Costituente socialista, Federazione della sinistra: possiamo dire due progetti per un obiettivo solo? A costo di sfiorare l’eresia vorrei sostenere che dobbiamo dirlo. Specie se oltre all’oggi intendiamo guardare anche al domani. Nell’Italia politica di domani non potrà esserci, se ci sarà, un partito democratico e due sinistre, di cui una e mezza aderente al socialismo europeo. Non regge. Non c’è solo il tema della semplificazione del sistema dei partiti, né quello della risposta all’antipolitica che può terremotare da un momento all’altro il panorama italiano. C’è, prima ancora, la questione del declino in cui versa il nostro Paese. Inutile richiamare qui i principali indicatori interni ed europei, economici e sociali. Dati alla mano, siamo dentro una fase che si prevede lunga prima di poter risalire la china. E oltre che lunga essa è anche profonda, se sappiamo leggere di questo declino italiano i dati non solo economici e politici ma anche e soprattutto civili, culturali e morali. Più di trent’anni fa Pasolini riusciva a prevedere gli effetti del miracolo economico italiano allora in atto. Attenti, sosteneva, l’Italia economica cresce molto più di quanto cresca culturalmente il paese, l’antropologia politica nazionale muterà e non in meglio. Abbiamo misurato poco più di un decennio dopo l’effimero mito del Nord-est, presentato anche a sinistra come locomotiva del Paese e che ora lascia sul campo generazioni descolarizzate ed economie residuali. Oggi l’economia italiana ristagna, da tempo, quasi la metà di essa è ormai economia criminale o illegale o sommersa, dentro di essa si scorgono crescente povertà e diritti negati. La buona economia, quella su cui costruire la buona società, è un segmento che ogni giorno si restringe.. Quale nuova politica possiamo costruire, se ciò che abbiamo in mente, per l’oggi e per il domani, non è solo come vincere le elezioni, ma come governare democraticamente un Paese che prima di tutto deve ricostruirsi come sistema? Ma se si parte dal declino del paese, dall’Italia in frantumi come l’ha chiamata con realismo Luciano Gallino, allora il primum vivere di certa parte della politica italiana, stavolta davvero non basta più. E’ apprezzabile l’intesa programmatica con cui l’Unione ha vinto – di poco – le elezioni l’anno scorso, ed è sacrosanto il richiamo dell’intera sinistra a che non sia disatteso, ma occorre chiedersi se un programma di legislatura sia in grado di contenere il senso di una missione verso il governo del Paese. Si può non essere d’accordo con lui su più d’un punto, ma Gordon Brown parla dell’Inghilterra, alla conferenza annuale del Labour, indicando un piano di governo per i prossimi quindici anni. Dobbiamo chiederci cosa dovrà fare il centrosinistra italiano per farsi carico della missione capace di condurre l’Italia fuori dal declino che l’attraversa. Visto fin qui, il nascente partito democratico sembra troppo ripiegato su se stesso per affrontare il tema. E’ noto come la nostra critica ad esso sia stata, sin dall’inizio, netta, lungimirante. E’ un progetto politico troppo al di sotto della risposta da dare alla sfida del declino italiano. Lo è da due fondamentali punti di vista. La divergenza programmatica interna, praticamente su ogni punto della tastiera politica, divergenza permanente, quasi mai condotta a sintesi, se non troppo al ribasso per essere, almeno fin qui, degna di interpretare il senso di una missione politica che parli all’Italia. . Il riflesso che potrà avere – che già ha – sul governare sarà inevitabilmente quello di rallentare l’azione e l’efficacia politica. Ma lo è soprattutto per il modo con cui si sta formando, modo dentro il quale dobbiamo saper scrutare – non è difficile – come e cosa sarà questo soggetto nell’Italia di domani. L’idea di politica, di partecipazione che lo sottende. Quella in atto con la nascita del partito democratico non è neppure la trasposizione da un modello politico europeo ad un modello politico americano. Le analogie, lasciando da parte i pantheon kennedyani e pur nella crescente permeabilità del nostro sistema politico a quello statunitense, sono davvero poche. Piuttosto, è amaro dirlo, il partito democratico sta nascendo come trasposizione, sul fronte del centrosinistra, di un’idea alquanto berlusconiana della politica. Del suo modo di essere sempre più assorbita dalla tecnica e sempre più somigliante neppure alla comunicazione, ma alla pubblicità, sostituendo infine la partecipazione con il sondaggio. C’è una crescente resa a considerare ormai solo questo l’unico modo rimasto di fare politica nell’Italia contemporanea. Il Partito democratico nasce mutuando molto da quell’idea berlusconiana di politica.. L’elezione del segretario di un partito da parte di elettori persino di altri partiti è un caso unico al mondo. E quando uno dei candidati, sindaco di una grande città meridionale e parlamentare, chiama a raccolta gli elettori di destra per sbarrare il passo al suo acerrimo avversario presente nella sua stessa lista, vuol dire che la politica degna di questo nome è giunta al capolinea.
Ma certo il fatto stesso che il partito democratico nasca, chiama la sinistra non solo a pensare con urgenza la sua nuova strategia, ma a come realizzarla. Ecco perché dobbiamo analizzare bene il processo messo in atto dal partito democratico. Per non creare simmetrie politiche, per non risultare nel percorso come nel linguaggio speculari a ciò che con ragione critichiamo. Perché anche a sinistra si finisce di parlare più di soggetto che di progetto politico? Perché si lascia troppo sullo sfondo il tema della cultura politica di un processo che, se non parte prima di tutto da lì e da lì ancora non è partito, inevitabilmente si esaurisce nelle forme della sua organizzazione? Aggregare è certo decisivo sul piano politico, ma non può venire prima del pensare la sinistra di oggi e di domani, nell’Italia di oggi e di domani. Si può dimenticare che la sinistra italiana rischia oggi di scomparire dalla scena, unico caso in Europa, ma l’inizio di questo declino si colloca indietro almeno di vent’anni, quando entra in crisi la sua autonoma e critica visione del mondo? E’ stato detto efficacemente, ma nella disattenzione generale, che la sinistra oggi ha prima di tutto bisogno non di trasmettere ma di produrre cultura politica. Se questo non avviene, se almeno non si parte, la strategia sarà inevitabilmente di tipo elettorale. Importante, certo, meglio noi della destra al governo, malgrado tutto. Ma anche questa finirebbe per essere una risposta al di sotto della sfida italiana.
L’imperativo categorico è allora quello certo di come unire, ma insieme di come trasformare la sinistra italiana. Non c’è qui un prima e un dopo. La qualità del processo sta nella sua contestualità. Se è fermo questo punto, sarà più semplice trovare di volta in volta alleanze, cartelli, tappe intermedie, soluzioni organizzative che siano capaci di condurre a quell’esito. Può apparire un paradosso, ma il ricomporre passa prima dallo scomporre. Per una sinistra divisa, frantumata, che in qualche caso neppure si parlava è certo importante oggi trovare tavoli comuni di confronto, di scambio, di intesa. E’ un primo passo. Essere poi insieme al governo, concertare l’azione parlamentare e incidere sulla direzione di marcia è fondamentale, non dobbiamo sottovalutarlo. Ma su quei tavoli dobbiamo anche riporre sigle, simboli e ricomporre qualcosa di veramente nuovo. La nostra credibilità, al dunque, sta qui, perché abbiamo il dovere di mettere mano ad un progetto politico alto che non si esaurisca in un cartello elettorale. Un passo alla volta e tanti passi insieme, questo dobbiamo fare. Ma davvero potremmo sopportare, nei prossimi mesi, le due divergenze parallele della Costituente socialista e della Cosa rossa? I due processi risulterebbero lenti, parziali, segmenti paralleli di un esistente che rimane così com’è, produrrebbero una bassa rappresentanza di pura sopravvivenza. Rimetersi dunque tutti in discussione e cominciare adesso. Anche noi di Sinistra Democratica che pure un primo passo – e pesante – l’abbiamo compiuto, non possiamo pensare di aver esaurito la pratica ed aspettare gli altri. Siamo tutti in cammino.
di Gianni Zagato da l'Unità del 13 ottobre 2007
Ma certo il fatto stesso che il partito democratico nasca, chiama la sinistra non solo a pensare con urgenza la sua nuova strategia, ma a come realizzarla. Ecco perché dobbiamo analizzare bene il processo messo in atto dal partito democratico. Per non creare simmetrie politiche, per non risultare nel percorso come nel linguaggio speculari a ciò che con ragione critichiamo. Perché anche a sinistra si finisce di parlare più di soggetto che di progetto politico? Perché si lascia troppo sullo sfondo il tema della cultura politica di un processo che, se non parte prima di tutto da lì e da lì ancora non è partito, inevitabilmente si esaurisce nelle forme della sua organizzazione? Aggregare è certo decisivo sul piano politico, ma non può venire prima del pensare la sinistra di oggi e di domani, nell’Italia di oggi e di domani. Si può dimenticare che la sinistra italiana rischia oggi di scomparire dalla scena, unico caso in Europa, ma l’inizio di questo declino si colloca indietro almeno di vent’anni, quando entra in crisi la sua autonoma e critica visione del mondo? E’ stato detto efficacemente, ma nella disattenzione generale, che la sinistra oggi ha prima di tutto bisogno non di trasmettere ma di produrre cultura politica. Se questo non avviene, se almeno non si parte, la strategia sarà inevitabilmente di tipo elettorale. Importante, certo, meglio noi della destra al governo, malgrado tutto. Ma anche questa finirebbe per essere una risposta al di sotto della sfida italiana.
L’imperativo categorico è allora quello certo di come unire, ma insieme di come trasformare la sinistra italiana. Non c’è qui un prima e un dopo. La qualità del processo sta nella sua contestualità. Se è fermo questo punto, sarà più semplice trovare di volta in volta alleanze, cartelli, tappe intermedie, soluzioni organizzative che siano capaci di condurre a quell’esito. Può apparire un paradosso, ma il ricomporre passa prima dallo scomporre. Per una sinistra divisa, frantumata, che in qualche caso neppure si parlava è certo importante oggi trovare tavoli comuni di confronto, di scambio, di intesa. E’ un primo passo. Essere poi insieme al governo, concertare l’azione parlamentare e incidere sulla direzione di marcia è fondamentale, non dobbiamo sottovalutarlo. Ma su quei tavoli dobbiamo anche riporre sigle, simboli e ricomporre qualcosa di veramente nuovo. La nostra credibilità, al dunque, sta qui, perché abbiamo il dovere di mettere mano ad un progetto politico alto che non si esaurisca in un cartello elettorale. Un passo alla volta e tanti passi insieme, questo dobbiamo fare. Ma davvero potremmo sopportare, nei prossimi mesi, le due divergenze parallele della Costituente socialista e della Cosa rossa? I due processi risulterebbero lenti, parziali, segmenti paralleli di un esistente che rimane così com’è, produrrebbero una bassa rappresentanza di pura sopravvivenza. Rimetersi dunque tutti in discussione e cominciare adesso. Anche noi di Sinistra Democratica che pure un primo passo – e pesante – l’abbiamo compiuto, non possiamo pensare di aver esaurito la pratica ed aspettare gli altri. Siamo tutti in cammino.
di Gianni Zagato da l'Unità del 13 ottobre 2007
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