«Può succedere di tutto. Chi riesce a far cadere ora il governo farebbe strike». Fabio Mussi, coordinatore di Sinistra democratica, è appena tornato da Bolzano e quando lo incontriamo lo attende un difficilissimo consiglio dei ministri. E' ben concreta la possibilità che lo scontro tra Mastella e Di Pietro sul «caso De Magistris» porti alla crisi. «Stiamo come d'autunno sugli alberi le foglie», cita Ungaretti.
Chi può avere interesse a far cadere ora il governo?
Le ragioni possono essere le più diverse. Nel merito, c'è la finanziaria e il protocollo sul welfare. C'è un quadro internazionale dove si sta riacutizzando la crisi in Iran e Medio Oriente e dove l'Italia è in prima linea. E infine c'è un centrosinistra in cui non sono riusciti a consolidarsi né il Pd né la sinistra.
Per fortuna, forse, c'è stata la manifestazione di sabato.
Devo essere onesto. Alla vigilia ho espresso timori che poi la manifestazione ha del tutto fugato. Temevo che il corteo potesse «sfuggire di mano», con un'aggressività verso il governo e verso la Cgil che poteva mettere in difficoltà la sinistra invece di aiutarla. Non ho mai dubitato delle intenzioni dei promotori, del resto tra noi c'è stato un vero dialogo, ma i miei timori si sono rivelati infondati. La manifestazione è stata bella, ampia e soprattutto politicamente forte. Mi hanno impressionato soprattutto le parole prese al volo tra i manifestanti. C'era davvero un'intelligenza politica di massa, senza nessuna dichiarazione stonata. Di fatto quel corteo ha detto tre cose: che la precarietà è la questione delle questioni, che il governo - ammesso che duri - deve ripartire dal suo programma, che c'è una forte domanda politica di unità a sinistra. Su questo, soprattutto, c'è stato «un di più», un'eccedenza, sia rispetto ai partiti che ai promotori.
Non è proprio su questo «di più» che siamo tutti inadeguati?
Assolutamente sì. Bisogna tornare alla realtà. Si dice riformismo ma poi si fa il contrario. Si rappresenta la flessibilità come una grande opportunità sapendo che significa esattamente il contrario. Nel linguaggio e nelle ideologie che corrono c'è il marchio di un'egemonia che subiamo.
Si ma come traduci questo discorso politicamente? Tu stesso hai votato, con riserva, il protocollo sul welfare.
Ho dato un giudizio articolato. Sulla parte previdenziale era un buon compromesso. Mentre è del tutto insoddisfacente, al di là di qualche miglioramento, la parte sul lavoro. E' evidente che la distanza siderale tra la dimensione drammatica della precarietà e le soluzioni proposte ha allargato il fiume della delusione.
Tu stesso hai definito quella di sabato una bella manifestazione. Nella Cgil si è aperta una riflessione su chi, della Fiom, ha partecipato. Che ne pensi?
Rispetto la dialettica interna al sindacato. Una sinistra che nasce non può prescindere dal rapporto con il sindacato. Io stesso vengo da una famiglia operaia. A casa mia erano tutti della Fiom. Mi auguro che questa discussione anche aspra non porti a una rottura. Spero che si trovi la strada per difendere l'assetto confederale del sindacato. La confederalità è il contrario del comando, ma guarda all'unità ed è un valore, non è che ognuno fa quello che vuole.
Pensi che il protocollo possa essere migliorato?
Faremo il possibile per migliorarlo, certo. Il sindacato è fondamentale per la democrazia. Ma discutere di politica economica e del lavoro non si esaurisce in una vertenza contrattuale. Si parla di un'idea di società, in cui la politica non può essere considerata un'indebita ingerenza. In questo caso la rappresentanza del lavoro non si esaurisce nel sindacato, ha bisogno di politica. Per la Costituzione il parlamento è sovrano. Tutto quello che si può fare a favore dei lavoratori deve essere guardato con simpatia e rispetto. Il sistema delle autonomie tra politica e sindacato, insomma, deve funzionare nei due versi.
E se ci fosse la fiducia?
Comunque vadano le cose il governo non deve cadere da sinistra. Va evitato come la peste.
Ma questa sinistra come può essere più credibile?
Il corteo ha detto ai quattro partiti della sinistra: fateci partecipare e datevi una mossa. Di unire le forze il Pd parla da 12 anni. Noi per farlo abbiamo non dico 12 mesi ma molto molto meno. Perciò dobbiamo essere coraggiosi e innovativi. Capisco che un passaggio «federale» possa essere considerato insufficiente ma naturalmente dobbiamo fare ciò che è possibile. Penso però che un gruppo parlamentare unico alla camera e al senato sarebbe un segnale positivo, molto visibile e molto incisivo. Del resto, sulla finanziaria abbiamo fatto un lavoro comune eccellente, abbiamo fatto sfigurare il Pd, che ha presentato il triplo di emendamenti.
Ma vanno sciolti i partiti che ci sono oppure no?
Noi non abbiamo voluto fare un nuovo partito. Alla sola idea di passare la vita a contendere a Pdci, Prc e Verdi lo 0,2% mi butto dalla finestra. La nostra funzione è dare una mano: solve et coagula, diceva Alex Langer nel suo ultimo libro. Sciogliere e riaggregare. Però sono un gradualista, faremo quello che è possibile fare sapendo che tutto dipende da noi. La manifestazione del 20 è stata chiarissima, ci ha aiutato. Ho visto che perfino il Pd ha timore di essere un «partito liquido» e senza iscritti. La nuova sinistra, se vuole avere una prospettiva di governo, deve essere qualcosa di solido, di radicato nella società, di pesante.
Qual è la prima mossa?
Domani (oggi per chi legge, ndr) ci vediamo con Giordano, Diliberto e Pecoraro. L'idea è convocare a metà dicembre gli stati generali della sinistra. Qualcosa di simile a un «social forum», dove si incontrino non solo le quattro forze politiche ma un campo di forze vastissimo, che va al di là della forza pur non irrilevante, intorno al 12-13%, dei pariti che ci sono. Una sinistra divisa non rappresenta più la società. Unificarla corrisponde alla vocazione di centinaia di migliaia di persone, che ritengono inimmaginabile che la sinistra scompaia dal lessico politico italiano. Serve però una sinistra più avanzata, che risponda ai problemi del XXI secolo. Ricombinare gli schemi del passato non funziona. La memoria è nostra ma i problemi sono nuovi.
Questa sinistra non ha anche un problema di leadership?
Non mettiamo il carro davanti ai buoi. C'è bisogno di un processo molto partecipato la cui chiave siano i programmi e le idee. Concordo con Giordano, se ci buttiamo alla contesa sulla leadership come il Pd siamo perduti. Nessuno di noi cerca primati personali, di personalizzazione della politica ce n'è fin troppa.
Prima del 20 ottobre si è vociferato di tue possibili dimissioni da coordinatore di Sd. Resti alla guida del movimento?
E' vero. Abbiamo avuto una discussione molto animata sul protocollo, sulla condotta da tenere in consiglio dei ministri e sulla manifestazione. E' una discussione che prosegue. Sì, sono ancora il coordinatore.
di Matteo Bartocci e Gabriele Polo da il Manifesto del 24 ottobre 2007
Chi può avere interesse a far cadere ora il governo?
Le ragioni possono essere le più diverse. Nel merito, c'è la finanziaria e il protocollo sul welfare. C'è un quadro internazionale dove si sta riacutizzando la crisi in Iran e Medio Oriente e dove l'Italia è in prima linea. E infine c'è un centrosinistra in cui non sono riusciti a consolidarsi né il Pd né la sinistra.
Per fortuna, forse, c'è stata la manifestazione di sabato.
Devo essere onesto. Alla vigilia ho espresso timori che poi la manifestazione ha del tutto fugato. Temevo che il corteo potesse «sfuggire di mano», con un'aggressività verso il governo e verso la Cgil che poteva mettere in difficoltà la sinistra invece di aiutarla. Non ho mai dubitato delle intenzioni dei promotori, del resto tra noi c'è stato un vero dialogo, ma i miei timori si sono rivelati infondati. La manifestazione è stata bella, ampia e soprattutto politicamente forte. Mi hanno impressionato soprattutto le parole prese al volo tra i manifestanti. C'era davvero un'intelligenza politica di massa, senza nessuna dichiarazione stonata. Di fatto quel corteo ha detto tre cose: che la precarietà è la questione delle questioni, che il governo - ammesso che duri - deve ripartire dal suo programma, che c'è una forte domanda politica di unità a sinistra. Su questo, soprattutto, c'è stato «un di più», un'eccedenza, sia rispetto ai partiti che ai promotori.
Non è proprio su questo «di più» che siamo tutti inadeguati?
Assolutamente sì. Bisogna tornare alla realtà. Si dice riformismo ma poi si fa il contrario. Si rappresenta la flessibilità come una grande opportunità sapendo che significa esattamente il contrario. Nel linguaggio e nelle ideologie che corrono c'è il marchio di un'egemonia che subiamo.
Si ma come traduci questo discorso politicamente? Tu stesso hai votato, con riserva, il protocollo sul welfare.
Ho dato un giudizio articolato. Sulla parte previdenziale era un buon compromesso. Mentre è del tutto insoddisfacente, al di là di qualche miglioramento, la parte sul lavoro. E' evidente che la distanza siderale tra la dimensione drammatica della precarietà e le soluzioni proposte ha allargato il fiume della delusione.
Tu stesso hai definito quella di sabato una bella manifestazione. Nella Cgil si è aperta una riflessione su chi, della Fiom, ha partecipato. Che ne pensi?
Rispetto la dialettica interna al sindacato. Una sinistra che nasce non può prescindere dal rapporto con il sindacato. Io stesso vengo da una famiglia operaia. A casa mia erano tutti della Fiom. Mi auguro che questa discussione anche aspra non porti a una rottura. Spero che si trovi la strada per difendere l'assetto confederale del sindacato. La confederalità è il contrario del comando, ma guarda all'unità ed è un valore, non è che ognuno fa quello che vuole.
Pensi che il protocollo possa essere migliorato?
Faremo il possibile per migliorarlo, certo. Il sindacato è fondamentale per la democrazia. Ma discutere di politica economica e del lavoro non si esaurisce in una vertenza contrattuale. Si parla di un'idea di società, in cui la politica non può essere considerata un'indebita ingerenza. In questo caso la rappresentanza del lavoro non si esaurisce nel sindacato, ha bisogno di politica. Per la Costituzione il parlamento è sovrano. Tutto quello che si può fare a favore dei lavoratori deve essere guardato con simpatia e rispetto. Il sistema delle autonomie tra politica e sindacato, insomma, deve funzionare nei due versi.
E se ci fosse la fiducia?
Comunque vadano le cose il governo non deve cadere da sinistra. Va evitato come la peste.
Ma questa sinistra come può essere più credibile?
Il corteo ha detto ai quattro partiti della sinistra: fateci partecipare e datevi una mossa. Di unire le forze il Pd parla da 12 anni. Noi per farlo abbiamo non dico 12 mesi ma molto molto meno. Perciò dobbiamo essere coraggiosi e innovativi. Capisco che un passaggio «federale» possa essere considerato insufficiente ma naturalmente dobbiamo fare ciò che è possibile. Penso però che un gruppo parlamentare unico alla camera e al senato sarebbe un segnale positivo, molto visibile e molto incisivo. Del resto, sulla finanziaria abbiamo fatto un lavoro comune eccellente, abbiamo fatto sfigurare il Pd, che ha presentato il triplo di emendamenti.
Ma vanno sciolti i partiti che ci sono oppure no?
Noi non abbiamo voluto fare un nuovo partito. Alla sola idea di passare la vita a contendere a Pdci, Prc e Verdi lo 0,2% mi butto dalla finestra. La nostra funzione è dare una mano: solve et coagula, diceva Alex Langer nel suo ultimo libro. Sciogliere e riaggregare. Però sono un gradualista, faremo quello che è possibile fare sapendo che tutto dipende da noi. La manifestazione del 20 è stata chiarissima, ci ha aiutato. Ho visto che perfino il Pd ha timore di essere un «partito liquido» e senza iscritti. La nuova sinistra, se vuole avere una prospettiva di governo, deve essere qualcosa di solido, di radicato nella società, di pesante.
Qual è la prima mossa?
Domani (oggi per chi legge, ndr) ci vediamo con Giordano, Diliberto e Pecoraro. L'idea è convocare a metà dicembre gli stati generali della sinistra. Qualcosa di simile a un «social forum», dove si incontrino non solo le quattro forze politiche ma un campo di forze vastissimo, che va al di là della forza pur non irrilevante, intorno al 12-13%, dei pariti che ci sono. Una sinistra divisa non rappresenta più la società. Unificarla corrisponde alla vocazione di centinaia di migliaia di persone, che ritengono inimmaginabile che la sinistra scompaia dal lessico politico italiano. Serve però una sinistra più avanzata, che risponda ai problemi del XXI secolo. Ricombinare gli schemi del passato non funziona. La memoria è nostra ma i problemi sono nuovi.
Questa sinistra non ha anche un problema di leadership?
Non mettiamo il carro davanti ai buoi. C'è bisogno di un processo molto partecipato la cui chiave siano i programmi e le idee. Concordo con Giordano, se ci buttiamo alla contesa sulla leadership come il Pd siamo perduti. Nessuno di noi cerca primati personali, di personalizzazione della politica ce n'è fin troppa.
Prima del 20 ottobre si è vociferato di tue possibili dimissioni da coordinatore di Sd. Resti alla guida del movimento?
E' vero. Abbiamo avuto una discussione molto animata sul protocollo, sulla condotta da tenere in consiglio dei ministri e sulla manifestazione. E' una discussione che prosegue. Sì, sono ancora il coordinatore.
di Matteo Bartocci e Gabriele Polo da il Manifesto del 24 ottobre 2007
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