum, Mazza di salvano l’anima dicendo «diamo voce al cittadino della strada», venendo meno al loro dovere che prevede soprattutto fare l’informazione, non la censura, con una funzione educativa. Se il non meglio definito «popolo» esprime sentimenti poco civili (e succede spesso) non è scritto da nessuna parte che i telegiornali debbano fungere da altoparlanti dei medesimi. Diversamente si compiono azioni di carattere delinquenziale (sempre nel significato della parola latina).
Che fare? Ripartendo da zero, tracciando una linea di demarcazione tra questo tipo di mondo (che non ci piace) e un mondo diverso, che è possibile. Con tanta umiltà, ma con tanto impegno e coerenza, iniziando ad esempio dalla scuola del pre-obbligo per cercare di avere tra dieci - quindici anni dei cittadini diversi da quelli di oggi e non dei bulli. Soprattutto gli uomini e le donne che si richiamano ai valori della solidarietà («lavoratori di tutto il mondo unitevi»), della prossimità, tanto cara al prof. De Rita («ama il tuo prossimo come te stesso»), devono riproporre al centro dell’azione politica, dei partiti e di tutti i movimenti di progresso democratico questo impegno, cominciando dai rapporti interpersonali, per ricostruire un tessuto connettivo di civiltà. Ecco ciò che ci si aspetta dal nuovo Partito Democratico e dalla Sinistra: un’azione politica che riduca in modo sensibile il numero di coloro che in Italia vengono meno al proprio dovere, cioè, delinquono. Usando anche internet, se necessario, ma non considerandolo il nuovo dio pagano come qualcuno vorrebbe far credere. Il programma è già stato scritto sessant’anni fa: si chiama Costituzione.
di Diego Novelli da l'Unità del 9 novembre 2007
La vocazione a delinquere (sottrarsi al dovere) la riscontriamo in tutte le fasce sociali del nostro Paese, da quelle medio - alte a quelle basse. Per i ceti economicamente più elevati la conferma ci viene dall’alto tasso di evasione fiscale che non ha eguali in Europa. Imprenditori, dirigenti di aziende (i cosiddetti manager), banchieri, professionisti (medici, avvocati, ingegneri, architetti, giornalisti, notai, commercialisti), artigiani, commercianti (i cosiddetti lavoratori autonomi), risultano in base ai tanto osteggiati «studi di settore», in misura del 65% evasori parziali e per il 15% evasori totali, pari, complessivamente, all’80% della fascia economica.
Che larga parte delle persone (uomini e donne) che fanno politica si sottragga al proprio dovere è sufficiente leggere i verbali delle sedute delle assemblee elettive o delle commissioni di competenza (dal Parlamento alle Circoscrizioni municipali ). «Vengono meno al loro dovere» cioè, delinquono, la stragrande maggioranza degli eletti per assenteismo. Percepiscono la diaria o il gettone di presenza (magari tre nello stesso giorno) mentre sono altrove, non dove, in base al mandato ricevuto dai propri elettori, dovrebbero essere.
Nelle scorse settimane ricordando su queste colonne al ministro Mastella che Craxi era un latitante e non un esule, ho scritto che l’ex segretario del Psi andava considerato un «delinquente politico», poiché aveva mancato al suo dovere, quando intascò svariati miliardi del Banco Ambrosiano. Il figlio Bobo, seguendo una nota tradizione stalinista, mi ha definito un «disturbato mentale» e mi ha attribuito l’appartenenza ad una agenzia di stampa sovietica di cui non ho mai visto una copia. Consiglio al sottosegretario agli esteri di leggere un libro fresco di stampa, del noto banchiere Pierdomenico Gallo (in gioventù socialista a Torino), pubblicato da Baldini Castoldi Dalai, in cui racconta quando nelle vesti di direttore generale del Nuovo Banco Ambrosiano incontrò Bettino Craxi (allora presidente del Consiglio), per farsi sanare «il debito ufficiale che il Psi aveva con le banche». Attenzione: non si trattava dei sette miliardi di lire versati attraverso Gelli (P2) sul conto protezione in una banca svizzera. No, quelli erano clandestini e finirono nelle tasche di Bettino. Gallo voleva solo fare rientrare nel Banco Ambrosiano nato dopo il fallimento, ciò che risultava ufficialmente sui libri contabili. Fu «trattato a pesci in faccia con apprezzamenti poco lusinghieri sui libri».
Mancano al proprio dovere quei giornalisti che riferiscono fatti, circostanze, coinvolgendo persone, magari diffamandole, senza aver esercitato il primo, elementare «dovere» di chi svolge questa professione, cioè, il riscontro della fondatezza della notizia di cui si è venuti a conoscenza. Ad esempio, il best seller di Stella e Rizzo, La casta, tra i libri più venduti da settimane (ha superato il milione di copie) nel corso delle numerose ristampe ha subito modifiche, tagli, senza che gli autori, e la casa editrice, rendessero pubbliche queste operazioni effettuate evidentemente per evitare grane giudiziarie. Fermo restando il valore e il significato politico e morale di quest’opera scrivere anche una sola cosa falsa, per un giornalista significa «venir meno al proprio dovere».
Una ragione deve esserci se oggi in Italia avvertiamo una caduta verticale di valori e principi, ed assistiamo ad una pratica diffusa della scaltrezza, della furbizia, dell’inganno, dell’individualismo rampante, dell’arraffare soldi a buon mercato. Si tratta di un processo che viene da lontano, dopo la stagione degli Anni Settanta che, malgrado la sua tragicità rappresentata dal terrorismo, aveva aperto grandi speranze sul fronte della democrazia, della partecipazione, della responsabilizzazione dei cittadini. «È stato - scrive Giovanni Moro in uno stimolante saggio pubblicato in questi giorni da Einaudi - il decennio della partecipazione civile e delle riforme».
Il degrado ha preso il sopravvento sotto la spinta del decisionismo e della falsa modernità. I partiti hanno cessato (prima ancora del terremoto di Tangentopoli) di essere punti di aggregazione e di stimolo in senso pedagogico, trasformando la scienza della politica in una sceneggiata, con tanti guitti alla ricerca dell’immagine. Il terreno era fertile per un fenomeno di questo genere. Lo scrittore Antonio Scurati ci ha ricordato il 24 ottobre scorso su La Stampa che il nostro è un Paese culturalmente arretrato. Abbiamo appena il 40% della popolazione adulta (tra i 25 e i 64 anni) diplomata, contro la media europea che sfiora il 60%; solo il 9% possiede una laurea contro una media europea del 21%. Si vendono un centinaio di copie di quotidiani al giorno ogni mille abitanti: la media europea (comprendente anche l’Italia) è di 270 copie.
Secondo un’indagine diretta da Tullio de Mauro 2 milioni di adulti sono analfabeti totali; quasi 15 milioni sono semi analfabeti, altri 15 milioni sono a rischio: sanno fare la loro firma ma non sono in grado di trasferire un pensiero su un foglio di carta scritto.
Tutti, ormai, in Italia sono favorevoli alla raccolta differenziata della spazzatura, ma il cassonetto per i rifiuti organici dove lo mettiamo? Di fronte a quale numero civico della strada dove abitiamo? Quella puzza sotto la nostra finestra, mai e poi mai; quindi di notte il bidone si sposta dall’82 all’84, all’86, all’88 sino a quando non finisce in rissa. Non si tratta di cose banali perché fanno parte del quotidiano vivere, ricco di comitati, leghe, gruppi, tutti spontanei, spacciando per partecipazione democratica manifestazioni di gretto egoismo individuale o familistico.
È sufficiente ascoltare le penose, quanto drammatiche, interviste che i telegiornali si ostinano a raccogliere tra la «gggente» sul luogo dei delitti purtroppo molto frequenti. Anche qui si tratta di operazioni mistificatorie («abbiamo fatto parlare il popolo»), diseducative anche perché colgono il malcapitato cittadino intervistato nel momento peggiore, cioè, di più acuta tensione emotiva, senza che abbia la possibilità di riflettere, di ragionare, di conoscere, di capire.
Milioni di ascoltatori vengono così incitati alla giustizia sommaria, al razzismo, alla xenofobia, al linciaggio. I vari Riotta, Mimum, Mazza di salvano l’anima dicendo «diamo voce al cittadino della strada», venendo meno al loro dovere che prevede soprattutto fare l’informazione, non la censura, con una funzione educativa. Se il non meglio definito «popolo» esprime sentimenti poco civili (e succede spesso) non è scritto da nessuna parte che i telegiornali debbano fungere da altoparlanti dei medesimi. Diversamente si compiono azioni di carattere delinquenziale (sempre nel significato della parola latina).
Che fare? Ripartendo da zero, tracciando una linea di demarcazione tra questo tipo di mondo (che non ci piace) e un mondo diverso, che è possibile. Con tanta umiltà, ma con tanto impegno e coerenza, iniziando ad esempio dalla scuola del pre-obbligo per cercare di avere tra dieci - quindici anni dei cittadini diversi da quelli di oggi e non dei bulli. Soprattutto gli uomini e le donne che si richiamano ai valori della solidarietà («lavoratori di tutto il mondo unitevi»), della prossimità, tanto cara al prof. De Rita («ama il tuo prossimo come te stesso»), devono riproporre al centro dell’azione politica, dei partiti e di tutti i movimenti di progresso democratico questo impegno, cominciando dai rapporti interpersonali, per ricostruire un tessuto connettivo di civiltà. Ecco ciò che ci si aspetta dal nuovo Partito Democratico e dalla Sinistra: un’azione politica che riduca in modo sensibile il numero di coloro che in Italia vengono meno al proprio dovere, cioè, delinquono. Usando anche internet, se necessario, ma non considerandolo il nuovo dio pagano come qualcuno vorrebbe far credere. Il programma è già stato scritto sessant’anni fa: si chiama Costituzione.
di Diego Novelli da l'Unità del 9 novembre 2007
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