lunedì 30 aprile 2007

Un partito a corto di idee

Cosa può spingere alla creazione di una nuova formazione politica? La fondazione del Partito democratico (Pd) annunciata dagli ultimi congressi dei Ds e della Margherita tra il 20 e il 22 aprile non ha risposto a quest’interrogativo. Eppure è una questione fondamentale per capire quale sarà il destino del Pd e perché finora questo nuovo partito non ha suscitato entusiasmo tra militanti e cittadini.
I progetti innovativi, gli eventi storici, economici o sociali più rilevanti o l’emergere di un leader carismatico hanno sempre costituito le basi per la nascita di nuove forze politiche. Da questo punto di vista, il Pd nasce debole e in ritardo all’appuntamento con la storia. Il superamento delle divisioni tra sinistra moderata e centristi, che avevano caratterizzato la guerra fredda, sarebbe dovuto avvenire molto tempo fa.
Soprattutto perché la caduta del muro di Berlino aveva messo in evidenza la crisi strutturale della sinistra e la necessità di aprire un dialogo con il centro. Sulle sue nuove idee, il Pd è molto vago, come testimonia il manifesto senz’anima elaborato dai saggi del partito. Il Pd sarebbe anche potuto nascere dopo la vittoria di Silvio Berlusconi nel 2001, quando molti cittadini chiedevano a gran voce un’opposizione unita (anche per avere più possibilità in un sistema elettorale maggioritario). Ma gli stati maggiori dei partiti hanno preferito rinviare il progetto, accontentandosi di un’alleanza elettorale di basso profilo e oggi quella necessità “storica” non c’è più (visto che Berlusconi è all’opposizione e si vota con il sistema proporzionale).
Il Pd avrebbe potuto essere il partito di un leader, come l’Ump francese, che è nato per sostenere Jacques Chirac e oggi Nicolas Sarkozy. Prodi era il candidato naturale ma non ha fatto abbastanza per sottolineare la sua leadership. In questo modo lascia sul Pd, già dalla sua nascita, l’ombra di una guerra tra capi che infastidisce l’opinione pubblica.
Il Partito democratico poteva essere una vera innovazione politica, una ventata di modernizzazione nella società, e invece somiglia a quelle fusioni fatte dalle grandi aziende che si alleano per non farsi spazzar via dalla concorrenza, senza avere una vera politica industriale. Il Pd nasce in particolare dal fallimento del gruppo dirigente dei Ds che, dal 1989, non ha saputo trasformare l’ex Pci in una grande formazione di centrosinistra capace di dialogare con una vasta area del paese. L’anno scorso i Ds si sono fermati al 17 per cento e l’unione con la Margherita suona come l’ammissione di questa sconfitta.
Per tutti questi motivi il Pd sembra senza fiato, senza energia. I primi sondaggi lo danno intorno al 25 per cento. Ha già perso pezzi importanti con la defezione di Fabio Mussi e di Gavino Angius. Inoltre dovrà affrontare nei prossimi mesi sfide notevoli, a partire dalla nuova legge elettorale. Il cammino è tortuoso e difficile.
Non solo: tra il Pd e la sinistra radicale si è aperto uno spazio politico per una forza socialista, moderna e laica. Finora lo Sdi, e i radicali, non hanno saputo approfittarne anche per mancanza di un vero leader. I dirigenti del Pd possono sperare dunque che continueranno a votarli per forza di inerzia e turandosi il naso.
Oppure possono provare a ritrovare la linfa che aveva fatto muovere i primi passi dell’Ulivo più di dieci anni fa.
Questa forza propulsiva potrebbe forse venire dalle presidenziali francesi. Un successo di Royal con il sostegno degli elettori centristi darebbe in effetti una enorme boccata d’ossigeno al Pd. Ma se Royal dovesse perdere...

di ERIC JOZSEF (corrispondente del quotidiano francese Libération e del giornale svizzero Le Temps)

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