lunedì 19 marzo 2007

L'alba dei catto-comunisti

Sessant'anni fa Togliatti si accordava con la Dc sull'articolo 7 della Costituzione.
Il Pci accolse i Patti Lateranensi e avviò una strategia di dialogo che sarebbe arrivata fino al compromesso storico. Una lunga stagione politica di cui si discute in vista del Partito democratico.

Il partito democratico è davvero «l´idea forza per galvanizzare il nostro popolo, l´unica chance che abbiamo per battere il centrodestra», come esclama, con entusiasmo un po´ disperato, Michele Salvati, tra i principali estensori del Manifesto dei Democratici? Lasciando in sospeso l´interrogativo c´è da augurarsi che l´Unione sappia presentarsi con una panoplia più ricca di armi e di argomenti e con una capacità unitaria capace di esprimersi oltre l´orizzonte del partito democratico, qualora questo non avesse ancora superato le doglie del parto al momento del voto, specie se anticipato.
L´incertezza di questo appuntamento spiega forse anche il carattere ultimativo imposto da Piero Fassino («non si può più tornare indietro») alla dialettica congressuale, da cui dovrebbe scaturire la decisione dell´auto scioglimento ds, concepita evidentemente come una strategia senza altre alternative. I sostenitori del Pd avanzano in proposito due argomenti: alle ultime politiche si calcola che i ds abbiano raccolto il 17,5 dei voti e la Margherita il 10,7.
Non sono percentuali paragonabili a quelle raccolte dagli schieramenti riformisti negli altri paesi europei. L´altro argomento a favore è la parallela ispirazione riformista sia dei post comunisti sia dei post dc, per cui, a quasi vent´anni dalla caduta del muro di Berlino, essendo venute meno le ragioni storiche della loro contrapposizione, non avrebbe più senso una separazione non suffragata da una sostanziale differenziazione politica.
Vi è, peraltro, almeno a mio avviso, un altro elemento imponderabile e che potrebbe dare, come nel gioco d´azzardo quando si becca l´en plein, una soddisfazione di gran lunga più decisiva delle attese aritmetiche: l´esplodere propulsivo di un sentimento di massa, scaturito dalla combinazione tra l´attesa sempre delusa, ma sempre risorgente di unità e concordia del popolo di centro sinistra, e la nascita del nuovo partito. Dipenderà dal modo e dal come si presenterà, dalla sua apertura e trasparenza, dal grado di sterilizzazione percepita delle dinamiche partitiche e di potere fino ad oggi prevalenti e sempre più mal sopportate dall´opinione pubblica di qualsivoglia tendenza, dalla formazione e dal profilo della leadership. Tutte premesse per ora lontane, poiché allo stato dell´arte, purtroppo, la gestazione in corso denota un appiattimento sul presente, quasi questo partito democratico venisse proposto per una subitanea illuminazione o per un calcolo strumentale di scarso respiro. Eppure credo che se si collocasse questa svolta nella ormai lunga vicenda del rapporto tra mondo cattolico e sinistre e si uscisse dalle questioni di breve momento, le incomprensioni e i dilemmi si collocherebbero in una dimensione storica che consentirebbe di riconoscerli alla radice. E forse di chiarire quale obbiettivo viene proposto, al di là del prossimo o meno prossimo risultato elettorale.
Tanto per fissare una periodizzazione partirò da un giorno ormai lontano, l´11 marzo 1947, quando Palmiro Togliatti illustrò su quale terreno di "compromesso" (compare qui per la prima volta quella formulazione che, dice T., «non ha in sé un senso deteriore» e che Berlinguer riprenderà molti anni dopo) giudicasse possibile costruire una Costituzione che valesse ben oltre «gli accordi politici contingenti dei partiti che possono costituire una maggioranza». Suo interlocutore privilegiato è Giorgio La Pira, in quella stagione il rappresentante più alto, assieme a Giuseppe Dossetti, del pensiero cattolico. Le parole di La Pira che aveva parlato poco prima, ascoltate con "appassionato interesse" dal capo del Pci hanno indicato «la via per la quale siamo arrivati a quella unità che ci ha permesso di dettare queste formulazioni (gli articoli basilari della Costituzione, n.d.r.). Effettivamente c´è stata una confluenza di due grandi correnti: da parte nostra un solidarismo - scusate il termine barbaro - umano e sociale; dall´altra parte un solidarismo, di ispirazione ideologica e di origine diversa, il quale però arrivava, nella impostazione e soluzione concreta di differenti aspetti del problema costituzionale, a risultati analoghi a quelli cui arriviamo noi. Questo è il caso dei diritti del lavoro, dei cosiddetti diritti sociali; è il caso della nuova concezione del mondo economico, né individualistica né atomistica, ma fondata sul principio della solidarietà e del prevalere delle forze del lavoro; è il caso della nuova concezione e dei limiti del diritto di proprietà. Né poteva far ostacolo a questo confluire di due correnti... la concezione... della dignità della persona... vi era qui un altro punto di confluenza della nostra corrente, socialista e comunista, colla corrente solidaristica cristiana... Se questa confluenza di due diverse concezioni su un terreno ad esse comune volete qualificarla come "compromesso" fatelo pure».
Solo pochi giorni dopo, il 27 marzo, dc, comunisti (col voto contrario di Concetto Marchesi e Teresa Noce) e qualunquisti faranno approvare l´art. 7 che sancisce l´inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, malgrado l´opposizione dei socialisti e di buona parte de partiti repubblicani e laici.
Si apre in quel momento la lunga stagione del catto-comunismo che segnerà tutta la storia della prima Repubblica e non solo la Costituzione scritta ma altresì la Costituzione materiale, quell´assieme di norme, leggi, regolamenti e prassi parlamentari, suddivisione di poteri, riforme di vario segno, comportamenti consolidati che hanno caratterizzato in modo permanente e vincolante l´operato di quello che fu chiamato l´arco costituzionale.
Assai meno lineare, già da allora, come si è visto con l´art.7 ma non solo, il rapporto fra le due sinistre, comunista e socialista. E se dal 1948 al 1956 la stagione della guerra fredda rinsalderà il patto di unità d´azione e il comune impegno nei sindacati, comuni e cooperative, la repressione prima a Poznan, poi in Ungheria porterà ad un progressivo distacco e a una ripresa dell´autonomia socialista. Chi poi, come Giorgio Amendola, tenterà di sostenere nel Pci l´esigenza di un partito unico di sinistra di stampo riformista, uscirà isolato e sconfitto.
La partecipazione del Psi ai governi di centro sinistra darà nuovi incentivi alla ostilità, ancor prima che compaia Craxi all´orizzonte. Ma quel che qui preme sottolineare è la funzione che il rapporto coi cattolici assume per impedire ogni possibile trasformazione del Pci in un partito socialdemocratico. Nel settembre-ottobre 1973 Enrico Berlinguer con due articoli su Rinascita prende le mosse dal colpo di Stato di Pinochet in Cile per trarre la conclusione che, neppure con il 51 per cento dei voti, le sinistre possano e debbano andare al governo. Di qui la proposta del compromesso storico che corona un ragionamento esplicito: «Noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica». Incardinando in questa nuova fase la strategia consociativa inaugurata da Togliatti, Berlinguer, da un lato, approfondirà il rapporto con la Dc che con Moro toccherà l´acme, proponendosi di ottenere l´avallo cattolico per arrivare alla cancellazione della conventio ad excludendum senza affrontare una profonda revisione della natura del partito, dall´altra, taglierà ogni prospettiva all´autonomia socialista negando alla radice la possibilità di un governo delle sinistre, persino nel caso avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi.
Su questa premessa sbagliata e conservatrice il Pci arriva al crollo del Muro e alla fine dell´Urss. L´empito dell´anti socialismo, che si confonde con l´anti craxismo, si riverbera anche nel neonato Pds. L´approdo al partito socialista europeo e la patetica operazione della Cosa due avvengono per partenogenesi: vetero e post comunisti si autobattezzano socialdemocratici, guardandosi bene dal recuperare e far accedere alla stanza dei bottoni gli ex socialisti, anche quando si chiamano Giuliano Amato e Giorgio Ruffolo. Contemporaneamente viene respinta anche quell´ipotesi di "partito democratico" avanzata da Walter Veltroni, come involucro di trasformazione radicale e di modernizzazione dell´ex Pci.
È guardando a questo storico retroterra, che ci accompagna almeno da cinquant´anni, che il giudizio sul costituendo partito democratico si fa più approfondito. Le varianti col passato sono senz´altro notevoli. In primo luogo fino a ieri e certamente da Togliatti a Berlinguer il catto-comunismo costituiva il terreno comune, sovente para istituzionale, di compromesso politico e sociale, fra due partiti ben distinti, fieri della loro identità e, almeno in alcuni periodi, aspramente contrapposti. Oggi siamo di fronte ad un salto di qualità: la creazione di un partito unificato tra post dc e post comunisti, un parto assai tardivo ma non incestuoso del compromesso storico.
Se così è appare anche abbastanza naturale il distacco dal Pse, un impronta genetica troppo recente e, dunque, eliminabile senza dolore per una buona parte dei post comunisti.
Il discorso, peraltro, non si chiude qui perché lascia aperto il quesito su quale cultura risulterà egemonica nel nuovo partito. È lecito presumere che i ds si presentino col bagaglio più leggero avendo fatto piazza pulita del concetto stesso di ideologia, obbligati a una terapia di rigetto nei confronti della socialdemocrazia, incerti su una identità slabbrata tra liberismo e no global. Per contro le margherite post dc trovano nella conciliazione tra fede cattolica e riformismo temperato l´humus su cui far crescere una cultura capace di marcare il futuro partito. Lo si ricava dallo stesso Manifesto dei Democratici, laddove si bolla come "presunta e illusoria" la "neutralità" del laicismo e si rivendica, per contro, il «riconoscimento della piena cittadinanza, dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata, delle religioni». L´empito interventista impresso alla Chiesa dagli ultimi due pontificati - dalla scienza all´etica, dalla scuola alla famiglia - si riverbera sulla diaspora politica del cattolicesimo italiano con una dialettica destinata a farsi sentire su ogni comparto partitico, ancorché separato. Da Togliatti a Ruini il cammino è stato lungo. Le vie della Provvidenza sono infinite e non è detto che il Partito democratico non possa contribuire alla ricostruzione in forme nuove dell´unità politica dei cattolici. Non è detto che sia un male.

MARIO PIRANI da La Repubblica del 19-03-2007

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