Intanto è partito. Sì, ma avrebbe dovuto mettersi in moto tempo fa, quando tutto già sembrava pronto. E magari i binari erano anche un po' più sgombri. Però, quel treno è partito. Sì, ma ancora non si sa se ce la farà a portare a destinazione tutti i vagoni. Ancora non si sa, se e come i passeggeri troveranno posto a bordo. Però, intanto, è partito. Nel parterre della Fiera di Roma - della nuova Fiera di Roma, a metà strada fra la città e l'aeroporto, anche bella col suo profilo ondulato ma che sembra fatta apposta per ridare attualità alla vecchia definizione di cattedrale nel deserto -, nel parterre della Fiera di Roma, si diceva, dove domenica è nata "la Sinistra l'Arcobaleno", potevi parlare con chiunque e avevi le stesse conclusioni. Base, dirigenti, quadri intermedi, gente senza tessera, semplici curiosi (pochi, scoraggiati dalla difficoltà di raggiungere la Nuova Fiera). Ognuno aveva la sua critica da fare. Tutte legittime e - sarebbe sciocco negarlo - tutte abbastanza fondate. Che le assemblee di sabato e domenica sono arrivate tardi, che sono state anche un po' rituali. Meno, comunque, molto meno di quel che si possa pensare. Per capire: non è stato un congresso del Pci degli anni '70. Congressi importanti per la storia di questo paese ma che comunque dovevano finire con una sintesi. Su ogni singolo problema. Con una posizione ufficiale. Qui, bastava girare per i seminari per accorgersi che il metodo era un altro. Si proponevano temi, si apriva una ricerca. In una sinistra che da troppo tempo aveva smesso di cercare. Ci si parlava, ci si conosceva in una sinistra che da troppo tempo aveva smesso di parlarsi. Si diceva tutto questo nel parterre. E si aggiungevano anche preoccupazioni più contingenti: legate alle diverse valutazioni sull'attualità politica delle quattro forze politiche promotrici. Sulla riforma elettorale, sul giudizio da dare di quest'anno e mezzo di governo Prodi. E chi più ne ha, più ne metta. Ma i discorsi raccolti in quell'enorme sala, finivano tutti allo stesso modo: vabbè, l'importante è comunque aver cominciato. Il resto verrà.
Lo dicevano tutti ma proprio tutti-tutti. Un concetto sussurrato, però, più che dichiarato esplicitamente. Perché se ci si pensa non è uno di quelle affermazioni che possano essere inserite nella categoria del "politicamente corretto". In questo capitolo, la formazione di un nuovo soggetto si fa partendo dai programmi, scegliendo le modalità del far politica, gli obiettivi. Se ci si trova d'accordo, si comincia. Stavolta non è stato così. C'è una base comune, è ovvio. Non dettagliatissima ma neanche banale. Ci sono obiettivi comuni e c'è un impegno a lavorare insieme. C'è molto, ma non tutto. Ma c'è soprattutto la consapevolezza che c'è bisogno di sinistra. Che avrà un futuro solo se si unisce e si ripensa.
E' l'invocazione di Ingrao, insomma. Quella richiesta che nasce dalle cose, dalla tragedia della ThyssenKrupp. Il resto verrà. Ma intanto il treno si è messo in moto.
E allora non resta che raccontare le impressioni di questa partenza. Una, è apparsa evidente a chi aveva voglia di ascoltare i discorsi dal palco, domenica mattina. Meno scontati di quello che hanno poi raccontato i giornali. Accorgendosi così che ci sono due velocità. Metafora che si adatta malissimo a quella del treno, ma tant'è. Due velocità. Una è quella imposta da chi è venuto qui a raccontare le proprie esperienze. A raccontare le proprie storie. Non solo di vertenze, non solo di "lotte". Ma anche racconti di un modo diverso di governare, di amministrare. Addirittura, nelle parole dell'amministratore provinciale di Napoli, il racconto di come la sinistra possa inventarsi un proprio progetto per far quadrare i conti pubblici. Tutte insieme queste storie, "narrano" - per usare le parole di Nichi Vendola - di una "cosa" che c'è già. Già esiste. Che addirittura sembra molto solida. Fatta dallo stesso modo di sentire, fatta dalla stessa passione, dallo stesso altruismo. Fatta dalle stesse denunce, dalle stesse analisi.
C'è poi l'altra velocità. Quella assai più lenta che segna il rapporto fra i quattro partiti. Anche questa velocità era "visibile" ascoltando i discorsi dei leader. Non c'era la stessa fretta, non c'era la stessa urgenza nelle parole dei segretari. C'è chi si è impegnato, ha chiesto agli altri analoghi impegni. Ma c'è stato anche chi ha preferito utilizzare questa tribuna per riaffermare le ragioni della propria identità. O microidentità. Chi ha preferito la citazione alla firma di un patto. Fosse anche simbolico. E c'è chi si è messo a metà fra queste due posizioni.
Diverse velocità, allora. Che hanno fatto dire a qualcuno che forse, alla fine del percorso, non ci saranno tutte e quattro le forze politiche che hanno organizzato gli Stati generali. Qualcuna avrà la tentazione di tirarsi da parte. Di inchiodarsi ai suoi simboli o magari di appellarsi ad esigenze di visibilità. Il rischio c'è. Ma non è detto che vada così. Il problema, delle prossime settimane non dei prossimi mesi, forse è tutto qui. Come "rompere gli argini", cosa inventarsi perché la prima velocità irrompa nella seconda. La trascini, le imponga un altro ritmo.
E a Rifondazione - anche di questo nel parterre erano convinti tutti, militanti o semplici "alleati" - spetta un compito ancora più difficile che agli altri. Anche qui una sensazione, una semplice sensazione. Che svela però molto di cosa sia davvero questo partito. Di come sia percepito, di come sia riuscito a trasformarsi durante questi anni. La sensazione nasce dall'ingresso rumoroso dei "no Dal Molin" durante l'assemblea. Chi ha assistito alla scena dal pubblico, ha potuto vedere in sala le reazioni più diverse. Interesse, tanto, ma anche ostilità. Addirittura in qualcuno ostilità preconcetta. Comunque scarsa dimestichezza col problema. Ma in ogni caso, gli Stati Generali non hanno vissuto alcuna tensione. Sono proseguiti aprendosi al confronto con quel movimento, con quelle istanze radicali che sosteneva. E questo, lo si è dovuto solo ai dirigenti, ai militanti di Rifondazione. A chi da anni ha scelto non solo di confrontarsi ma di essere "dentro" i movimenti. Questo lo si è dovuto a chi da anni ha dimestichezza con la spontaneità delle mille associazioni che difendono il territorio, che si oppongono alla guerra, che provano a imporre nuovi diritti. Questo è stato possibile con un partito, con un gruppo dirigente e di militanti, che parlava con persone, con uomini, donne, ragazzi, con cui poi si fanno cortei, occupazioni. Presidi. I "No Dal Molin" sono così riusciti a parlare all'assemblea, hanno chiesto più sinistra, hanno chiesto impegni. Qualcuno è stato sottoscritto, per altri si è rimasti nel vago. Resta il dato che anche chi non è completamente d'accordo, sceglie innanzitutto di interloquire con questa "cosa" nata domenica. E forse anche così può arrivare la spinta a superare le due velocità. E da quel che si è visto alla Fiera di Roma è un lavoro che graverà quasi solo sulle spalle di Rifondazione. Buon lavoro.
di Stefano Bocconetti da Liberazione del 11 dicembre 2007
Lo dicevano tutti ma proprio tutti-tutti. Un concetto sussurrato, però, più che dichiarato esplicitamente. Perché se ci si pensa non è uno di quelle affermazioni che possano essere inserite nella categoria del "politicamente corretto". In questo capitolo, la formazione di un nuovo soggetto si fa partendo dai programmi, scegliendo le modalità del far politica, gli obiettivi. Se ci si trova d'accordo, si comincia. Stavolta non è stato così. C'è una base comune, è ovvio. Non dettagliatissima ma neanche banale. Ci sono obiettivi comuni e c'è un impegno a lavorare insieme. C'è molto, ma non tutto. Ma c'è soprattutto la consapevolezza che c'è bisogno di sinistra. Che avrà un futuro solo se si unisce e si ripensa.
E' l'invocazione di Ingrao, insomma. Quella richiesta che nasce dalle cose, dalla tragedia della ThyssenKrupp. Il resto verrà. Ma intanto il treno si è messo in moto.
E allora non resta che raccontare le impressioni di questa partenza. Una, è apparsa evidente a chi aveva voglia di ascoltare i discorsi dal palco, domenica mattina. Meno scontati di quello che hanno poi raccontato i giornali. Accorgendosi così che ci sono due velocità. Metafora che si adatta malissimo a quella del treno, ma tant'è. Due velocità. Una è quella imposta da chi è venuto qui a raccontare le proprie esperienze. A raccontare le proprie storie. Non solo di vertenze, non solo di "lotte". Ma anche racconti di un modo diverso di governare, di amministrare. Addirittura, nelle parole dell'amministratore provinciale di Napoli, il racconto di come la sinistra possa inventarsi un proprio progetto per far quadrare i conti pubblici. Tutte insieme queste storie, "narrano" - per usare le parole di Nichi Vendola - di una "cosa" che c'è già. Già esiste. Che addirittura sembra molto solida. Fatta dallo stesso modo di sentire, fatta dalla stessa passione, dallo stesso altruismo. Fatta dalle stesse denunce, dalle stesse analisi.
C'è poi l'altra velocità. Quella assai più lenta che segna il rapporto fra i quattro partiti. Anche questa velocità era "visibile" ascoltando i discorsi dei leader. Non c'era la stessa fretta, non c'era la stessa urgenza nelle parole dei segretari. C'è chi si è impegnato, ha chiesto agli altri analoghi impegni. Ma c'è stato anche chi ha preferito utilizzare questa tribuna per riaffermare le ragioni della propria identità. O microidentità. Chi ha preferito la citazione alla firma di un patto. Fosse anche simbolico. E c'è chi si è messo a metà fra queste due posizioni.
Diverse velocità, allora. Che hanno fatto dire a qualcuno che forse, alla fine del percorso, non ci saranno tutte e quattro le forze politiche che hanno organizzato gli Stati generali. Qualcuna avrà la tentazione di tirarsi da parte. Di inchiodarsi ai suoi simboli o magari di appellarsi ad esigenze di visibilità. Il rischio c'è. Ma non è detto che vada così. Il problema, delle prossime settimane non dei prossimi mesi, forse è tutto qui. Come "rompere gli argini", cosa inventarsi perché la prima velocità irrompa nella seconda. La trascini, le imponga un altro ritmo.
E a Rifondazione - anche di questo nel parterre erano convinti tutti, militanti o semplici "alleati" - spetta un compito ancora più difficile che agli altri. Anche qui una sensazione, una semplice sensazione. Che svela però molto di cosa sia davvero questo partito. Di come sia percepito, di come sia riuscito a trasformarsi durante questi anni. La sensazione nasce dall'ingresso rumoroso dei "no Dal Molin" durante l'assemblea. Chi ha assistito alla scena dal pubblico, ha potuto vedere in sala le reazioni più diverse. Interesse, tanto, ma anche ostilità. Addirittura in qualcuno ostilità preconcetta. Comunque scarsa dimestichezza col problema. Ma in ogni caso, gli Stati Generali non hanno vissuto alcuna tensione. Sono proseguiti aprendosi al confronto con quel movimento, con quelle istanze radicali che sosteneva. E questo, lo si è dovuto solo ai dirigenti, ai militanti di Rifondazione. A chi da anni ha scelto non solo di confrontarsi ma di essere "dentro" i movimenti. Questo lo si è dovuto a chi da anni ha dimestichezza con la spontaneità delle mille associazioni che difendono il territorio, che si oppongono alla guerra, che provano a imporre nuovi diritti. Questo è stato possibile con un partito, con un gruppo dirigente e di militanti, che parlava con persone, con uomini, donne, ragazzi, con cui poi si fanno cortei, occupazioni. Presidi. I "No Dal Molin" sono così riusciti a parlare all'assemblea, hanno chiesto più sinistra, hanno chiesto impegni. Qualcuno è stato sottoscritto, per altri si è rimasti nel vago. Resta il dato che anche chi non è completamente d'accordo, sceglie innanzitutto di interloquire con questa "cosa" nata domenica. E forse anche così può arrivare la spinta a superare le due velocità. E da quel che si è visto alla Fiera di Roma è un lavoro che graverà quasi solo sulle spalle di Rifondazione. Buon lavoro.
di Stefano Bocconetti da Liberazione del 11 dicembre 2007
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