giovedì 18 ottobre 2007

La nostra idea di politica partecipata

Le primarie in Italia le abbiamo inventate noi, la sinistra. A volte leggendo i commenti di alcuni compagni e compagne ho come l'impressione che questo particolare sia stato dimenticato. Quando si pose l'esigenza di scegliere tra Nichi Vendola e Francesco Boccia, come candidati alla presidenza della Regione Puglia, fu proprio la sinistra e segnatamente Rifondazione Comunista ad invocare a gran voce il metodo più partecipativo e democratico.
La storia la conosciamo: Nichi vinse contro ogni previsione della vigilia, contro le macchine organizzative di Ds e Margherita, contro gli strali che attempati editorialisti del Corriere della Sera gli lanciavano quasi giornalmente.

Ora, sarebbe bene, sarebbe bello, che la sinistra ricordasse quei fatti e ricordasse che, se qualcuno ha copiato, questo è proprio il Partito Democratico. Noi, qualora scegliessimo, come mi auguro, le primarie per il programma e la leadership della sinistra, non faremmo altro che imitare noi stessi, la nostra idea di politica partecipata.
Del resto, ci sono alternative? Onestamente io non ne vedo alcuna. Così come non vedo alternative all'unità della sinistra stessa. Marciare separati, per magari, quando va bene, colpire uniti, è una tattica inadeguata al quadro politico che abbiamo di fronte dopo la formazione del Partito democratico.

Dice bene Nerozzi (su aprileonline ieri, ndr): oggi non c'è una rappresentanza del lavoro nella politica. O almeno non c'è una rappresentanza adeguata. Quello che mi pare neghi - non solo lui, ma buona parte della Cgil - è che questa rappresentanza politica va costruita. Io non sono d'accordo e mi pare suicida pensarlo: non ci si può rassegnare all'idea che i lavoratori si difendano solo con il sindacato. Perché è evidente che finché nell'agenda politica il lavoro non tornerà ad occupare il primo posto, lo stesso sindacato non potrà che operare una resistenza al tentativo di cancellare o ridurre i diritti dei lavoratori.

Poi ad ognuno il suo mestiere: al sindacato quello del sindacato e alla politica quello della politica. E ciò significa, ad esempio, che il parlamento è sovrano e se deciderà di cambiare il protocollo in senso migliorativo per i lavoratori, non credo che qualcuno debba scandalizzarsi. E significa, ancora, che l'autonomia del sindacato è speculare a quella della politica: un partito non deve fare un sindacato in miniatura, né il sindacato comportarsi come un partito agendo per la tenuta del quadro politico dato, senza l'onere del confronto elettorale e parlamentare.

Il tema, quindi, è la costruzione di un soggetto politico. Non una federazione - lo ha spiegato bene Giovanni Berlinguer sulle colonne del Riformista - in cui ognuno poi mantiene i suoi organismi e persino le sue liste elettorali. Non una "union de la gauche" di stampo elettoralistico.
Quello che serve ai lavoratori è una grande forza, capace di competere/collaborare con il Partito democratico di Veltroni, nel quale spero che la sinistra potrà far sentire la sua voce perché questo conviene anche a noi. Una forza che rimetta, come dicevo, i lavoratori in testa alle priorità.
Una forza così la si costruisce solo se c'è una grande partecipazione. Solo se i lavoratori e le lavoratrici (quelli che hanno votato sì come quelli che hanno votato no al referendum) sentiranno di essere chiamati a darsi una rappresentanza politica larga.
Questa è la "massa critica". Altrimenti (diciamocelo con franchezza) tutti torneremo a casa per manifesta incapacità.

di Pietro Folena da Aprileonline

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