A vent'anni dal referendum che lo ha bocciato. Legambiente edita un dossier sui nodi irrisolti
Primo, sfatare l'idea che la produzione di energia elettrica con il nucleare costi meno che col petrolio, se si mettono in conto i costi di costruzione delle centrali, di smantellamento degli impianti obsoleti, della chiusura "in sicurezza" del ciclo dei combustibili, dello stoccaggio e smaltimento delle scorie, di bonifica dei siti contaminati, di danno ambientale e di rischio sanitario.
Secondo, chiarire che anche l'uranio - propellente atomico di cui si alimentano le centrali nucleari - non è rinnovabile e che le riserve stimate servono per i prossimi 40-50 anni. Terzo, spiegare ai propugnatori dell'evoluzione scientifica e tecnologica che i reattori di quarta generazione a bassa radioattività sono di là da venire e lo stato della ricerca li colloca a non prima di trent'anni.
Quarto, chiedere ai nouveaux philosophes della fissione se sono disposti a farsi costruire le centrali sotto i loro balconi, ad esempio nel parco di quella che fu Villa Casati-Stampa ad Arcore, o sotto i cactus di Villa Certosa in Costa Smeralda. Altro che "not in my backyard". Mica può essere sempre sotto le rape di Scanzano Ionico o sulla spiaggia di Montalto di Castro.
Il "cunto" potrebbe essere lungo e folcloristico, a voler seguire il rapporto presentato ieri da Legambiente per celebrare i vent'anni del referendum contro il nucleare, quando venne stabilito che il 73% degli italiani (tre su quattro) non vogliono saperne di avere sotto il naso le micidiali barre radioattive, né il problema di dove e come smaltire le scorie che decadono in centinaia di anni e non vengono mai smaltite definitivamente. Tanto che quelle prodotte negli anni in cui si costruiva Montalto di Castro o Trino Vercellese o Caorso sono ancora lì, tutte da dislocare.
E ci sono alcune questione persino aggiuntive rispetto agli spaventi di Chernobyl. Ad esempio il rischio terrorismo internazionale, con problemi nuovi che riguardano sia il presidio (militare?) degli impianti sia la destinazione del plutonio.
Poi c'è il numero degli impianti esistenti e di quelli da costruire per un grado soddisfacente di libertà dal petrolio. L'Aiea ha censito nel mondo 439 centrali atomiche, per una potenza installata di 371.647 Megawatt. Di questi impianti, 197 sono i reattori in attività in Europa, con una potenza di 169.499 Mw. Altri 12 sono in costruzione (uno in Finlandia, due in Bulgaria, due in Ucraina, sette in Russia) per 9.991 Mw aggiuntivi. Fra tutti fanno il 15% del fabbisogno mondiale, ma la domanda di energia prodotta con la fissione scenderà ancora, dice l'Aiea.
E mentre nel mondo la domanda di centrali nucleari va lasciando il posto a quella di energie alternative, solare ed eolico soprattutto, in Italia è ripartito il tam tam del nucleare ad opera dei vertici di Confindustria.
Ma chi rilancia il nucleare si guarda bene dal dire che affinché l'Italia possa produrre il 15% del suo fabbisogno (al di sotto è irrilevante e diseconomico) è necessario costruire una dozzina di centrali delle dimensioni di quelle che si stanno costruendo inCina, otto come quella finlandese, tra le più grandi mai costruite.
Otto-dodici centrali! Dove? In che tempi? Con che costi? Chi li paga? E con quale impatto su popolazioni che già si battono contro le discariche, le centrali a carbone e i termovalorizzatori? E quale sarà la Regione o il Comune che accetterà di costruire sul suo territorio una centrale nucleare senza il sollevamento dei propri cittadini-elettori? Insomma, di cosa stiamo parlando?
Andiamo avanti. Qualcuno sa quali e quanti incidenti nucleari ci sono stati nel mondo negli ultimi cinquant'anni? O cosa sia la scala Ines che classifica la gravità degli incidenti? Ci si ricorda di Cernobyl ma nessuno ricorda che in Tennessee, quattro mesi dopo l'episodio di Three Miles Island, ci fu una fuoriuscita di uranio arricchito che provocò la contaminazione di un migliaio di abitanti; o che, sempre negli Usa e sempre in quel maledetto agosto del '79, altre mille persone furono contaminate a Erwin per una fuga radioattiva in un centro di ricerca nucleare. L'elenco fornito da Legambiente è lungo e puntiglioso, con date, luoghi, tipo di incidente, numero di morti e popolazioni infettate. Un elenco che fa venire la pelle d'oca. Vedere sul sito www.legambiente.it per credere.
Arriviamo così alla questione delle scorie, uno dei grandi problemi irrisolti del nucleare. Scrive Legambiente: «Non esistono ad oggi soluzioni concrete al problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decomissioning . Le circa 250 mila tonnellate dei rifiuti altamente radioattivi prodotte fino ad oggi nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivo, stoccate in depositi "temporanei" o lasciate negli stessi impianti dove sono state generate».
Vogliamo parlare di Scanzano? o di Rotondella in provincia di Matera? o di Saluggia vicino a Vicenza che contiene ancora 3.661 metri cubi di rifiuti radioattivi? o di Bosco Marengo dalle parti di Alessandria dove l'impianto disattivato dall'Enea custodisce 460 metri cubi di scorie nucleari derivanti dalla produzione di combustibili per il Superphoenix?
Primo, sfatare l'idea che la produzione di energia elettrica con il nucleare costi meno che col petrolio, se si mettono in conto i costi di costruzione delle centrali, di smantellamento degli impianti obsoleti, della chiusura "in sicurezza" del ciclo dei combustibili, dello stoccaggio e smaltimento delle scorie, di bonifica dei siti contaminati, di danno ambientale e di rischio sanitario.
Secondo, chiarire che anche l'uranio - propellente atomico di cui si alimentano le centrali nucleari - non è rinnovabile e che le riserve stimate servono per i prossimi 40-50 anni. Terzo, spiegare ai propugnatori dell'evoluzione scientifica e tecnologica che i reattori di quarta generazione a bassa radioattività sono di là da venire e lo stato della ricerca li colloca a non prima di trent'anni.
Quarto, chiedere ai nouveaux philosophes della fissione se sono disposti a farsi costruire le centrali sotto i loro balconi, ad esempio nel parco di quella che fu Villa Casati-Stampa ad Arcore, o sotto i cactus di Villa Certosa in Costa Smeralda. Altro che "not in my backyard". Mica può essere sempre sotto le rape di Scanzano Ionico o sulla spiaggia di Montalto di Castro.
Il "cunto" potrebbe essere lungo e folcloristico, a voler seguire il rapporto presentato ieri da Legambiente per celebrare i vent'anni del referendum contro il nucleare, quando venne stabilito che il 73% degli italiani (tre su quattro) non vogliono saperne di avere sotto il naso le micidiali barre radioattive, né il problema di dove e come smaltire le scorie che decadono in centinaia di anni e non vengono mai smaltite definitivamente. Tanto che quelle prodotte negli anni in cui si costruiva Montalto di Castro o Trino Vercellese o Caorso sono ancora lì, tutte da dislocare.
E ci sono alcune questione persino aggiuntive rispetto agli spaventi di Chernobyl. Ad esempio il rischio terrorismo internazionale, con problemi nuovi che riguardano sia il presidio (militare?) degli impianti sia la destinazione del plutonio.
Poi c'è il numero degli impianti esistenti e di quelli da costruire per un grado soddisfacente di libertà dal petrolio. L'Aiea ha censito nel mondo 439 centrali atomiche, per una potenza installata di 371.647 Megawatt. Di questi impianti, 197 sono i reattori in attività in Europa, con una potenza di 169.499 Mw. Altri 12 sono in costruzione (uno in Finlandia, due in Bulgaria, due in Ucraina, sette in Russia) per 9.991 Mw aggiuntivi. Fra tutti fanno il 15% del fabbisogno mondiale, ma la domanda di energia prodotta con la fissione scenderà ancora, dice l'Aiea.
E mentre nel mondo la domanda di centrali nucleari va lasciando il posto a quella di energie alternative, solare ed eolico soprattutto, in Italia è ripartito il tam tam del nucleare ad opera dei vertici di Confindustria.
Ma chi rilancia il nucleare si guarda bene dal dire che affinché l'Italia possa produrre il 15% del suo fabbisogno (al di sotto è irrilevante e diseconomico) è necessario costruire una dozzina di centrali delle dimensioni di quelle che si stanno costruendo inCina, otto come quella finlandese, tra le più grandi mai costruite.
Otto-dodici centrali! Dove? In che tempi? Con che costi? Chi li paga? E con quale impatto su popolazioni che già si battono contro le discariche, le centrali a carbone e i termovalorizzatori? E quale sarà la Regione o il Comune che accetterà di costruire sul suo territorio una centrale nucleare senza il sollevamento dei propri cittadini-elettori? Insomma, di cosa stiamo parlando?
Andiamo avanti. Qualcuno sa quali e quanti incidenti nucleari ci sono stati nel mondo negli ultimi cinquant'anni? O cosa sia la scala Ines che classifica la gravità degli incidenti? Ci si ricorda di Cernobyl ma nessuno ricorda che in Tennessee, quattro mesi dopo l'episodio di Three Miles Island, ci fu una fuoriuscita di uranio arricchito che provocò la contaminazione di un migliaio di abitanti; o che, sempre negli Usa e sempre in quel maledetto agosto del '79, altre mille persone furono contaminate a Erwin per una fuga radioattiva in un centro di ricerca nucleare. L'elenco fornito da Legambiente è lungo e puntiglioso, con date, luoghi, tipo di incidente, numero di morti e popolazioni infettate. Un elenco che fa venire la pelle d'oca. Vedere sul sito www.legambiente.it per credere.
Arriviamo così alla questione delle scorie, uno dei grandi problemi irrisolti del nucleare. Scrive Legambiente: «Non esistono ad oggi soluzioni concrete al problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decomissioning . Le circa 250 mila tonnellate dei rifiuti altamente radioattivi prodotte fino ad oggi nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivo, stoccate in depositi "temporanei" o lasciate negli stessi impianti dove sono state generate».
Vogliamo parlare di Scanzano? o di Rotondella in provincia di Matera? o di Saluggia vicino a Vicenza che contiene ancora 3.661 metri cubi di rifiuti radioattivi? o di Bosco Marengo dalle parti di Alessandria dove l'impianto disattivato dall'Enea custodisce 460 metri cubi di scorie nucleari derivanti dalla produzione di combustibili per il Superphoenix?
di Gemma Contin da Liberazione del 07 novembre 2007
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