lunedì 22 ottobre 2007

Ingrao: "La politica deve far sognare ma sarebbe stupido far cadere Prodi"

ROMA - «La politica deve far sognare, io voglio sognare. Perciò insisto a dire che voglio la luna. E la luna deve pure sbrigarsi: tra qualche mese compirò 93 anni, dunque...». Pietro Ingrao abita nella stessa casa da più di quarant´anni. Gliela lasciò il padre. Gli stessi mobili, la identica luce, e i rumori della vicina tangenziale che taglia Roma ad est. «Prima abbiamo abitato in un appartamento della famiglia di mia moglie, i Lombardo Radice. Sopra di noi c´era quella di Indro Montanelli».
Vecchio, è il grande vecchio della sinistra italiana. E´ la figura più riverita, la più applaudita, e come è capitato sabato a Santa Maria Maggiore, baciata, perfino osannata da una folla veramente adorante, la bandiera rossa in una mano e l´altra a cercarlo, a toccarlo.

Presidente Ingrao.
«Ingrao, preferirei usasse solo il cognome. Mi sembra appropriato quando la confidenza è poca. Chi mi frequenta mi chiama col mio nome: Pietro».

La politica è fare, non sognare.
«Certo che lo so: la politica è anche fare, cambiare o solo confermare la realtà delle cose. Ma non mi basta. E non mi deve bastare. Insisto perciò: la politica deve al fondo saper sognare. E io voglio sognare».

Il manifesto di Rifondazione comunista che definiva il senso della marcia di sabato scorso recitava: "Un altro mondo è possibile. Non la luna".
«Insisto, voglio altro. Anzi aggiungo: sono lieto di aver detto che è giusto chiedere la luna, dare una spinta in quella direzione. Per raggiungerla naturalmente ricorro a tutte le strade e a tutti i compromessi possibili e legittimi».

E stare al governo con Prodi le appare un compromesso accettabile, soddisfacente?

«Prodi, Veltroni e gli altri sono dei moderati con cui la sinistra realizza degli accordi definiti, costruisce un rapporto. Io non ho avversato la decisione del mio partito, Rifondazione comunista, di governare insieme. E adesso non farei la stupidaggine di far cadere il governo».

C´è Berlusconi dietro l´angolo.
«E´ un reazionario. Anzi, un pessimo reazionario».

Dunque non desidera le urne.
«Però quella grande piazza che ho visto era composta di gente che protestava contro. Lottava per conquistare due grandi obiettivi: l´emancipazione dal lavoro e il raggiungimento della pace. Il tono complessivo della manifestazione mi è sembrato per la verità un po´ più di un ultimo avviso a Prodi. Io stesso ho usato una frase: la lotta continua. Continua».

È sempre piuttosto difficile per un comunista vedere cambiate le cose. Il corteo avanzava rassegnato, quasi perduto nella sua triste condizione.
«Non mi è proprio parso rassegnato. Anzi fiero, convinto nella lotta. Quanta gente, così tanta da stringerti fino a farti arrestare il passo. E le mani che ti cingevano, quella che ti sfiorava la fronte, l´altra che ti faceva una carezza, chi ti rivelava il suo nome: "Io sono..." Un modo di comunicare, di sentirsi vicini».

Commovente.
«Sono un emotivo non un freddo. E commovente assai è stato l´incontro».

Adesso si cerca un leader per guidare la Cosa rossa.
«Non tocca a me rispondere alla sua domanda; non spetta a me fare un nome. Ma non mi sembra la cosa più urgente a dire il vero».

Dopo la costituzione del Partito democratico, che lei inquadra nel fronte dei moderati...

«E´ così, sono dichiaratamente moderati».

D'Alema, Veltroni e gli altri diessini sono stati suoi compagni. Li ha visti crescere. La chiamano, si fanno ancora vivi?

«Sono presi dal loro lavoro, vanno a frugare il mondo nei luoghi più remoti. E io sono qui, seduto. Con alcuni si è creata una distanza di pensiero e di progetto. Se mi chiamassero risponderei volentieri, è sempre utile l´ascolto anche dai diversi da me».

I diversi. Per un non credente il diverso è un cattolico.
«Ho avuto diverse relazioni con alcuni esponenti di questo mondo. Relazioni umane e anche politiche. La più recente è quella con Alex Zanotelli. Ma anche con don Nasi, con Padre Balducci. Ricordo quando mi fu chiesto di parlare in una chiesa fiorentina. Io salii e dall´altare... Con Giorgio La Pira il dialogo fu vivo, intenso. A volte succedeva che La Pira telefonasse a casa e non mi trovasse. Mia moglie Laura chiedeva chi fosse. La Pira rispondeva: "Quello della città sul monte". Aveva paura di essere intercettato dalla polizia, e per prudenza (ero pur sempre un comunista e un non credente) dava la sua identità cifrata".

Questo Papa la incuriosisce?
«Non mi fa simpatia».

C'è la televisione qui in salotto. Buon per lei: la politica si è oramai trasferita nei talk show.
«Sì, guardo. Accendo la tv. Alcune volte però la spengo. Altre volte ancora, e capita assai spesso, cambio canale».

Cosa guarda?
«Il programma di Giuliano Ferrara, ma non sempre. Anche Gad Lerner, ma non sempre. Michele Santoro, di meno però. Lui di meno. Gli altri non mi sembrano di grande interesse. E quando cambio cerco un film».

Il suo grande amore.
«Sono convinto di intendermi più di cinema che di politica. Ricordi che ho frequentato per un anno l´istituto sperimentale di cinematografia».

Però Veltroni ne sa più di lei.
«Sbaglia: sono meglio di Veltroni».

Adesso c´è la festa del cinema a Roma, è un´occasione da non perdere.
«Devo ribadirle la mia età?».

Con chi parla di politica?
«Con Rossana Rossanda e Lucio Magri. Di recente gli incontri con Rossana si sono fatti più rari per il fatto che lei vive a Parigi. Ho sempre ascoltato le opinioni di Aldo Tortorella, Giuseppe Chiarante. Questi qua«.

Ma Bertinotti lo sente?
«Sì, chiama».

Lei esce ancora spesso di casa.
«Mi piace passeggiare, vado a piazza Bologna, lungo viale XXI Aprile, arrivo fino a villa Torlonia. Il luogo che mi è caro per via della mia passione cinematografica. Lì ho immaginato di fare il regista...».

L'accompagna l'autista?
«A piedi. Da quando ho smesso di fare il presidente della Camera non ho più avuto un´auto di servizio. Non ce n´è stato mai bisogno».

Irene Pivetti ce l'ha.
«Come?»

Ha goduto poco del privilegio di Stato.
«Rifiutai anche di tornare a fare il presidente della Camera e la cosa non fu affatto presa bene dal partito. Per due motivi. Il primo: non si capiva perché rifiutassi un incarico di tale prestigio. Il secondo: non si accettava che dicessi no al partito. Ugo Pecchioli fu molto aspro con me. Riteneva di censurare questa mancanza di disciplina: "Quando il partito dice, si fa"».

Venne Nilde Iotti dopo di lei.
«Fu la volta di Nilde».

Si ricorda sempre il rapporto sentimentale che la legò a Togliatti. Solo di lei si parla, eppure nel Palazzo avete vissuto in tanti una lunga vita.
«Cosa vuole chiedermi?».

Anche lei ha trascorso anni e anni lì dentro...
«Nel Palazzo, diciamo così, di certo le simpatie non sono mancate. Ma ho vissuto interamente e intensamente il rapporto con mia moglie Laura».

È così.
«E sono rimasto qua».

di Antonello Caporale da la Repubblica del 22 ottobre 2007

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