venerdì 2 marzo 2007

I valori dei democratici

Un manifesto non è un programma. A quello del partito democratico (ma non sarebbe più corretto chiamarlo «per il partito democratico?») non si può muovere l´obiezione di ridondanza dei valori rispetto alle proposte. Anche se, nell´enunciarli, bisognerebbe evitare genericità e ovvietà.
Credo che uno dei migliori manifesti politici prodotti nell´Italia repubblicana sia stato quello socialista del 1987, «dei meriti e dei bisogni», così noto dal titolo della principale relazione di Claudio Martelli. Si svolgeva, come una buona sinfonia, su due tonalità: quella liberale, del riconoscimento dei meriti e della competizione; e quella socialista, dei diritti sociali e della solidarietà. Com´era naturale, per un manifesto socialista, anche se le due tonalità erano bene integrate (fu quella la novità) la dominante era la seconda.
Anche il manifesto dei democratici si svolge su quelle due tonalità. Mi sembra però che la tonalità dominante sia la prima. Ma non voglio fermarmi a questa impressione, per svolgere qualche breve, necessariamente, considerazione nel merito. Ci sono, a mio parere, nel Manifesto, cose ottime, cose buone, anche se parziali, mentre mancano, sorprendentemente, cose essenziali per un partito democratico che dovrebbe stare, così continuo a pensare, a sinistra.
E´ cosa ottima, anzitutto, che sia scritto in buon italiano, non in politichese. E anche che si apra con una dichiarazione d´amore per l´Italia, cui segue una giustamente impietosa denuncia delle sue magagne. Sono ottimi i richiami a principi e valori fondamentali, come l´eguaglianza delle opportunità, l´indignazione di fronte alla minorità della condizione femminile, il riconoscimento del merito nelle carriere, della concorrenza nei mercati, dell´efficienza dell´amministrazione, la piena e buona occupazione, la lotta contro l´emarginazione sociale, la formazione permanente per tutto l´arco della vita, i diritti dei disabili, il superamento dell´oligopolio televisivo, la promozione di centri di eccellenza nelle Università, l´accoglienza e la promozione della cittadinanza per gli immigrati integrati, l´affermazione della legalità a tutti i livelli, la riforma elettorale bicamerale, tante altre cose maggiori e minori che non posso elencare.
Tuttavia queste enunciazioni mancano spesso di indicazioni di riforme istituzionali che, senza scendere ai programmi particolari, consentirebbero di saggiarne la concretezza.
Per esempio. Si capisce che un´amministrazione debba essere efficiente e rendere buoni servizi ai cittadini e alle imprese. Ciò comporta che essa sia riformata da capo a piedi secondo il principio della programmazione strategica, largamente applicato in altri paesi, come gli Stati Uniti e la Francia: altrimenti si resta nella solita perorazione.
Per esempio. E´ bene evocare le potenzialità del volontariato: ma occorrerebbe, perché esse si realizzino, promuovere l´organizzazione di un vero e proprio terzo sistema di prestazioni democratiche e gratuite, come complemento essenziale di una welfare society, che integri il welfare state.
Per esempio: è bene richiamare la piena (e buona) occupazione come cardine della politica democratica: ma senza un sistema di assicurazione contro la disoccupazione, di avviamento permanente al lavoro e di previdenza sociale dei disoccupati, il proposito resta tale.
Per esempio. E´ giusto denunciare la povertà e l´emarginazione sociale. Ma senza concreti istituti, come il reddito sociale di base, resta solo la denuncia.
Per esempio. E´ giusto chiedere più concorrenza nei mercati. Ma senza autorità di controllo vere, e cioè provviste dei necessari poteri di intervento diretto, resteremo alle grida.
Per esempio. E´ bella la formazione permanente. Ma senza una legislazione specifica e una riforma profonda della scuola nel suo insieme per integrare questa funzione fondamentale, anche questa resterà nei «prossimamente».
E che cosa dire della mancanza di ogni accenno alla organizzazione della sanità? E a quel piano decennale dell´ambiente che pure era stato proposto come risposta agli sconquassi del territorio, all´inquinamento e al disordine del traffico?
Ci sono perplessità più gravi. Quanto alla questione della laicità. Il rispetto per la religione, mi pare, non dovrebbe comportare alcun riconoscimento della sua «rilevanza nella sfera pubblica» e «le energie morali che scaturiscono dall´esperienza religiosa» riguardano esclusivamente la sfera privata e non gli «elementi vitali della democrazia». Non sarebbe male inoltre che un manifesto che si ispira al pensiero liberale riproponesse l´antico motto del conte di Cavour.
E sempre tra i principi generali, manca del tutto una posizione chiara sui rapporti che devono stabilirsi tra il mercato e la società. Economia di mercato, sì. Società di mercato, no. Questo, avremmo voluto leggere. Tra i punti del manifesto a mio avviso insoddisfacenti c´è l´Europa. Alla quale si tributa grande importanza, senza però richiamare, anche qui, gli impegni nei quali essa troverebbe la sua espressione più concreta: come, nell´immediato, il compimento dell´Unione Economica e, nella prospettiva, quello del grande disegno «spinelliano» degli Stati Uniti d´Europa.
Vengo infine a quelle che mi sembrano le lacune più sorprendenti, e il punto più critico. Sono stato e resto un sostenitore della formazione di un grande partito democratico e riformista: ma come soggetto che indichi una strada di riforme sociali e politiche di portata pari alle sfide che si pongono alla democrazia nel nostro tempo; e partendo da una collocazione storica e geopolitica ben precisa.
Quanto al primo punto, Non vedo ancora, nei pur volenterosi propositi enunciati, una visione di insieme delle riforme necessarie per contrastare la deriva liberistica e mercatistica in atto nel mondo. Quanto al secondo. Resta la irreperibilità europea. Un partito privo di una sua collocazione europea, ove i fronti tra destra e sinistra sono chiari e distinti, non è nuovo, è semplicemente sans papiers. Nel momento in cui il partito del Congresso indiano chiede di aderire all´Internazionale Socialista il partito democratico italiano dovrebbe costituirsi in un´area indeterminata, con un pudico accenno alla collaborazione con il partito socialista europeo. Quando si dichiara presuntuosamente superata la socialdemocrazia e ci si propone di «creare un nuovo campo di forze che colmi la carenza di indirizzo politico» si dimentica che la socialdemocrazia aveva un pensiero forte e proposte istituzionali che cambiarono lo Stato e fecero avanzare la democrazia. Se non si parte da qualche cosa di solido, si abbandona il solco della storia per perdersi nella retorica della chiacchiera.

Giorgio Ruffolo da La Repubblica del 02-03-2007

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