Si ferma un momento, quasi inseguisse le parole giuste per chiudere il cerchio di un dolorosissimo ragionamento. "E poi, in fondo, anche questa ricerca ossessiva di numi tutelari che legittimino la loro operazione, questa storia del Pantheon, di Berlinguer, di Craxi, degli avi... E' indice di una grande debolezza, di assenza di una personalità propria. E naturalmente fa emergere il contrasto tra alcune figure del passato - tra le quali, certo, anche Enrico - e quelle del presente. La differenza, insomma, tra i dirigenti di un tempo, che parlavano dicendo "noi", e quelli di oggi che ripetono sempre "io", "io", "io"...". E il sipario, allora, potrebbe anche calare qui, sul passo d'addio ai Ds dell'ultimo Berlinguer. Giovanni, fratello di Enrico e candidato alla guida della Quercia nel 2001 dal "correntone" di Veltroni, Cofferati e Mussi, non entrerà nel Partito democratico: "Tenteremo di unire le forze di sinistra - spiega -. Proveremo a superare quella maledetta frantumazione che fa parte della peggior tradizione della sinistra italiana. E' necessario, perché ci sono diritti traditi e calpestati, quelli dei giovani, dei disoccupati, degli operai che crepano mentre lavorano. Bisogna provarci, è un dovere. Ci proveremo. Io sono pronto a continuare...".
Parole che arrivano dritte dal secolo scorso, che è sette anni fa ma sembra una vita. Una filosofia da '900, solida come il suo argomentare, come la sua casa, che è una gimkana tra migliaia di libri e mobili d'epoca; come le foto di Enrico, lì alla parete, ritratto con Giovanni, appunto, la sigaretta cascante tra le labbra come James Dean. Tutto, dalla sua casa al suo ragionare, trasmette l'idea di una solidità demodè. Magari superata. Certo non sostituita. Ecco, per dire, come motiva il suo no al nascente Partito democratico: "Ci sono tendenze pericolose, lì. La più grave è lo smarrimento dell'idea di laicità dello Stato. Arrivo a dire che era meglio quando c'era la Dc, che spesso conteneva l'invadenza vaticana. Oggi siamo invece all'offrirsi, al sollecitare un'influenza diretta della Chiesa sulle decisioni politiche e perfino sul comportamento dei singoli senatori. E' un caso di palese violazione dell'articolo 67 della Costituzione, che tutela l'esercizio parlamentare senza vincolo di mandato". Raddoppia quasi tutte le finali, nel suo intatto accento sardo. La casa è ingombra di mobili che costruisce Giovanni stesso, con fatica e pazienza certosina: un hobby antico. La moglie si lamenta, però: "Da quando è a Strasburgo (Giovanni Berlinguer è eurodeputato ds, ndr) lavora meno - dice portando l'ospite in giro per la casa -. E io, invece, ho bisogno che sistemi un tavolo che altrimenti viene giù". C'è un altro aspetto del nascente partito che non piace affatto al fratello del più amato dei segretari Pci. "Sono deluso per un processo che è tutto di vertice, per l'assenza di contenuti ideali e programmatici e per il disdegno - sì, il disdegno - nei confronti di forme di partecipazione possibili e invece mortificate e perfino combattute. Ora, intendiamoci, io non mi auguro affatto il fallimento del Partito democratico, sarebbe un regresso per tutti noi. Ma certo, mentre nasce quel partito, qualcun altro dovrà lavorare a unire le forze sparse della sinistra...".
Eccola, dunque, l'antichissima «nuova frontiera» di questo professore emerito in Psicologia e Igiene del lavoro: la sinistra. Giovanni Berlinguer parla di precari e disoccupati, ricorda l'esistenza in Italia di 25 milioni di lavoratori, reclama la difesa dei ceti deboli, la necessità di una politica di pace. E' convinto che di tutto ciò il Partito democratico non si occuperà. "E invece vedo una forte volontà di aggiornamento nella sinistra italiana - incalza -. Il passo più importante è stato compiuto sul tema della violenza, e già da tempo ormai. Ora è in atto un grande sforzo nell'assunzione di responsabilità di governo, per evitare che posizioni estreme, di rottura facciano saltare tutto per aria. E' un percorso sul quale è incamminata non solo Rifondazione. Penso ai Comunisti italiani, al mondo dell'ambientalismo, a gruppi e movimenti impegnati in un processo di revisione. E' una sfida difficile, la nostra, lo so. Come quella del Partito democratico, del resto. Ma è solo la competizione e poi l'alleanza tra queste due formazioni future che può permetterci di governare l'Italia. Cambiandola".
Governare per cambiare. Che è diverso dal governare per modernizzare, uno degli slogan del futuro Pd. Giovanni Berlinguer spiega la differenza. Argomenta, cita esempi, ragiona. E nel momento dell'addio al partito germinato dal partito nel quale ha militato per una vita, sembra lasciare poco spazio all'emozione. "Mi spiace, se è questa l'impressione. Invece sono molto coinvolto emotivamente. Mi auguro che ci siano meno lacerazioni possibili. Spero che i nostri diversi percorsi siano intrecciati. Ma quel che è certo è che non intendo rinunciare all'idea di un partito della sinistra democratica collegato all'esperienza del socialismo europeo". Come tanti altri compagni reduci dal vecchio Pci, Giovanni Berlinguer è di fronte alla seconda grande svolta della sua vita. Meno inevitabile di quella dell'89, peggio argomentata, frutto di una scelta discutibile, e infatti discussa, non parto di una drammatica necessità storica. "Nell'89 io subii una forte scossa. Ma riflettendo arrivai all'idea che in quella svolta c'erano assieme un fallimento storico e una grande opportunità: la liberazione da regole e dogmi che avevano frenato un'intera generazione". E' chiaro che per lui, stavolta, le cose non stanno così. La valigia per Firenze, per l'ultimo congresso del suo partito, è pronta. E ora sì che l'ultimo dei Berlinguer deve controllare l'emozione. "Non parteciperò all'elezione dei dirigenti che scioglieranno i Ds - dice -. E il distacco dal tronco rinsecchito sarà immediato o graduale, dipenderà da loro. Ascolterò il congresso e spero non si ripetano intolleranze nei confronti delle nostre decisioni". Giovanni Berlinguer prende un'altra via. E se questo renda incompatibile la presenza del fratello Enrico tra i numi tutelari del Partito democratico, decidetelo un po' voi. Lui non vuole nemmeno sentirne parlare: "E' una cosa barbara giocare con i morti e la memoria". Tutto qui.
intervista di FRANCESCO GEREMICCA per La Stampa del 18-04-2007
Parole che arrivano dritte dal secolo scorso, che è sette anni fa ma sembra una vita. Una filosofia da '900, solida come il suo argomentare, come la sua casa, che è una gimkana tra migliaia di libri e mobili d'epoca; come le foto di Enrico, lì alla parete, ritratto con Giovanni, appunto, la sigaretta cascante tra le labbra come James Dean. Tutto, dalla sua casa al suo ragionare, trasmette l'idea di una solidità demodè. Magari superata. Certo non sostituita. Ecco, per dire, come motiva il suo no al nascente Partito democratico: "Ci sono tendenze pericolose, lì. La più grave è lo smarrimento dell'idea di laicità dello Stato. Arrivo a dire che era meglio quando c'era la Dc, che spesso conteneva l'invadenza vaticana. Oggi siamo invece all'offrirsi, al sollecitare un'influenza diretta della Chiesa sulle decisioni politiche e perfino sul comportamento dei singoli senatori. E' un caso di palese violazione dell'articolo 67 della Costituzione, che tutela l'esercizio parlamentare senza vincolo di mandato". Raddoppia quasi tutte le finali, nel suo intatto accento sardo. La casa è ingombra di mobili che costruisce Giovanni stesso, con fatica e pazienza certosina: un hobby antico. La moglie si lamenta, però: "Da quando è a Strasburgo (Giovanni Berlinguer è eurodeputato ds, ndr) lavora meno - dice portando l'ospite in giro per la casa -. E io, invece, ho bisogno che sistemi un tavolo che altrimenti viene giù". C'è un altro aspetto del nascente partito che non piace affatto al fratello del più amato dei segretari Pci. "Sono deluso per un processo che è tutto di vertice, per l'assenza di contenuti ideali e programmatici e per il disdegno - sì, il disdegno - nei confronti di forme di partecipazione possibili e invece mortificate e perfino combattute. Ora, intendiamoci, io non mi auguro affatto il fallimento del Partito democratico, sarebbe un regresso per tutti noi. Ma certo, mentre nasce quel partito, qualcun altro dovrà lavorare a unire le forze sparse della sinistra...".
Eccola, dunque, l'antichissima «nuova frontiera» di questo professore emerito in Psicologia e Igiene del lavoro: la sinistra. Giovanni Berlinguer parla di precari e disoccupati, ricorda l'esistenza in Italia di 25 milioni di lavoratori, reclama la difesa dei ceti deboli, la necessità di una politica di pace. E' convinto che di tutto ciò il Partito democratico non si occuperà. "E invece vedo una forte volontà di aggiornamento nella sinistra italiana - incalza -. Il passo più importante è stato compiuto sul tema della violenza, e già da tempo ormai. Ora è in atto un grande sforzo nell'assunzione di responsabilità di governo, per evitare che posizioni estreme, di rottura facciano saltare tutto per aria. E' un percorso sul quale è incamminata non solo Rifondazione. Penso ai Comunisti italiani, al mondo dell'ambientalismo, a gruppi e movimenti impegnati in un processo di revisione. E' una sfida difficile, la nostra, lo so. Come quella del Partito democratico, del resto. Ma è solo la competizione e poi l'alleanza tra queste due formazioni future che può permetterci di governare l'Italia. Cambiandola".
Governare per cambiare. Che è diverso dal governare per modernizzare, uno degli slogan del futuro Pd. Giovanni Berlinguer spiega la differenza. Argomenta, cita esempi, ragiona. E nel momento dell'addio al partito germinato dal partito nel quale ha militato per una vita, sembra lasciare poco spazio all'emozione. "Mi spiace, se è questa l'impressione. Invece sono molto coinvolto emotivamente. Mi auguro che ci siano meno lacerazioni possibili. Spero che i nostri diversi percorsi siano intrecciati. Ma quel che è certo è che non intendo rinunciare all'idea di un partito della sinistra democratica collegato all'esperienza del socialismo europeo". Come tanti altri compagni reduci dal vecchio Pci, Giovanni Berlinguer è di fronte alla seconda grande svolta della sua vita. Meno inevitabile di quella dell'89, peggio argomentata, frutto di una scelta discutibile, e infatti discussa, non parto di una drammatica necessità storica. "Nell'89 io subii una forte scossa. Ma riflettendo arrivai all'idea che in quella svolta c'erano assieme un fallimento storico e una grande opportunità: la liberazione da regole e dogmi che avevano frenato un'intera generazione". E' chiaro che per lui, stavolta, le cose non stanno così. La valigia per Firenze, per l'ultimo congresso del suo partito, è pronta. E ora sì che l'ultimo dei Berlinguer deve controllare l'emozione. "Non parteciperò all'elezione dei dirigenti che scioglieranno i Ds - dice -. E il distacco dal tronco rinsecchito sarà immediato o graduale, dipenderà da loro. Ascolterò il congresso e spero non si ripetano intolleranze nei confronti delle nostre decisioni". Giovanni Berlinguer prende un'altra via. E se questo renda incompatibile la presenza del fratello Enrico tra i numi tutelari del Partito democratico, decidetelo un po' voi. Lui non vuole nemmeno sentirne parlare: "E' una cosa barbara giocare con i morti e la memoria". Tutto qui.
intervista di FRANCESCO GEREMICCA per La Stampa del 18-04-2007
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