Spenti i riflettori che hanno abbagliato i delegati del congresso Ds, la maggioranza dei quali ha ascoltato discorsi generici e retorici e assistito a dolorose separazioni, cosa resta come sostanza politica della prospettiva che era stata indicata? La risposta sembra semplice: è stata confermata la volontà della maggioranza di confluire nel Partito democratico. E, siccome anche il congresso della Margherita ha dato la stessa indicazione, la nave del Pd, come scrive Scalfari, è partita. Già, ma dove approderà? Ovvero quale sarà la base politico-culturale di un partito su cui si è detto tutto e il contrario di tutto: è nel Pse ma non c’è, è laico ma i confini della laicità li segnano i cattolici della Margherita, è un partito del lavoro, ma anche dell’impresa e delle banche, è di sinistra (come ha gridato Fassino) e di centrosinistra ma anche di centro, è portatore di un riformismo radicale ma anche moderato, è democratico e oligarchico, femminista e maschilista, giovane e vecchio, laico ma con la radice cristiana.
Scalfari scrive che il congresso della Margherita sarebbe stato solo una «registrazione di posizioni tra le varie correnti». Quello della Quercia invece l’ha visto «dominato dal pathos di un popolo di militanti - che ha deciso di rompere gli ormeggi per farsi protagonista del futuro - con una classe dirigente che smantella l’oligarchia cui fino a ora si era affidata e decide di uscire dal limbo dei post e degli ex per mettersi finalmente nel mare aperto della democrazia senza aggettivi». Ma quale congresso ha visto il fondatore di Repubblica per dire che è stata «smantellata l’oligarchia» se quell’assise è stata dominata dalla recita a soggetto di coloro che lo stesso Scalfari definisce oligarchi?
È il confronto tra i due congressi che non regge e meglio di Scalfari l’ha capito un popolano di Testaccio (dove abito) che domenica, incontrandomi, mi ha detto: «Siamo finiti nel ventre della Balena». Lasciamo stare le metafore, ma stupisce il fatto che persone navigate non capiscano che cos’è e cosa sarà domani, col Pd, il mondo che ruota attorno a quel nucleo di persone che esprimono, anche nella Margherita, la continuità di un sistema di potere che ha le sue radici nella Dc. Quale reciproca influenza ci sarà tra quel nucleo politico cattolico e le gerarchie ecclesiastiche, i settori dell’associazionismo moderato (industriale, commerciale, agricolo), le banche, l’Opus dei e la massoneria laica, l’informazione (Rai in testa) e quell’insieme di poteri locali che condizionano già oggi l’Ulivo? È questo aggregato politico economico che avrà la golden share del Pd.
Sia chiaro si tratta di forze reali della società in cui viviamo che si esprimono legittimamente in un gioco democratico ma che tenderanno a dare una loro impronta al Pd. La separazione dal Pse, voluta e ottenuta da questo gruppo, ha questo senso. E il cedimento dei Ds ha un significato inequivocabile. Solo chi non conosce la duttilità e la durezza, la cautela e la spregiudicatezza di un personale politico e parapolitico, abituato a trattare e contrattare nella sfera della politica e degli affari non capisce che sarà proprio quel personale a definire i confini di ciò che può essere e non essere il Pd e ciò che esso potrà fare e non fare. Da ora in poi gli ex Ds si troveranno nelle condizioni di dovere bere o affogare. Chi vivrà vedrà.
di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 24-04-07
Scalfari scrive che il congresso della Margherita sarebbe stato solo una «registrazione di posizioni tra le varie correnti». Quello della Quercia invece l’ha visto «dominato dal pathos di un popolo di militanti - che ha deciso di rompere gli ormeggi per farsi protagonista del futuro - con una classe dirigente che smantella l’oligarchia cui fino a ora si era affidata e decide di uscire dal limbo dei post e degli ex per mettersi finalmente nel mare aperto della democrazia senza aggettivi». Ma quale congresso ha visto il fondatore di Repubblica per dire che è stata «smantellata l’oligarchia» se quell’assise è stata dominata dalla recita a soggetto di coloro che lo stesso Scalfari definisce oligarchi?
È il confronto tra i due congressi che non regge e meglio di Scalfari l’ha capito un popolano di Testaccio (dove abito) che domenica, incontrandomi, mi ha detto: «Siamo finiti nel ventre della Balena». Lasciamo stare le metafore, ma stupisce il fatto che persone navigate non capiscano che cos’è e cosa sarà domani, col Pd, il mondo che ruota attorno a quel nucleo di persone che esprimono, anche nella Margherita, la continuità di un sistema di potere che ha le sue radici nella Dc. Quale reciproca influenza ci sarà tra quel nucleo politico cattolico e le gerarchie ecclesiastiche, i settori dell’associazionismo moderato (industriale, commerciale, agricolo), le banche, l’Opus dei e la massoneria laica, l’informazione (Rai in testa) e quell’insieme di poteri locali che condizionano già oggi l’Ulivo? È questo aggregato politico economico che avrà la golden share del Pd.
Sia chiaro si tratta di forze reali della società in cui viviamo che si esprimono legittimamente in un gioco democratico ma che tenderanno a dare una loro impronta al Pd. La separazione dal Pse, voluta e ottenuta da questo gruppo, ha questo senso. E il cedimento dei Ds ha un significato inequivocabile. Solo chi non conosce la duttilità e la durezza, la cautela e la spregiudicatezza di un personale politico e parapolitico, abituato a trattare e contrattare nella sfera della politica e degli affari non capisce che sarà proprio quel personale a definire i confini di ciò che può essere e non essere il Pd e ciò che esso potrà fare e non fare. Da ora in poi gli ex Ds si troveranno nelle condizioni di dovere bere o affogare. Chi vivrà vedrà.
di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 24-04-07
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