La sinistra vive in Italia (ma potremmo dire in Europa e nel mondo intero) una fase di crisi e di intensa trasformazione. Nel nostro Paese ha a che fare con una destra che si è divisa almeno in parte: una parte, ma la più piccola numericamente che accetta alcune regole di democrazia e che vuole ostinatamente rompere l’attuale alternanza e chiamarsi “centro” secondo la tradizione democristiana e una più grande che fa capo al leader carismatico Berlusconi e abbraccia un populismo poco democratico.
La condizione della destra non aiuta la sinistra e questo è uno dei problemi che rischia di esser rinviato ancora di qualche anno. Non sappiamo di quanto tempo.
Ma è all’interno della sinistra che le cose incominciano a muoversi in una maniera che incoraggia qualche speranza. La formazione ormai molto avanzata del partito democratico è di sicuro l’avvenimento più significativo degli ultimi mesi.
La mozione firmata dal segretario Fassino ha conseguito all’interno dei quadri e dei gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra una vittoria più netta di quanto molti all’interno e all’esterno del partito si aspettavano. Intorno ai due terzi dei voti, oltre il settanta per cento, riservando il quindici per cento alla sinistra di Mussi e di Salvi e il dieci per cento alle obiezioni, interne alla maggioranza, di Angius e di Zani. Ormai dunque i Democratici di sinistra viaggiano speditamente verso l’incontro con la Margherita con l’affermazione degli ex Popolari che hanno mandato all’opposizione il presidente Rutelli, indicando una linea meno centrista di quella perseguita dal vicepresidente del Consiglio.
Nasce insomma un partito di centro-sinistra che lascia scoperto il lato più di sinistra che, tradizionalmente, era stato fino a qualche anno fa proprio dai principali eredi del Pci, non solo Rifondazione comunista ma in parte il Pds dei primi anni novanta.
Gli elettori dei due partiti che formano il Partito Democratico sembrano essere in maggioranza collocati in una posizione più a sinistra della nuova forza politica: del resto a leggere i documenti e i discorsi della fase costituente si può constatare la corsa al centro da parte di Fassino e di Rutelli sia nel rapporto con la Chiesa di Benedetto XVI sia in materia economica,sociale e culturale.
Ad ogni modo, e a prescindere dal giudizio complessivo che si dà dell’operazione, non c’è dubbio sul fatto oggettivo di uno spazio a sinistra che resta disponibile per le altre forze che tuttavia sono assai frammentate. L’interrogativo maggiore riguarda il destino della sinistra diessina che in un primo tempo si prepara a formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato: si tratta di ventisei deputati e dieci senatori che costituiranno la terza forza dell’arcipelago di centro sinistra, dopo il partito Democratico e Rifondazione comunista.
Restano per ora divise Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi anche se è finalmente balzata in primo piano l’esigenza di un raccordo verso processi di federazione o di unificazione proposte già da alcuni anni dal Pdci e che ora sembrano accettate anche da Bertinotti. Quest’ultimo ha parlato per la prima volta dell’esigenza di una “massa critica” da opporre all’esistenza di un partito più centrista come quello Democratico e di una destra in crisi ma comunque per la maggior parte raccolta intorno a Berlusconi.
È difficile prevedere se il processo andrà avanti rapidamente o se invece seguirà ritmi lenti e contorti. Gli elettori sono di sicuro in maggioranza favorevoli alla prima ipotesi ma non è detto che lo siano i gruppi dirigenti che negli ultimi anni hanno di frequente duellati opponendo al tema dell’unità quello della propria peculiare identità.
La stagione dei congressi che in primavera prevede più di un appuntamento ci dirà qualcosa ma non c’è dubbio sul fatto che i problemi di una nuova forza elettorale e quelli di una maggioranza parlamentare sempre sul filo, spingono le forze attualmente in gioco a uno sforzo eccezionale verso l’unità. Se si mettessero insieme i Verdi, la sinistra Ds, i Comunisti italiani e Rifondazione potrebbe nascere una forza di oltre il dieci per cento in grado di apportare al centro-sinistra un contributo assai più importante dell’attuale e di influire in maniera maggiore di quanto avvenga oggi sull’indirizzo e la direzione dell’alleanza. All’interno di Rifondazione esiste ormai una minoranza che non accetta la scelta governativa del gruppo dirigente e contesta, come si è visto non solo a Roma ma anche nei territori, l’atteggiamento tenuto in questi mesi sull’Afghanistan e sulla politica economica e sociale. Assisteremo a una ennesima scissione anche all’interno del partito di Bertinotti? Non si può escludere sia perché potrebbe includere scissionisti che hanno già lasciato quel partito sia pezzi rilevanti del sindacato Cgil che non condividono l'attuale indirizzo del gruppo dirigente nazionale.
In una conclusione che resta provvisoria siamo vicini a una svolta che probabilmente sarà influenzata dall’esito delle discussioni sulla nuova legge elettorale e che avrà efficacia se sarà in grado di elaborare una piattaforma programmatica chiara.
Una politica estera nella direzione già indicata dal governo Prodi ma una politica culturale, economica e sociale più avanzata di quella svolta finora, più nettamente preoccupata dei lavoratori,dei giovani e degli anziani, più aperta, nel senso di una democrazia moderna, alle libertà dei cittadini, dall’informazione ai nuovi saperi.
I tempi per una simile svolta sono maturi. Chi si opporrà alla formazione di una sinistra più unita porterà su di sé pesanti responsabilità in un Paese diviso come è ancora l’Italia.
di NICOLA TRANGAGLIA da l'Unità del 30-03-2007
La condizione della destra non aiuta la sinistra e questo è uno dei problemi che rischia di esser rinviato ancora di qualche anno. Non sappiamo di quanto tempo.
Ma è all’interno della sinistra che le cose incominciano a muoversi in una maniera che incoraggia qualche speranza. La formazione ormai molto avanzata del partito democratico è di sicuro l’avvenimento più significativo degli ultimi mesi.
La mozione firmata dal segretario Fassino ha conseguito all’interno dei quadri e dei gruppi dirigenti dei Democratici di sinistra una vittoria più netta di quanto molti all’interno e all’esterno del partito si aspettavano. Intorno ai due terzi dei voti, oltre il settanta per cento, riservando il quindici per cento alla sinistra di Mussi e di Salvi e il dieci per cento alle obiezioni, interne alla maggioranza, di Angius e di Zani. Ormai dunque i Democratici di sinistra viaggiano speditamente verso l’incontro con la Margherita con l’affermazione degli ex Popolari che hanno mandato all’opposizione il presidente Rutelli, indicando una linea meno centrista di quella perseguita dal vicepresidente del Consiglio.
Nasce insomma un partito di centro-sinistra che lascia scoperto il lato più di sinistra che, tradizionalmente, era stato fino a qualche anno fa proprio dai principali eredi del Pci, non solo Rifondazione comunista ma in parte il Pds dei primi anni novanta.
Gli elettori dei due partiti che formano il Partito Democratico sembrano essere in maggioranza collocati in una posizione più a sinistra della nuova forza politica: del resto a leggere i documenti e i discorsi della fase costituente si può constatare la corsa al centro da parte di Fassino e di Rutelli sia nel rapporto con la Chiesa di Benedetto XVI sia in materia economica,sociale e culturale.
Ad ogni modo, e a prescindere dal giudizio complessivo che si dà dell’operazione, non c’è dubbio sul fatto oggettivo di uno spazio a sinistra che resta disponibile per le altre forze che tuttavia sono assai frammentate. L’interrogativo maggiore riguarda il destino della sinistra diessina che in un primo tempo si prepara a formare un gruppo parlamentare autonomo sia alla Camera che al Senato: si tratta di ventisei deputati e dieci senatori che costituiranno la terza forza dell’arcipelago di centro sinistra, dopo il partito Democratico e Rifondazione comunista.
Restano per ora divise Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi anche se è finalmente balzata in primo piano l’esigenza di un raccordo verso processi di federazione o di unificazione proposte già da alcuni anni dal Pdci e che ora sembrano accettate anche da Bertinotti. Quest’ultimo ha parlato per la prima volta dell’esigenza di una “massa critica” da opporre all’esistenza di un partito più centrista come quello Democratico e di una destra in crisi ma comunque per la maggior parte raccolta intorno a Berlusconi.
È difficile prevedere se il processo andrà avanti rapidamente o se invece seguirà ritmi lenti e contorti. Gli elettori sono di sicuro in maggioranza favorevoli alla prima ipotesi ma non è detto che lo siano i gruppi dirigenti che negli ultimi anni hanno di frequente duellati opponendo al tema dell’unità quello della propria peculiare identità.
La stagione dei congressi che in primavera prevede più di un appuntamento ci dirà qualcosa ma non c’è dubbio sul fatto che i problemi di una nuova forza elettorale e quelli di una maggioranza parlamentare sempre sul filo, spingono le forze attualmente in gioco a uno sforzo eccezionale verso l’unità. Se si mettessero insieme i Verdi, la sinistra Ds, i Comunisti italiani e Rifondazione potrebbe nascere una forza di oltre il dieci per cento in grado di apportare al centro-sinistra un contributo assai più importante dell’attuale e di influire in maniera maggiore di quanto avvenga oggi sull’indirizzo e la direzione dell’alleanza. All’interno di Rifondazione esiste ormai una minoranza che non accetta la scelta governativa del gruppo dirigente e contesta, come si è visto non solo a Roma ma anche nei territori, l’atteggiamento tenuto in questi mesi sull’Afghanistan e sulla politica economica e sociale. Assisteremo a una ennesima scissione anche all’interno del partito di Bertinotti? Non si può escludere sia perché potrebbe includere scissionisti che hanno già lasciato quel partito sia pezzi rilevanti del sindacato Cgil che non condividono l'attuale indirizzo del gruppo dirigente nazionale.
In una conclusione che resta provvisoria siamo vicini a una svolta che probabilmente sarà influenzata dall’esito delle discussioni sulla nuova legge elettorale e che avrà efficacia se sarà in grado di elaborare una piattaforma programmatica chiara.
Una politica estera nella direzione già indicata dal governo Prodi ma una politica culturale, economica e sociale più avanzata di quella svolta finora, più nettamente preoccupata dei lavoratori,dei giovani e degli anziani, più aperta, nel senso di una democrazia moderna, alle libertà dei cittadini, dall’informazione ai nuovi saperi.
I tempi per una simile svolta sono maturi. Chi si opporrà alla formazione di una sinistra più unita porterà su di sé pesanti responsabilità in un Paese diviso come è ancora l’Italia.
di NICOLA TRANGAGLIA da l'Unità del 30-03-2007
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