sabato 30 giugno 2007

«Accelerare? Non si può puntare solo alla somma di quel che c'è. Partiamo dal territorio e dai fatti concreti»

L'inizio dell'era Veltroni, il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, che preme sull'acceleratore dell'unità a sinistra proponendo un'assemblea a luglio con vertici dei partiti, sindacati, associazioni e movimenti. E la Sinistra democratica di Fabio Mussi come risponde? La capogruppo a Montecitorio di Sd, Titti Di Salvo, rilancia la proposta fatta alla riunione del 23 giugno: una fondazione di tutte le sinistre, compreso lo Sdi.

Giordano, che punta anche a un simbolo comune per le amministrative del 2008, non vi convince?
Noi abbiamo proposto una fondazione per rielaborare la cultura politica della sinistra. L'interpretazione critica del passato è la parte più semplice. Più complicato è interpretare e proporre strategie in un mondo profondamente cambiato. Noi nasciamo per contribuire a cambiare l'Italia. Per essere una sinistra di governo. Di fronte all'accelerazione rispondiamo che siamo nati proprio per unire la sinistra, è nei nostri geni Ma occorre una profonda elaborazione politica, non si può semplicemente puntare alla somma di quel che c'è. La nostra scelta è quella di fare massa critica insieme ad altri su appuntamenti decisivi come il Dpef, la precarietà... Con lo Sdi abbiamo deciso di non partecipare alla conferenza del governo sulla famiglia. Insomma, scelte operative avendo chiaro l'obiettivo. Scegliamo il terreno del fare. La proposta di Giordano è più generale: mettere insieme nel giro di 15 giorni una serie di soggetti.

Ma lancia l'assemblea per avviare una campagna sui contenuti.
Sì, ma noi percorriamo un'altra ipotesi, che punta ai fatti concreti. Quello che dice Giordano ha più significato se parte dal territorio. A livello nazionale ha controindicazioni in più, è una soluzione più fredda. Noi abbiamo scelto concretamente di lavorare all'unità della sinistra, ma anche con lo Sdi sulla laicità per dimostrare che ci interessa una unificazione della sinistra seria.

Al vostro interno si discute se privilegiare il rapporto con lo Sdi o con Prc, Pdci e Verdi. Bertinotti dice che la canidatura di Veltroni alla guida del Pd favorisce la nascita della Cosa rossa e da Sd Angius risponde che la Cosa rossa non esiste...
Io penso che la Cosa rossa sia uno slogan giornalistico utilizzato contro la potenzilità politica e culturale di un soggetto nuovo. La sinistra non ha recinti. Noi pensiamo a un movimento popolare, aperto, largo. Lo Sdi dovrebbe chiarirsi, ma non è questo il punto. Il nostro progetto non può essere tirato come un elastico, non ci sono due poli, lo Sdi da una parte e il Prc dall'altra con la Sinistra democratica che deve decidere se ingrossare una cosa o l'altra. Si dice che dopo la candidatura di Veltroni bisogna accelerare. Io dico fare presto, ma anche bene. Naturalmente il Pd è interlocutore e alleato di questa proposta politica.

Ma allora, l'assemblea di metà luglio non vi interessa?
La proposta è stata letta con interesse, naturalmente. Valuteremo, senza chiusure. Riconosciamo la volontà di mettere sul terreno un altro fatto politico rispetto al Pd, includendo anche altri soggetti, non solo i quattro partiti della sinistra. L'intenzione è positiva, ma appunto credo che il processo sarebbe ancora più positivo a livello territoriale.

Parli dei fatti concreti. Come la lettera dei quattro ministri sulla politica economica. Ma se Prc e Pdci ripetono che lo scalone va abolito, Mussi è apparso più possibilista sull'allungamento dell'età.
In quella lettera c'è scritto che si deve trovare l'accordo con il sindacato. La proposta messa sul tavolo quando si è rotto, quella dei 58 anni con tre anni per sperimentare, è importante. 58 anni è l'età in cui realisticamente si va in pensione.

Hai detto che il Pd è interlocutore e alleato. Veltroni, a Riotta che gli ha chiesto se la sinistra sarà scaricata, ha risposto che le coalizioni si formano in ragione degli assetti istituzionali e se la legge elettorale consentirà di scegliere coalizioni omogenee, si potrà vedere.
Ah. Non corrisponde a quanto ha detto al Lingotto. In ogni caso la sinistra avrà un riconoscimento elettorale molto alto. Non penso si potrà prescidere dalla sinistra.

Veltroni alla guida del Pd vi preoccupa? Potrebbe attirare anche una parte di Sd o dei suoi elettori.
Ha carisma, una capacità di ascolto che lo rende un dirigente politico apprezzato da tutti. Intrepreta nel modo migliore il Pd, è il leader autentico per un progetto moderato. Il Pd non sceglie sulla laicità, e non scegliendo sceglie. Non sceglie sul lavoro e sul socialismo europeo. Veltroni resta un interlocutore importante.

Potrà essere anche il leader dell'Unione?
Il leader non lo sceglie il Pd, lo scelgono le primarie. Naturalmente Veltroni ha un profilo che gli consente di esserlo.

di MICAELA BONGI da il Manifesto del 30 giugno 2007

Il discorso di Veltroni pone il partito fra i moderati

Non ci aspettavamo che Veltroni facesse un discorso di sinistra, che collocasse quindi il nascente Pd, anche elettoralmente oltre che culturalmente, nella tradizione e nello spazio politico della sinistra. E, tuttavia siamo rimasti sorpresi perché il discorso del candidato leader sul futuro partito democratico è stato talmente netto da provocare anche in chi si aspettava più o meno quei contenuti una reazione istintiva e immediata: sì in questo paese ora è davvero urgente far nascere una forte sinistra perché se questo non avviene in tempi brevi, le conseguenze potrebbero essere molto serie. Nei prossimi anni (e non nei prossimi venti, ma nei prossimi due) potremmo assistere non solo al suo indebolimento, ma alla sua emarginazione nella società e alla sua irrilevanza nel quadro politico.
Questa affermazione non vuole essere né allarmistica, né vittimistica. Essa muove dalla constatazione che il discorso del futuro leader del partito democratico e del presumibile nuovo candidato premier colloca il Pd in modo organico tutto all'interno dell'area moderata attribuendo nei fatti ai temi classici della cultura politica della sinistra o un significato negativo o un senso al più evocativo.
Walter Veltroni questa volta non si è limitato a raccontare i suoi sogni per un mondo migliore, ma ha cercato di dare una risposta ai problemi e questa risposta è stata moderata, americana, corretta, come è prassi anche del liberalismo, da un atteggiamento di solidarietà e compassione, un richiamo alla dirittura morale e al senso di responsabilità della politica. Stefano Bocconetti nell'articolo di ieri ne ha fatto un'analisi puntuale e obiettiva. Ma la controprova di quello che Bocconetti sosteneva ieri e che questo articolo sostiene oggi sta nelle reazioni e nei commenti al discorso di Veltroni dell'area moderata e borghese del paese. Le reazioni positive del presidente della Confindustria che si è profuso in elogi per una relazione che «è entrata nel merito dei problemi sollevati dalla Confidustria» fanno il paio con il giudizio del Corriere della sera.
Ieri, nell'editoriale del vicedirettore Dario Di Vico, ha elogiato gli attacchi che il futuro capo del partito democratico ha fatto alla sinistra «che non fa costruire la Tav, che difende solo gli occupati e lascia al loro destino i giovani, che preferisce lottare contro la ricchezza piuttosto che contro la povertà, che gode quanto più la pressione fiscale è alta e si ritrae quando occorre tutelare la sicurezza dei cittadini».
Di Vico naturalmente fa una caricatura della sinistra a suo uso e consumo, che si potrebbe commentare con molta ironia, qualche numero e qualche consiglio di buone letture, ma non è questo l'importante. Il punto è un altro. Se è vero che questa è l'idea della sinistra che suscita Walter Veltroni all'editorialista, se a partire da questo giudizio si arriva ad un approdo moderato, benedetto dai maggiori rappresentanti del padronato, e dal "partito" che si riconosce nel Corriere della sera, quali scenari si aprono nella politica italiana? Quale futuro si può prevedere per il governo Prodi? Quali conseguenze possono esserci nell'Unione, cioè nella coalizione che sostiene il governo? Domande alle quali non è possibile dare una risposta oggi, ma che sono di strettissima attualità e rispetto alle quali non si può far finta di niente.
I tempi, infatti, ancora una volta sono strettissimi ed esigono risposte rapide. Se è vero, come molti osservatori sostengono, che con il discorso di Veltroni è cominciato il conto alla rovescia per il governo Prodi; se è vero che il progetto politico del probabile futuro premier costituisce una virata a destra rispetto al programma dell'Unione, che cosa avverrà di quella complessa e delicata alleanza fra sinistra moderata e sinistra radicale che finora ha sostenuto il governo? So bene che molti ne auspicano la conclusione e vedono nella emarginazione della sinistra radicale e di quelli che vengono definiti i suoi "ricatti" finalmente la quadratura del cerchio nella complessa vicenda della governabilità italiana. Finalmente potrebbero farsi una riforma elettorale presidenziale, una controriforma delle pensioni, una riduzione compassionevole e moderata della precarietà, un taglio come si deve alla spesa sociale. Finalmente si potrebbe assestare un bel colpo a questi sindacati che si ostinano a difendere i lavoratori e i pensionati. E continuare a dire tante belle parole sull'ecologia e senza paura di smentirsi altrettante belle parole sulla Tav e sulle grandi opere di acciaio e cemento. Si potrebbe dare un sostegno ai Dico, ma senza esagerare con la laicità e alla famiglia, che rimane importantissima, sperando che la Chiesa di Ratzinger non infierisca, altrimenti sono guai.
Ma davvero tutto questo potrebbe farsi? Ne sono proprio sicuri quelli che ieri hanno applaudito Walter Veltroni? Alcuni dubbi potrebbero esserci. Un dubbio si chiama sinistra, quella sinistra ancora divisa, ma che anche in questi ultimi giorni, è riuscita a procedere unita, a spostare significativamente sulle pensioni la posizione del governo e a sostenere la lotta del sindacato. Se riesce a fare un passo avanti, se riesce abbandonando pregiudizi e rendite di posizione a ricostruire la sua esistenza nel nuovo quadro politico che si sta delineando non solo salverà gli interessi dei lavoratori e delle classi meno abbienti, ma salverà sé stessa. Il discorso di Walter Veltroni, il suo spostamento nell'area moderata, ha avuto il merito di renderlo ancora più chiaro.

di RITANNA ARMENI da Liberazione del 29 giugno 2007

A luglio un'assemblea aperta per lanciare la sfida al Pd moderato di Veltroni

Accelerare l'unità a sinistra per andare insieme alle elezioni amministrative dell'anno prossimo ed essere subito più efficaci nell'azione di governo. In una pausa dopo giorni al cardiopalma di trattativa su welfare e pensioni, Franco Giordano rilancia l'esigenza di un percorso unitario e «sfida» il candidato Veltroni a misurarsi con il resto della coalizione.
Per il segretario di Rifondazione «sciogliere» il partito è un'idea del tutto «infondata»: serve invece uno scatto dal basso e di massa per arrivare a un soggetto unitario con chiunque, «partito, sindacato, associazione o movimento, si dica disponibile». Una lunga marcia che passerà, alla fine di gennaio, anche per il primo congresso di Rifondazione senza Bertinotti dal '94. «Attorno allo scalone, alla legge 30 e alla precarietà - esordisce Giordano - si è aperta una partita simbolica che dirà molto dell'identità politica e sociale di questo governo. Nessuno infatti ha ancora dimostrato che c'è un problema di compatibilità economica. Perché con l'aumento dei contributi i lavoratori dipendenti l'abbattimento dello scalone se lo sono pagato da soli. E con gli aumenti contributivi dei co.co.co si possono avviare tutele ancora più significative per i giovani. La partita quindi è compiutamente politica ma parla della vita reale di migliaia di lavoratori.

Ma la trattativa si è arenata proprio sullo scoglio più grande, lo «scalone« Maroni.
Bisogna discutere e cancellarlo subito come da programma. Lo dico nella maniera più semplice, voglio poter tornare a Mirafiori e dire in due parole: quello che abbiamo promesso abbiamo fatto. Per tutto quest'anno abbiamo sempre dovuto contrastare l'iniziativa dei poteri forti che in più modi hanno condizionato l'azione del governo. Alle aziende non sono bastati nemmeno i 10 miliardi di euro che riceveranno tra cuneo fiscale e fondi ordinari, gli imprenditori dimenticano che sono loro i veri assistiti di questo paese.

Sulla precarietà però alcuni attribuiscono proprio a Veltroni di aver speso al Lingotto parole importanti.
Beh, allora Walter potrà darci una mano a superare la legge 30. Perché altrimenti, come dire, c'è troppa distanza tra la sfera eterea dei princìpi e l'esigibilità concreta dei diritti sociali. Una distanza in cui maturano quel disincanto e disillusione che purtroppo rappresentano l'Italia di oggi. Dal suo discorso mi aspettavo posizioni diverse, la fredda ragione mi fa dire che il Pd è un partito moderato e Veltroni lo interpreta al meglio. Su alcuni punti è perfino preoccupantemente moderato.

Per esempio?
Al di là delle proclamazioni un po' algide è stridente il contrasto tra le dichiarazioni sull'ambiente e sul clima e il sì alla Tav, al carbone o ai rigassificatori. Anche sul tema della sicurezza mi pare aver scelto di assecondare la fobia ideologica delle destre che costruiscono sistematicamente il nemico per sfuggire il conflitto sociale. Vorrei dire a Walter: attenzione, così si alimenta un'identità territoriale ostile e si porta acqua al mulino di politiche securitarie.

E sul patto tra generazioni?
Così come l'ha presentato mi sembra una trita contrapposizione tra diritti degli anziani e dei dipendenti con quelli dei giovani. E' un classico del pensiero liberal-conservatore pensare di distribuire poche risorse tra lavoratori e precari, tra giovani e anziani, senza aggredire le cause della loro disuguaglianza. Bisogna redistribuire i profitti e orientare i consumi verso nuovi stili di vita, in breve, avviare a critica le forme attuali del capitalismo che producono quelle disparità e aggrediscono la natura. E' come se Walter guardasse alla «sua» Africa dimenticando l'aggressione a quel continente dell'Occidente capitalistico.

Sarà lui a candidarsi a palazzo Chigi dopo Prodi?
Intanto è il più autorevole candidato a guidare il Pd. Ma se in futuro ci saranno le condizioni per un accordo, per poter essere leader dell'Unione ci sono due passaggi inderogabili: da un lato le primarie, perché non sta scritto da nessuna parte che il candidato del Pd è anche il candidato dell'Unione, dall'altro un confronto sul programma, perché su alcuni temi le differenze ci sono e restano.

La «discesa in campo» di Veltroni non costringe anche la sinistra ad accelerare il suo travagliato percorso unitario?
A prescindere dal Pd dobbiamo comunque accelerare il processo di unità a sinistra. Dobbiamo lavorare a una soggettività unitaria che non neghi le identità di nessuno e non le faccia diventare un freno. Io propongo che entro due settimane ci si riunisca tutti: vertici dei partiti disponibili, sindacati, associazioni e movimenti interessati per organizzare in tutta Italia una grande campagna basata su contenuti precisi. Un'assemblea di massa per ricostruire una sinistra unitaria, pacifista, antiliberista e laica. L'attivazione e la vera partecipazione delle persone è il solo modo per alimentare le speranze e l'entusiasmo di tanti e dare più efficacia all'azione nel governo. Dobbiamo farlo subito, perché se a ottobre il Pd sceglierà il suo leader noi, che abbiamo un'altra idea di partecipazione, dobbiamo rispondere con i contenuti e investire sul programma.

E' un percorso che significa sciogliere Rifondazione?
Chiunque entra in questo processo con l'idea dello scioglimento ha un'idea infondata e rischia di mettere le braghe al mondo. Non si sciolgono le identità. Se l'obiettivo è portare tutti a costruire questa nuova soggettività saranno il processo e i suoi protagonisti reali a deciderne le forme concrete. Non mi interessano precipitazioni politicistiche né voglio dare a nessuno l'alibi di chiamarsi fuori. Rifondazione, si sappia, investirà tutta se stessa e la sua innovazione politica per mettersi a disposizione di questa sinistra unitaria. Come si è visto alla nascita della Sinistra europea che è e sarà decisiva in questo percorso.

Questa accelerazione rende necessario avvicinare anche la data del congresso?
Al comitato politico nazionale di metà luglio proporrò un congresso ordinario da tenere subito, all'inizio dell'anno. Sarà un passaggio molto importante, come richiede la fase politica.

A gennaio del 2008 le amministrative saranno dietro l'angolo. La nuova sinistra si presenterà sotto un unico simbolo già alle elezioni?
E' la mia ambizione. Ma per poter essere efficaci dobbiamo far lievitare un processo reale, di popolo, e far maturare le condizioni nei territori. Perché quando emerge la possibilità concreta di poter far valere questa idea alternativa di comunità, come è successo a Taranto, a Gorizia o all'Aquila, noi non temiamo rivali. Neanche quando abbiamo contro il Pd.

di MATTEO BARTOCCI da Il Manifesto del 29 giugno 2007

giovedì 28 giugno 2007

Le liste unitarie sono premature e sbagliate

Bene il lavoro comune intrapreso con Rifondazione, Pdci e Verdi, ma è un «errore» ignorare le altre forze critiche verso il Partito Democratico: «dai socialisti di Boselli ai settori più laici della Margherita». Dopo aver lasciato i Ds, GavinoAngius ci sta ancora bene in Sinistra Democratica («Bisogna consolidarla, ho un ottimo rapporto con Mussi») ma non ne condivide il rapporto stretto intrapreso con il resto della sinistra alternativa”, non se la sente di «stare con Bertinotti» e boccia anche l’ipotesi di liste unitarie alle prossime amministrative: «E’ sbagliato, rischiamo di chiudere i recinti anziché aprirli».

Parliamo dalla trattativa sulle pensioni: abolire lo scalone, come chiede il Prc, o va bene anche un accordo sui cosiddetti”scalini”?

Lo scalone Maroni va eliminato, lo abbiamo scritto anche nel programma dell’unione. Sui termini dell’accordo, è evidente che c’è una discussione in corso anche tra i sindacati, ma mi sembra di capire che ci sia da parte loro la disponibilità a prendere in considerazione almeno uno “scalino’ quello che innalza il limite dell’età pensionabile al 2008, per poi procedere negli anni successivi con una lenta gradualità. Penso che questo possa essere un approdo, ovviamente con l’esclusione dei lavori usuranti per i quali si deve ritornare alla normativa precedente la legge attualmente in vigore. Ma questo non è sufficiente: va corretta anche la riforma Dini per dare una garanzia di pensione ai 35-40enni che oggi lavorano. C’è un problema di equilibrio di sistema che non può essere ignorato, è un punto fondamentale al quale nessuno sta dando risposta.
Sd,Prc,Pdci e Verdi hanno avviato un "patto d’azione” comune.

Sd è troppo vicina a Rifondazione?

Sinistra Democratica deve parlare di tutto, anche delle questioni più spinose, con tutte le forze della sinistra italiana. Ma in queste ultime settimane abbiamo privilegiato la ricerca di un’intesa con Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi. Va benissimo, a condizione però che lo stesso sforzo sia fatto per esempio verso la componente socialista.

Mancanza di impegno di Sd verso Borselli?

Noto un errore perché i punti che ci possono differenziare dai compagni socialisti, per esempio sulle politiche sociali, non sono meno irrilevanti di quelli che ci possono differenziare con la sinistra cosiddetta “al ternativa’ per esempio sulle politiche istituzionali o sulle questioni internazionali o sul la legge elettorale.

Non basta dunque l'elaborazione di Bertinotti sul socialismo del XXI secolo?

Non la sottovaluto, è di grande importanza per la sinistra e perla democrazia italiana. Ma allo stesso tempo in Bertinotti c’è una discriminante abbastanza netta tra le forze della sinistra che lui chiama alternativa e le forze che lui chiama riformiste, tra l’altro con uno schema secondo me assai discutibile perché attribuisce al Partito Democratico un ruolo da sinistra riformista che il Pd non ha affatto, a prescindere dalla candidatura di Veltroni. In partenza, c’è un’analisi diversa rispetto a quella che faccio io: non mi sento onestamente parte di una sinistra cosiddetta alternativa che considera, per esempio, le forze del socialismo europeo come forze con le quali concorrere e addirittura da combattere per una visione sostanzialmente liberale, se non liberista, che hanno della società. Non condivido in radice un giudizio di questo genere sulle forze del socialismo europeo, partiti socialisti e socialdemocratici. Niente di male, ma c’è un’idea diversa.

Ritiene di avere un seguito dentro SD? Entrerebbe ora nella Costituente socialista di Boselli?

Se avessi deciso di entrarci l'avrei già fatto, non è questo il punto. Io penso che tra coloro che non hanno aderito al Pd e che magari erano militanti e dirigenti dei Ds, ci sia un forte senso di appartenenza alla famiglia del socialismo europeo. Questo punto non va sottovalutato: noi facciamo parte di quella famiglia politica da 20 anni, esattamente da quando sancimmo questa appartenenza come Partito Comunista nel 1986, al XVII congresso a Firenze. Non uscirò dal partito del socialismo europeo, né per aderire al Pd, né per aderire ad una sinistra di alternativa che non facesse parte di quel campo politico.

Con Prc, Pdci e Verdi, nemmeno le liste unitarie alle prossime amministrative?

E’ assolutamente prematuro. Lo considero sbagliato perché preclude la possibilità di aggregare altre forze al di fuori del Pd che potrebbero trovare interesse a far parte se non di un partito, di un’alleanza politica ed elettorale in grado di concorrere con il nuovo soggetto Ds-Dl. Non capisco perché per esempio si sottovaluti il fatto che ci sono forze in seria crisi di identità nella stessa Margherita, negli ex democratici, forze che hanno fatto della battaglia per i diritti civili uno dei terreni fondamentali del loro impegno politico: mi meraviglia che si ignorino totalmente queste componenti politico-culturali

Siriferisce a Bordon?

Non solo a lui o ad altri parlamentari, ma anche a movimenti e a forze democratiche e liberal-democratiche che non aderiranno al Pd nel nome di una convinta laicità. Penso che ci sia un grande lavoro da fare: ho l’impressione che stiamo correndo il rischio d chiudere i recinti anziché aprirli.

Ma aprire a tutte queste componenti significa dover scegliere tra loro?

Dovremmo fare come il Pd, ma in maniera diversa cercare di unire e aggregare forze. Se adesso cominciamo già a dire che alle amministrative che si terranno tra un anno faremo una lista Sd-Prc-Pdci-Verdi compiamo un errore politico madornale perché rischiamo di regalare forze ed energie che al contrario dovremo tentare di agganciare.

Come sono i rapporti con Mussi? Ci riesce a rimanere nella stessa area?
I rapporti sono ottimi, come sempre. C’è un lavoro da fare intanto per consolidare questo nostro movimento di Sinistra Democratica, un lavoro che sia molto attento e diretto verso gli iscritti dei Ds che stanno vivendo con maggiore travaglio questo passaggio.

Veltroni guida del Pd: ci sono possibilità di riavvicinamento?
Prodi ha tracciato il profilo identitario del Pd come progressista e riformista ma di centro. Non mi sembra che Veltroni abbia idea di rivoluzionare il manifesto fondativo del nuovo partito, che contiene dei punti a mio avviso inaccettabili, come la questione della laicità, una certa visione della riforma dello stato sociale, la collocazione internazionale del partito, i riferimenti ai valori. Quando si dice che il principale valore è il cristianesimo, si opera una scelta molto precisa, rispettabile, ma non condivisibile. Non so se Veltroni sia in grado di cambiare tutto questo, ne dubito, anche perchè si è già capito che ci sarà un ticket: avrà un suo vice, chiamiamolo collaboratore o “guardiano”, cioè Franceschini. Del resto, il profilo del Pd è nato anche sulla base di contributi di Veltroni: è un po' anche figlio suo, è evidente che non lo cambierà."

di ANGELA MAURO da Liberazione del 27 giugno 2007

Referendum, tutti gli inganni

Vi sono stati referendum, come quelli sul divorzio o sull’aborto, ove il quesito era chiaro e i cittadini conoscevano perfettamente le conseguenze del proprio «sì» o del proprio «no». E vi sono stati referendum, come quello sul nucleare, ove l’oscurità del quesito e la tecnicità della materia non consentivano di comprendere appieno il portato della propria scelta. Mai, tuttavia, si era assistito, come nel caso odierno, a un’iniziativa referendaria che chiede sostegno promettendo risultati del tutto opposti a quelli che, se approvata, effettivamente produrrà. L’affermazione non deve sorprendere. Quali che siano le buone intenzioni dei promotori, il quesito referendario non porta rimedio ai principali difetti dell’attuale legge elettorale. Non abolendo le liste bloccate, mantiene la selezione degli eletti interamente nelle mani delle segreterie dei partiti lasciando i cittadini spogliati di qualsiasi ruolo. Non garantendo in alcun modo che Camera e Senato non abbiano maggioranze contrapposte, non assicura condizioni di reale governabilità. Non eliminando il premio di maggioranza, non riduce la frammentazione e non contribuisce a superare la mancanza di coesione e di omogeneità delle attuali coalizioni. Quest’ultimo punto merita un approfondimento perché investe l’unica vera innovazione introdotta dal quesito referendario: lo spostamento del premio di maggioranza dalla coalizione vincente alla lista più votata. I promotori del referendum affermano che ciò darebbe avvio a significative aggregazioni e a una riduzione nel numero dei partiti, e che dando una maggioranza di seggi alla lista vincente il potere di ricatto dei piccoli partiti verrebbe spazzato via e l’omogeneità delle maggioranze di governo garantita. Purtroppo, niente di meno vero. La logica della competizione elettorale costringerebbe infatti i maggiori partiti a non competere da soli, ma a promuovere la formazione di liste sempre più ampie e inclusive: sulla scheda elettorale avremmo così non il Partito democratico ma la lista dell’attuale Unione con tutte le sue articolazioni e divisioni, e nel centro-destra non un grande Partito moderato ma l’attuale Cdl con tutte le sue tensioni interne. In altre parole, assisteremmo al formarsi di due «listoni» in nulla diversi dalle due attuali coalizioni, con l’aggravante di aver reso permanenti due schieramenti profondamente disomogenei e perciò incapaci di dar vita a maggioranze di governo coese ed efficaci. Al loro interno continuerebbero infatti a convivere in maniera conflittuale tutti gli attuali partiti. Nessuna riduzione nel loro numero, dunque, e un sostanziale aggiramento degli sbarramenti elettorali. Siamo così al paradosso di un referendum che, osteggiato dai piccoli partiti, in realtà non ne diminuisce minimamente l’utilità marginale e quindi il potere di ricatto; e che, promosso per ridurre la frammentazione del sistema, in realtà la consolida: un referendum, insomma, avversato da chi lo dovrebbe appoggiare, e promosso invece da chi lo dovrebbe osteggiare. La vittoria del «sì» al referendum non rimarrebbe comunque senza conseguenze. Essa segnerebbe infatti la fine di ogni possibile posizione autonoma di Lega e Udc: è dunque facile comprendere le ragioni politiche che spingono An e Forza Italia a sostenere il referendum, mentre è incomprensibile che esso possa trovare appoggio anche in alcuni settori dei Ds e tra i prodiani. Infine, grazie al voto popolare, essa consoliderebbe la pessima legge Calderoli impedendone per lungo tempo qualsiasi modifica. Quanto è dunque certo è che il referendum produce risultati del tutto opposti a quelli promessi. Molti tra i sostenitori del referendum gli attribuiscono almeno il merito di stimolare il Parlamento a modificare la legge elettorale. Se - come appare probabile - dovesse invece provocare una crisi di governo e nuove elezioni, anziché svolgere tale meritoria funzione esso porterebbe a votare nuovamente con la pessima legge Calderoli, e a riprodurre condizioni di ingovernabilità. Bene faranno, dunque, quanti hanno a cuore le sorti della Repubblica a non dare il proprio sostegno al quesito referendario.

di
STEFANO PASSIGLI da La Stampa del 27 giugno 2007

mercoledì 27 giugno 2007

Veltroni non cancella il bisogno di sinistra

La discesa in campo di Veltroni come candidato alla segreteria del PD sollecita commenti e dichiarazioni. E la novità è rilevante. Ma come distinguere gli effetti certi da quelli probabili, o sperati, o forse millantati?
Una premessa. Non aver scelto il il PD non significa auspicarne il tracollo. Un PD al 15/16% regalerebbe il governo del paese al centrodestra. E dunque ben venga Veltroni, se potrà risollevarne le sorti. Possiamo dirlo proprio perché la candidatura Veltroni non muta affatto il progetto politico del PD. E non ne risolve le contraddizioni fondamentali.
Chi ha lasciato i DS - come io e molti altri per la Sinistra Democratica - ha detto no al dissolvimento della sinistra in un soggetto politico moderato e volto al centro. E chi potrebbe mai pensare che Veltroni sia tanto di sinistra da riorientare il PD? Ricordiamo con simpatia come Veltroni non fosse di sinistra nemmeno quando era segretario del maggiore partito della sinistra. Figuriamoci oggi. In realtà, come segretario del PD, Veltroni torna a casa. O forse la casa ritrova il legittimo proprietario, superando pretese abusivamente avanzate da altri.
Ma le domande rimangono tal quali. C'è bisogno di una forte sinistra in Italia? Con o senza Veltroni, sì. Ed è una risposta dettata da milioni di lavoratori in una condizione di precarietà che ne comprime i diritti, e ne distrugge la dignità. Da milioni di famiglie vicino o sotto la soglia di povertà, per cui piccoli eventi di vita quotidiana come una cura medica o un cambio di casa sono un ostacolo drammatico ed insuperabile. Da milioni di giovani che non possono metter su famiglia, o fare un mutuo per acquistare una casa. Da una istruzione pubblica che perde qualità, e non è più strumento di mobilità sociale, di eguaglianza, di competitività del sistema paese. Dal Sud che vede accrescersi il divario con il paese forte, perché mancano le politiche pubbliche necessarie. Ovvero ancora dalle tante donne che una legge oscurantista e medievale sulla fecondazione assistita costringe al turismo sanitario. Dal milione e passa di persone che chiedono la pari dignità dei PACS come in gran parte d'Europa. Dai tantissimi che vedono nel testamento biologico un elemento di civiltà giuridica. Ed altro ancora. Questioni su cui l'ensemble DS-Margherita osserva oggi un fragoroso silenzio. E cosa può mai cambiare con Veltroni segretario del PD?
Né Veltroni in campo cancella la domanda di una politica nuova, più pulita, più trasparente, non dominata da logiche lobbistiche, clientelari, familistiche, di clan. Non basta certo la scelta di un leader, o una primaria vissuta come catarsi. C'è bisogno di una discontinuità vera e testimoniata, a Roma e in periferia. Che differenza fa un segretario Tizio, Caio o Pincopallo, se gli amministratori continuano a ignorare le best practices come - con eccezioni - hanno fatto finora? Forse che nascendo il PD si chiederà a tutti di dimettersi? Niente affatto. Nel patrimonio genetico del PD dominano gli attuali attori: sindaci, presidenti, assessori, con le corti al seguito. Dov'è la scommessa di una politica nuova?
Da questo punto di vista, Napoli e la Campania sono un esempio emblematico. Il centrosinistra a lungo governante presenta luci, ma anche molte ombre oscure. Se vogliamo che ritrovi credibilità e competitività non possiamo ignorarle, e tanto meno lasciare al centrodestra la bandiera del rigore e del buon governo. Forse che Veltroni segretario potrà - con tocco salvifico - riportare nella media nazionale l'aspettativa di vita dei cittadini campani, oggi più bassa? Cosa cambierà per la sanità, i rifiuti, l'evasione scolastica, il traffico, le periferie degradate, la sicurezza, l'illegalità diffusa, la disoccupazione giovanile, Bagnoli, il dissesto ambientale, e così via? Sostituiremo amministratori incapaci e dirigenti compiacenti, magari collusi? Taglieremo consorzi, società miste, prebende, consulenze, incarichi, finanziamenti a pioggia, favori assortiti, mandando a casa amici e clienti? Smetteremo di gestire il potere al fine del consenso personale?
Chiediamo e chiederemo discontinuità. Per offrire oggi all'opinione pubblica, e domani agli elettori, una sinistra portatrice di politica nuova, e di speranza nuova.

di MASSIMO VILLONE da AprileOnline del 27 giugno 2007

domenica 24 giugno 2007

Facciamo una nuova sinistra

Da tempo avvertiamo il bisogno di una sinistra nuova e unita, costatando l’esistenza di una comunanza intorno ad alcuni filoni ideali fondamentali. E il bisogno è diventato sicuramente più urgente da quando è stato messo in campo il progetto della formazione di un partito democratico su basi moderate, che lascia un vuoto enorme a sinistra. Io non sono mai stato contrario a processi di aggregazione. Sono sempre stato favorevole ad una sintesi alta tra i diversi riformismi di cui è ricca la tradizione politica italiana, nella consapevolezza che occorra andare oltre gli errori del passato, e che i vecchi motivi di divisione sono ormai superati, non interessano più nessuno, soprattutto non alle nuove generazioni.
Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la formazione del Pd. Non dobbiamo prendere le mosse dal contenitore, ma dai contenuti, dobbiamo partire da un confronto culturale e programmatico aperto, avere il coraggio di cambiare pelle e di uscire da vecchie problematiche identitarie.
Non si tratta di rifondare né il Pci né il Psi. Il compito ben più drammatico che ci sta di fronte è quello di rifondare la sinistra, mantenendo dentro di noi le nostre passioni, la nostra storia e le nostre radici. E quando parlo di sinistra non parlo di sinistra radicale ma di una sinistra vera, moderna e plurale, capace di reinventare il senso di un’attuale ispirazione socialista e democratica.
I socialisti e i comunisti, all’inizio del ’900, si sono divisi sulle tecnica della presa del potere. Ma oggi concordiamo tutti sul valore della non violenza. Allora che senso ha attardarci sulle vecchie discriminanti che forniscono alla destra lo spunto per rinverdire le vecchie invettive anti - comuniste? Nell’89 dovevamo uscire dalla crisi del comunismo da sinistra per muovere verso un socialismo di sinistra. Molta acqua è passata sotto i ponti. Il compito che ora ci attende è quello di affrontare le nuove formidabili contraddizioni del millennio, per impedire che la sinistra in quanto tale sparisca dal panorama politico italiano.
Una nuova sinistra plurale, laica, moderna e unitaria deve fondarsi sull’individuazione dei fondamenti ideali di un’identità alternativa all’attuale modo di essere della politica e all’attuale modello di sviluppo, per opporsi al degrado della politica e impedire il sorgere di un’antipolitica qualunquista e moderata. Non c’era bisogno delle intercettazioni telefoniche per capire che la politica italiana è stata gettata in un pantano e per vedere il distacco spaventoso tra cittadini e classe politica.
Il rischio che corriamo è che riemerga il vecchio adagio qualunquista secondo cui saremmo tutti uguali. Nel passato noi potevamo rispondere, con Enrico Berlinguer, che eravamo il partito dalle mani pulite. Ma oggi non siamo più credibili se non mettiamo mano alla riforma della politica, soprattutto se non diamo per primi il buon esempio.
Non si tratta di questioni giudiziarie: già nel mio libro Potere e antipotere avevo sottolineato che se i partiti, invece di stare al di sopra del mercato per dettare le regole valide per tutti, fanno corpo con questa o quella cordata, per di più in combutta con la destra di un Berlusconi, si apre la strada a una mostruosa forma di economia neo-feudale, permettendo cosi ai neoliberisti di «buttar via il bambino con l’acqua sporca», di attaccare ogni forma di rapporto tra pubblico e privato, di fare sparire le ragioni sociali del primato del pubblico. E allora riprendiamo con maggiore chiarezza e convinzione nelle mani il tema della riforma della politica e della stessa questione morale.
Ma accanto alla riforma della politica occorre la riforma della società. Chiediamoci: ha ancora un senso la critica al capitalismo? Io rispondo - con Touraine - di sì. Certo, in modo nuovo, diverso dal passato. Tuttavia non possiamo pensare che il solo compito della sinistra sia quello della redistribuzione (peraltro assai scarsa) all’interno dell’attuale modello di sviluppo. Occorre cambiare modello, cambiare modo di produrre e di consumare. Perché solo cosi si potranno fronteggiare le grandi sfide del terzo millennio, come la fame nel mondo, i pericoli di autodistruzione del pianeta; solo cosi l’ecologismo non si riduce ad un’esercitazione per anime belle.
E allora reinventiamo il socialismo del nuovo millennio, incominciando da alcune cose chiare: la centralità del lavoro; il cambiamento del modello di sviluppo; un pacifismo coerente attraverso la ripresa della lotta per il disarmo generale, nella direzione della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa; il no netto allo scudo stellare; la centralità della questione ecologica; la riforma del potere e il cambiamento dei tempi della politica dal punto di vista femminile. Approfondiamo tutte queste questioni, ma diciamo subito che il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo moderno.
Apriamo pertanto una costituente delle idee, diamo vita a delle primarie sui contenuti, apriamo una fase di ascolto della società.
La sinistra moderna deve dire di no alla fuorviante contrapposizione tra sinistra di governo e sinistra radicale. Per alcuni benpensanti la sinistra è di governo solo se governa a favore delle compatibilità dei più forti, contro i deboli e i lavoratori. Noi, al contrario, dobbiamo volere governare sulla base della nostra compatibilità, quelle del mondo del lavoro, della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo. La nuova sinistra non deve contrapporsi attraverso un estremismo privo di sbocchi, ma con una nuova idea di potere, di governo e di sviluppo dell’economia.
La sinistra è di governo soltanto se non porta al governo una casta separata ma il proprio popolo e sta al Governo solo se sta stare nel paese. Ma i voti ci dicono che non stiamo più nel paese e con il paese, che il distacco tra politici e cittadini colpisce tutti. Non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo dare un segnale, indicare un nuovo simbolo, presentare con umiltà e coraggio una vera novità. Con la formazione del Pd si è aperta davanti al progetto dell’unità della sinistra una vera e propria autostrada; sarebbe ridicolo volere percorrere questa autostrada in bicicletta. Per questo sta dinnanzi a noi un imperativo: piantare nella diversità il seme dell’unità. Anche solo questa volontà rappresenterebbe un grande segnale di speranza per la politica italiana e soprattutto per le nuove generazioni.

di ACHILLE OCCHETTO da l'Unità del 24 giugno 2007

Non siamo ministri estremisti

«È IMPRESSIONANTE che si definiscano estremisti quattro ministri che chiedono al proprio governo di rispettare il programma». Fabio Mussi giudica «a dir poco sorprendenti» le reazioni alla lettera che insieme ai ministri Ferrero, Pecoraro Scanio e Bianchi
ha inviato venerdì al presidente del Consiglio. «Qualche commentatore ci ha definito irriducibili, termine utilizzato per le Br», scuote la testa il ministro per l’Università e la Ricerca. «E questo perché chiediamo di conoscere il Dpef prima di votarlo? Perché richiamiamo l’attenzione su punti essenziali di una piattaforma costruita non nel covo dei soviet ma nella Fabbrica del programma di Prodi?».

La lettera inviata al premier ha suscitato diverse reazioni critiche. Se l’aspettava, ministro Mussi?
«E perché avrei dovuto? Abbiamo richiamato il governo alla coerenza con il suo programma. A cominciare dall’abolizione dello scalone e dal superamento della legge trenta. La lettera ha contenuti chiari. Parte dall’ennesimo intoppo che c’è stato nella trattativa sulle pensioni tra governo e parti sociali. Una trattativa che ha prodotto risultati, ma che ora sta andando avanti con cifre che ballano e con il metodo delle docce scozzesi. Servono cifre chiare e la determinazione del governo a raggiungere l’accordo».

C’è però chi vi ha definito “irriducibili”.
«Sì, termine usato per le Br. E il fatto che siano giornali diciamo democratici a farlo è sorprendente. Se abbiamo sentito l’esigenza di scrivere questa lettera è perché siamo preoccupati che in una situazione politica difficile come quella attuale la trattativa con le parti sociali possa andare in fumo. E questo sarebbe un guaio grandissimo per il governo, che è di fronte all’esigenza di un rilancio».

Nella lettera si parla anche di Dpef, e il portavoce del governo Sircana ha richiamato al “rispetto delle prerogative di ciascun ministro”.
«Bene. Ma a parte che la Costituzione prevede il principio di collegialità nel governo, cioè che siamo tutti responsabili di ogni provvedimento dell’esecutivo, è proprio per quello che dice Sircana che voglio sapere cosa prevede il Dpef su ricerca e università. Siccome ho una responsabilità, devo essere messo in grado di esercitarla. E quindi devo sapere qual è il documento fondamentale su cui il governo orienterà le sue politiche economiche. Siccome siamo a cinque giorni dal Consiglio dei ministri che si occuperà del Dpef, vorremmo vederlo prima per poterlo valutare, discuterlo e poi approvarlo. Non si può fare il bis dell’anno scorso, quando il testo ci venne dato a poche ore dall’inizio del Cdm».

Il ministro Turco vi obietta che simili discussioni si devono affrontare appunto nel Consiglio dei ministri, non con lettere pubbliche.
«Ma qualcuno crede che queste questioni non siano state sollevate nei precedenti Cdm? Crede che non abbiamo già discusso del livello di informazione con cui a volte passiamo alle decisioni? La questione è stata sollevata, più volte direttamente col presidente del Consiglio. Questa volta abbiamo compiuto un atto politico per vedere se la situazione migliora»

Così però si dà un colpo all’immagine del governo, si rischia di indebolirlo.
«Non capisco perché. Noi vogliamo rafforzarlo. Penso che non ci siano alternative a questo governo. Che sia il punto di equilibrio politico più avanzato. Ma bisogna farlo funzionare. Dobbiamo chiamare a raccolta le forze, coinvolgere, lavorare sulle idee. C’è un problema di rilancio, lo vedono tutti. Le amministrative sono state non un campanello ma un campanone d’allarme. Un certo malumore nei nostri confronti può essere connesso al fatto di governare, però forse ora ha superato la misura. C’era chi diceva “molti nemici molto onore”. Ma “tutti nemici” non si può, scontentare tutti non si può».

Epifani ha detto all’Unità che sente aria da 1919, che vede gli industriali come novelli agrari di allora, che guarda con preoccupazione alla sollecitazione degli istinti più bassi.
«È un allarme forte quello di Epifani. È una persona riflessiva e attenta a ciò che dice. Non ha sparato a caso. Il suo è un allarme che coglie un punto. E che condivido. L’ultima uscita di Montezemolo è inquietante. Non può essergli scappata. E se gli è scappata è freudiano. La sua è stata una doppia battuta. La prima, tremenda e intollerabile, è che i sindacati rappresentano i fannulloni. Un insulto ai lavoratori italiani, una cosa che il presidente di Confindustria non può né dire né pensare. L’altra battuta è che rappresenta più lui i lavoratori dei sindacati, quando è uno degli elementi della vita democratica la capacità dei grandi sindacati confederali di rappresentare il lavoro. Anche questa battuta ha un sapore politico. È l’idea di un blocco proprietario che attrae i consensi popolari. Oggi c’è una sommossa dei ricchi e il disincanto dei poveri. E Montezemolo suona la carica».

Come giudica la candidatura di Veltroni a segretario del Pd?
«Una buona notizia. Il Pd stava andando a infrangersi fragorosamente. Con Veltroni c’è la possibilità di un esito più solido. Dopodiché, non è che cambia il mio giudizio su carattere e natura dell’operazione Pd. Il dissenso resta».

E allora perché una buona notizia?
«Un Pd che galleggia al 20% e una sinistra frammentata sarebbe un disastro. Ho concluso il mio intervento al congresso dei Ds dicendo buona fortuna, speriamo che tutti e due i progetti, quello del Pd e quello dell’unificazione della sinistra, abbiano successo, perché in questo modo è ragionevole immaginare le coalizioni del futuro in un quadro bipolare e non trasformistico. Continuo a pensarla così, e penso che Veltroni sia un interlocutore migliore di altri».

di SIMONE COLINI da l'Unità del 24 giugno 2007

mercoledì 20 giugno 2007

Reinventiamo il socialismo del nuovo millennio

E` con una certa commozione che prendo per la prima volta la parola in mezzo a voi, dopo tanti anni, costatando l'esistenza di una comunanza intorno ad alcuni filoni ideali fondamentali.
Anche questo é la testimonianza che c'é bisogno di una sinistra nuova e unita. E`un bisogno che avvertiamo da tempo, ma che é diventato sicuramente più urgente da quando é stato messo in campo il progetto della formazione di un partito democratico su basi moderate, che lascia un vuoto enorme a sinistra. Vorrei tuttavia essere molto chiaro: io non sono mai stato contrario a processi di aggregazione, sono sempre stato favorevole ad una sintesi alta tra i diversi riformismi di cui é ricca la tradizione politica italiana. Nella consapevolezza che occorre andare oltre gli errori del passato, e che i vecchi motivi di divisione sono ormai superati, non interessano più nessuno, soprattutto non alle nuove generazioni.
Ma cosa dobbiamo fare dinnanzi alla riaggregazione moderata? Non certo rimanere fermi, ciascuno con la propria bandierina in mano, ma prendere noi in mano la bandiera dell'unificazione a sinistra, senza ripetere gli stessi errori compiuti dal Pd. Non dobbiamo prendere le mosse dal contenitore, ma dai contenuti, dobbiamo partire da un confronto culturale e programmatico aperto, avere il coraggio di cambiare pelle e di uscire da vecchie problematiche identitarie.
Non si tratta di rifondare né il Pci né il Psi. Il compito ben più drammatico che ci sta di fronte é quello di rifondare la sinistra, mantenendo dentro di noi le nostre passioni, la nostra storia e le nostre radici. E quando parlo di sinistra non parlo di sinistra radicale ma di una sinistra vera, moderna e plurale, capace di reinventare il senso di un'attuale ispirazione socialista e democratica.
Ricordiamoci che i socialisti e i comunisti, all'inizio del '900, si sono divisi sulle tecnica della presa del potere. Oggi qui concordiamo tutti sul valore della non violenza. Allora che senso ha attardarci sulle vecchie discriminanti che forniscono alla destra lo spunto per rinverdire le vecchie invettive anti - comuniste?
Nell' 89, e qui tutti dobbiamo farci un'autocritica, dovevamo uscire dalla crisi del comunismo da sinistra per muovere - come dice oggi lo stesso Bertinotti - verso un socialismo di sinistra.
Ma allora andiamo oltre, affrontiamo le nuove formidabili contraddizioni del millennio, con la consapevolezza di avere un grande impegno morale: impedire che la sinistra in quanto tale sparisca dal panorama politico italiano.
Una nuova sinistra plurale, laica, moderna e unitaria deve fondarsi sull'individuazione dei fondamenti ideali di un'identità alternativa all'attuale modo di essere della politica e all'attuale modello di sviluppo, per opporsi al degrado della politica e impedire il sorgere di un'antipolitica qualunquista e moderata.
Non c'era bisogno delle intercettazioni telefoniche per capire che la politica italiana é stata gettata in un pantano e per vedere il distacco spaventoso tra cittadini e classe politica.
Il rischio che corriamo é che riemerga il vecchio adagio qualunquista secondo cui saremmo tutti uguali. Nel passato noi potevamo rispondere, con Enrico Berlinguer, che eravamo il partito dalle mani pulite. Ma oggi non siamo più credibili se non mettiamo mano alla riforma della politica, soprattutto se non diamo per primi il buon esempio.
Non si tratta di questioni giudiziarie: già nel mio libro "Potere e antipotere"avevo sottolineato che se i partiti, invece di stare al di sopra del mercato per dettare le regole valide per tutti, fanno corpo con questa o quella cordata, per di più in combutta con la destra di un Berlusconi, si apre la strada a una mostruosa forma di economia neo-feudale, permettendo cosi ai neoliberisti di "buttar via il bambino con l'acqua sporca", di attaccare ogni forma di rapporto tra pubblico e privato, di fare sparire le ragioni sociali del primato del pubblico.
E allora riprendiamo con maggiore chiarezza e convinzione nelle mani il tema della riforma della politica e della stessa questione morale.
Ma accanto alla riforma della politica occorre la riforma della società. Chiediamoci: ha ancora un senso la critica al capitalismo? Io rispondo - con Touraine - di si.
Certo, in modo nuovo, diverso dal passato. Tuttavia non possiamo pensare che il solo compito della sinistra sia quello della redistribuzione (peraltro assai scarsa) all'interno dell'attuale modello di sviluppo. Occorre cambiare modello, cambiare modo di produrre e di consumare. Perché solo cosi si potranno fronteggiare le grandi sfide del terzo millennio, come la fame nel mondo, i pericoli di autodistruzione del pianeta; solo cosi l'ecologismo non si riduce ad un'esercitazione per anime belle.
E allora reinventiamo il socialismo del nuovo millennio, incominciando da alcune cose chiare: la centralità del lavoro; il cambiamento del modello di sviluppo; un pacifismo coerente attraverso la ripresa della lotta per il disarmo generale, nella direzione della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa; il no netto allo scudo stellare; la centralità della questione ecologica; la riforma del potere e il cambiamento dei tempi della politica dal punto di vista femminile.
Ebbene, approfondiamo tutte queste questioni, ma diciamo subito che il movimento reale che si batte per tutto questo é il socialismo moderno.
Apriamo pertanto una costituente delle idee, diamo vita a delle primarie sui contenuti, apriamo una fase di ascolto della società.
La sinistra moderna deve dire di no alla fuorviante contrapposizione tra sinistra di governo e sinistra radicale. Per alcuni benpensanti la sinistra é di governo solo se governa a favore delle compatibilità dei più forti, contro i deboli e i lavoratori.
Noi, al contrario, dobbiamo volere governare sulla base della nostra compatibilità, quelle del mondo del lavoro, della ricerca, dell'innovazione e dello sviluppo. La nuova sinistra non deve contrapporsi attraverso un estremismo privo di sbocchi, ma con una nuova idea di potere, di governo e di sviluppo dell'economia.
La sinistra é di governo soltanto se non porta al governo una casta separata ma il proprio popolo e sta al Governo solo se sta stare nel paese.
Ma i voti ci dicono che non stiamo più nel paese e con il paese, che il distacco tra politici e cittadini colpisce tutti. Non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo dare un segnale, indicare un nuovo simbolo, presentare con umiltà e coraggio una vera novità.
Con la formazione del Pd si é aperta davanti al progetto dell'unità della sinistra una vera e propria autostrada; sarebbe ridicolo volere percorrere questa autostrada in bicicletta. Per questo sta dinnanzi a noi un imperativo: piantare nella diversità il seme dell'unità.
Oggi siamo riuniti qui, compagni che hanno percorso diversi itinerari, che si sono anche combattuti fieramente. Ma é il momento di deporre le vecchie armi. Anche solo questa volontà rappresenterebbe un grande segnale di speranza per la politica italiana e soprattutto per le nuove generazioni.

di ACHILLE OCCHETTO

La questione morale a 26 anni di distanza

"Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la Dc: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti".

di ENRICO BERLINGUER (stralcio di una intervista rilasciata dal leader storico del Pci a La Repubblica il 28 luglio 1981)

sabato 16 giugno 2007

Usciamo delle trincee

"Scudo spaziale: D'Alema, Italia non è contraria". Quando gli viene consegnato l'ultimo lancio dell'Ansa, datato 14 giugno ore 12,31, il ministro Fabio Mussi sbotta: "E invece io sì che sono contrario". E ne spiega le ragioni: "Hai voglia a parlare di sistema di sicurezza, ma sicurezza contro chi? E perché in Polonia e in Repubblica Ceca? In realtà è soltanto uno strumento di accelerazione della corsa al riarmo. Oggi nel mondo si bruciano in armamenti molte più risorse di quante non se ne spendessero negli anni della guerra fredda". Ma non è di politica estera che parliamo con Mussi, se non a commento delle agenzie di stampa che gli vengono recapitate nel corso dell'intervista ("In Palestina c'è il primo colpo di stato senza stato").

Parliamo della sinistra e della sua multiforme crisi, parliamo del progetto del suo "movimento" di ricostruire un soggetto di sinistra senza aggettivi. Gli aggettivi non servono, dal momento che il nascente partito democratico neanche pretende di essere di sinistra. Insieme a Valentino Parlato incontriamo Mussi nel suo ufficio all'Eur, al ministero dell'Università e della Ricerca. Partiamo dalla crisi della politica e dei suoi linguaggi. Girando come una trottola l'Italia per incontrare i militanti di Sinistra democratica, aprire sedi, dibattere con le altre forze della sinistra, hai ripetuto che non andrai a "Porta a Porta", sottintendendo che non è quella la forma della politica che ti interessa.
E' dal '98 che non ci vado e penso che dovremmo tutti ridurre le apparizioni televisive che sembrano gratificanti perché la gente ti ferma per strada per dirti che ti ha visto, ma mentre fanno crescere il leaderismo abbassano la qualità della politica. I leader sono ridotti a telepredicatori e i militanti a spettatori. Non esiste un altro paese al mondo in cui i leader politici accettino di essere ridotti ad attori di uno spettacolo circense, sempre con la stessa compagnia di giro. Non è spettacolo - e non penso soltanto a "Porta a Porta" - è avanspettacolo.

Nostalgia delle rarissime conferenze stampa di Togliatti in abito scuro e stile sobrio?
Di Togliatti e anche di Berlinguer. Nostalgia degli articoli di Giorgio Amendola. La politica deve avere solennità, mistero, carisma, altro che questo circolo mediatico. Qualche decennio fa fece scandalo a sinistra Milovan Gilas che, parlando del socialismo reale e della Jugoslavia, denunciò la nascita di una "nuova classe" dei politici. Anche qui è nata una nuova classe che va ben oltre la ovvia necessità, nel tempo in cui viviamo, di una professionalità della politica. Qui siamo alla politica come moltiplicatore di posti di lavoro. Una volta chiesi a un giovane ricercatore che cosa avrebbe voluto fare nella vita, mi ha risposto "il consigliere di circoscrizione". E sai perché? Perché un consigliere di circostrizione guadagna più di un ricercatore. Quando gli ho chiesto per quale partito avrebbe voluto farlo mi ha guardato con aria interrogativa e ha risposto "per chi mi prende".

Al tempo della svolta della Bolognina ti rivolgesti a chi difendeva le ragioni del Pci parlando di attaccamento all'orsacchiotto di peluche. Ora, alle riunioni di Sinistra democratica non mancano i nostalgici del Pci.
Avevo parlato della paura di perdere il bambolotto di pezza. Ciò di cui oggi si sente la mancanza è la scuola politica di allora, la sua qualità. Nessuna nostalgia invece per i vecchi riti. Il Pci era un luogo di democrazia, persino il vituperato centralismo democratico era migliore dei metodi attuali di formazione delle decisioni politiche.

La nascita di Sd si vuole finalizzata alla ricostruzione di una sinistra, unendo in un processo i frammenti esistenti. Come pensi di riuscirci?
Lo so che è un'impresa difficilissima, ma vedo il bisogno diffuso, ascolto le domande di tantissime persone: abbiamo il dovere politico di tentare una risposta positiva. Se alla fine della fiera, dopo 15 anni di stallo, l'edificio politico dovesse essere costituito da un Partito democratico al 20-25%, più un arcipelago alla sua sinistra fatto di forze dell'1-2 o magari 6% e tutti insieme 20 punti sotto la destra, avremmo fatto una bella frittata. E penso a Gramsci e alla tragedia della democrazia liberale: è possibile che da una bilancia che da troppo tempo non pende da una parte escano soluzioni autoritarie, bonapartiste. Vogliamo provare a non farla, questa frittata? Penso non a un partito ma a un'aggregazione politica pesante, di massa, per tornare dentro la società. Ci rendiamo conto che ormai anche a sinistra si parla degli operai come fanno gli antropologi con le tribù amazzoniche?

Ma gli operai esistono ancora? Forse volevi dire i precari...
Non c'è soltanto il precariato, il nodo centrale è la svalorizzazione del lavoro, pagato a prezzi orientali e rivenduto a prezzi occidentali. Mai come oggi sono stati tanto numerosi i lavoratori salariati classici, milioni in Italia, miliardi nel mondo. E' in atto poi un processo - avremmo detto un tempo - di proletarizzazione, con i ricercatori che guadagnano meno di 1000 euro. La scommessa è come rimettere insieme queste figure. Come, se non con un'idea politica forte e semplice? Dobbiamo muoverci in fretta...

Anche perché il degrado della politica e il suo sradicamento dalla società produce anche degrado sociale.
Un operaio di Piombino, già dirigente della Fiom, mi ha scritto una lettera che mi ha tolto il fiato: non vi seguo più, dice, ormai vi occupate solo di carcerati, di finocchi e di negri. Il radicamento sociale, però, non lo ricostruisci con una risposta economico-corporativa ma ridandoci un progetto. Si è straparlato di fine delle ideologie, ma solo la nostra è introvabile, sono fallite le macroideologie. Ma in un mondo che si vuole secolarizzato trionfa la potenza delle idee, per quanto misere e di seconda mano possano essere. Berlusconi non ha vinto soprattutto grazie ai mezzi di comunicazione ma grazie alle idee. Idee medievali, se lui è ricco può far diventare ricchi anche noi, hanno pensato in tanti. E' attualissima la lezione di Adorno sulle semi-ideologie di seconda mano. Si vince con le idee semplici.

Ti aspettavi la rapidità con cui si stanno liquefacendo i Ds?
Mi colpisce ma, purtroppo, non mi sorprende. Quando c'è un cedimento strutturale viene giù tutto. I centri veri di potere che detengono banche, imprese, gruppi editoriali, dove c'è gente che ancora studia Gramsci e il concetto di egomonia, hanno costruito un arco di trionfo allo scioglimento dei Ds. Come hanno ottenuto il risultato voluto, scomparso il maggior partito della sinistra, è arrivata la stangata, persino il dileggio. Ciò aumenta le nostre responsabilità. Noi abbiamo fatto un movimento, non siamo interessati al ventitreesimo partitino. Stiamo raccogliendo un insperato consenso, moltissimi giovani si avvicinano, moltissime donne. Arrivano anche molti eletti nelle istituzioni, e sanno di fare una scelta a loro rischio e pericolo. Oggi Sd è il terzo gruppo dell'Unione e ovunque ci siamo presentati è andata molto bene. Pur in un contesto politico ed elettorale preoccupantissimo.

I tempi sono stretti, dici, ma smantellare strutture, partiti, persino rendite di posizione non è la cosa più semplice del mondo. Come vanno i rapporti con Prc, Pdci e Verdi?
Per costruire un nuovo soggetto della sinistra ciascuno di noi deve cambiare profondamente, rimettersi in discussione, abbandonando nicchie e trincee combattendo in campo aperto. Se resti sempre in trincea, prima o poi chi combatti viene a prenderti. Attenzione però, la sinistra è in crisi in tutt'Europa, bisogna cercarne le cause.

Da dove ripartite in questa ricerca?
Rispondo con le frasi pronunciate alla nostra assemblea del 5 maggio da Massimo Salvadori: 1) non nasce una sinistra nuova senza una critica del comunismo novecentesco; 2) ciò che però sopravvive del Novecento è l'idea socialista; 3) non si esce dalla crisi senza una critica puntuale al capitalismo contemporaneo. Un capitalismo diventato incompatibile con il pianeta Terra.

Ci sono le idee e ci sono le azioni. A che punto siete nella costruzione di pratiche unitarie a sinistra?
Ci siamo incontrati con tutti. Anche con lo Sdi, con cui condividiamo le battaglie per i diritti civili ma abbiamo differenze sulla politica internazionale e sull'economia. Abbiamo stretto rapporti con Prc, Pdci e Verdi - ma non c'è solo questo a sinistra, ci sono i movimenti, ci sono tanti uomini e donne impegnate nell'associazionismo e nel volontariato verso cui dobbiamo avere uno sguardo largo - e abbiamo incontrato le confederazioni sindacali. Infine, abbiamo riunito i 150 parlamentari che si collocano a sinistra del Partito democratico e andiamo verso una collegialità delle decisioni. Oggi (ieri, ndr) portiamo un punto di vista condiviso all'incontro sul Dpef. Non siamo pentiti dei sacrifici chiesti con la Finanziaria per avviare il risanamento dei conti, cosicché oggi è possibile e doveroso ridefinire un'agenda forte e credibile per garantire un risarcimento sociale: le batterie del governo si possono ricaricare puntando su riforme sociali ed economiche efficaci.

Ma la destra dello schieramento si mette di traverso. Percorrerete questa strada anche a rischio di una crisi di governo?
Il rischio di una crisi, con i numeri che abbiamo al Senato, esiste fin dal primo giorno di governo. Il rischio di morire è connesso alla nascita. Abbiamo un governo che si regge su una coalizione molto ampia e ogni volta va trovato un punto di equilibrio. Sapendo che se salta questo governo non c'è all'orizzonte qualcosa di meglio.

Quale risarcimento, quali riforme sociali?
Bisogna guardare in giù, verso il basso, e in su, verso l'alto. In giù, nella sofferenza di ampi strati della popolazione, lavoratori precari, lavoratori dipendenti, pensionati. In su, alla scuola, alla formazione, alla ricerca, all'innovazione. L'Europa è il fanalino di coda rispetto agli Usa e all'Oriente sugli investimenti verso l'alto, e l'Italia in Europa non è certo messa bene. L'Italia è l'unico paese con gli Stati uniti in cui cresce la disuguaglianza, crescono i poveri e crescono i ricchi. In Italia i redditi si sono ulteriormente spostati dai salari ai profitti. Se si avvia questo cammino, se sapremo guardare verso il basso e verso l'alto, sarà anche meno complicato un ritorno nella società, tra gli operai che votano Lega.

Nel vostro incontro prima del Dpef, come forze di sinistra avete detto che sulle pensioni sosterrete un eventuale accordo sindacale. Non sarebbe meglio garantirvi un'atonomia politica e di giudizio?
Se si arriverà a un accordo tra le parti sociali non cavalcheremo la logica del più uno, non scavalcheremo i sindacati. Ma finalmente, usciamo dall'ossessione pensionistica. Pensiamo alla ricerca scientifica. La sinistra deve lavorare sui contenuti, sulle politiche e sui valori fondativi.

Quali sono i tempi della nascita del nuovo soggetto di sinistra?
Avremo bisogno di qualche prova elettorale, già in autunno e nella prossima primavera quando andrà al voto metà del corpo elettorale.

Sempre che non cada il governo. Quali sono i passaggi più pericolosi?
Il rischio, lo ripeto, è quotidiano. Ma le alternative - governi tecnici, governi istituzionali - sono peggiori del presente. Per questo bisogna difendere il governo Prodi. Per difenderlo, però, bisogna correggerlo.

di LORIS CAMPETTI da Il Manifesto del 15 giugno 2007

giovedì 14 giugno 2007

La sinistra dei sostantivi

Ha 83 anni e basta parlarci un minuto per capire che il problema della politica italiana non è tanto il dato anagrafico, il poco spazio dato ai giovani. Vi sono quarantenni che accanto a Giovanni Berlinguer sembrano irrimediabilmente vecchi, tanto sono intrisi di politichese. Lui, questo signore d'altri tempi, è ancora capace di indignarsi e di provare stupore. Capace di ascoltare e di combattere per le sue idee. Attento a parole come etica, moralità pubblica, giustizia sociale, partecipazione. E quando ti dice che il disprezzo dei cittadini per la politica «deriva principalmente da come si comportano i partiti, i governi, le istituzioni» capisci che la “questione morale” è la questione ancora non risolta di questo paese. «Fino a 15 anni fa c'erano 4 milioni di persone iscritte ai partiti e adesso sono meno della metà. E di questi 2 milioni, una parte sicuramente maggiore rispetto al passato è fatta di persone che vivono grazie alla politica e non per la politica. Rinnovare i partiti, i loro costumi, le loro regole interne è una necessità urgente. Altrimenti il rischio è la disaffezione».

Le elezioni amministrative da questo punto di vista sono state un campanello d'allarme. A poco più di un anno di vita, questo governo è già in affanno.
E' stata sicuramente una sconfitta, prevedibile perché si sentiva un forte malcontento tra gli elettori del centrosinistra. Bisogna comprendere le ragioni della perdita di voti, e cambiare sostanzialmente l'indirizzo del governo e il grado di unità della coalizione. Non hanno funzionato i partiti come forza di attrazione del consenso ed è stata abbandonata l'idea della centralità dell'Unione e della partecipazione unitaria al governo, il punto più rilevante della nostra politica.

L'Unione e il suo programma non sono più centrali. C'entra qualcosa il Partito democratico?
Il processo di formazione del Pd è basato su un arretramento degli obiettivi sociali, su qualche cedimento alle pressioni della Chiesa, sul disconoscimento di una rappresentanza del lavoro, infine sul tentativo di creare una forza egemone attraverso l'unificazione degli stati maggiori. Un processo che ha causato, per necessità o volontà, un'aggregazione delle forze di sinistra, un processo appena avviato e che può costituire una componente molto più importante nello schieramento politico di centrosinistra. Purché ci sia un ancoraggio preciso alle esigenze del paese, non solo di qualche categoria o interesse sia pure legittimo come quello del lavoro. Purché, ancora, si rifiuti la violenza come strumento di azione politica e purché tutte le forze della sinistra sappiano subordinare i calcoli particolari di singole sigle e singoli dirigenti al grande compito di contribuire ad un cambiamento della politica, della cultura e della moralità italiane.

Unità a sinistra. Ma come? Ti convince l'idea di una sinistra senza aggettivi?
Penso che dobbiamo fare a meno degli aggettivi. Non mi piace l'aggettivo radicale, mi piace ancor meno l'aggettivo estremista. Mi piacciono i sostantivi, e quindi le proposte concrete.

E la parola riformista, nel modo in cui oggi è declinata, ti piace?

La parola riformista è oggi appiccicata a qualunque cambiamento, comprese le leggi fatte da Berlusconi per proteggersi dalla magistratura e per i suoi interessi familiari e aziendali. Si definiscono riformiste perfino le modifiche negative sul diritto del lavoro e l'arretramento della politica scolastica. Ma le vere riforme sono quelle che cambiano profondamente la società, che allargano l'area dei diritti e rendono indispensabile l'adempimento di doveri nei confronti della collettività.

Il dissolvimento dei Ds ha inevitabilmente creato un vuoto. Riuscirà la sinistra ad occupare quello spazio?
A qualunque vuoto corrisponde sempre una forza che tende a riempirlo, ma non è detto che questa forza sia capace di farlo. E’ tutto da dimostrare, perché si tratta di impegni nuovi a cui la sinistra stessa non è totalmente preparata.

Cioè?
Serve una revisione strategica, imposta anche dal fatto che le forze della sinistra in Europa, tutte le forze della sinistra, attraversano un periodo di difficoltà. Il numero dei paesi che hanno al governo forze di sinistra e di centrosinistra si è ridotto considerevolmente, da più di due terzi a meno di un terzo.

Un dato che ci parla di una incapacità a presentarsi con una idea forte sul mercato della politica?

Se guardiamo alle esperienze degli ultimi 10-15 anni, da quando nell'Europa dei Quindici c'erano 13 governi di centrosinistra, si deve riconoscere che questi governi non hanno aperto strade sostanzialmente nuove. Il più delle volte hanno ricalcato la grande corrente del neoliberismo, correggendone alcuni aspetti deteriori. Questa corrente neoliberista era anche legittimata da un’espansione economica, dalla caduta del comunismo e dalla esigenza reale di aprire le frontiere ai commerci e alle persone. Al tempo stesso, ha creato una crescente disuguaglianza tra i paesi e all'interno dei paesi, e ha mortificato le aspirazioni più profonde dei popoli: quelle ad una libertà sostanziale e a una partecipazione democratica. Aggiungo che molti dei temi oggi all'ordine del giorno non sono stati colti tempestivamente dalla sinistra. Mi riferisco alla grande questione ambientale, che è nata fuori della sinistra e solo successivamente fatta propria, alla questione femminile ancora irrisolta, al tema della sicurezza - personale e collettiva - che non può essere scisso dal tema della libertà.

Sicurezza: a sinistra questa parola provoca sempre qualche prurito.

Ed è un prurito sbagliato. Ho sempre pensato che attribuire la libertà alla sinistra e la sicurezza alla destra sia un pessimo commercio di idee. Non c'è dubbio che l'uso della sicurezza come arma politica o come incitamento alla discriminazione, all'intolleranza, alla xenofobia, deve essere respinta; al tempo stesso, però, le leggi, il comportamento, l'azione politica e amministrativa devono considerare gli interessi di tutti. Non si può lasciare questa bandiera alle forze più retrive ed oscure che stanno crescendo in Europa e in Italia. E poi sicurezza non è soltanto quella di uscire di casa senza essere oggetto di aggressioni, ma è anche la sicurezza del lavoro e sul lavoro; è la sicurezza alimentare per chi ha fame; è la sicurezza delle frontiere e dell'autonomia di ogni singolo paese. E' sicurezza del sapere, cioè possibilità di avere accesso alla conoscenza, all'informazione, all'istruzione.

Cantiere, confederazione, i socialisti che lavorano alla loro costituente. I confini della sinistra del domani sono ancora confusi...

Non sono uno specialista di sigle; penso che l'unità si fa con chi la persegue, non con chi vuole escludere qualcuno.

di GIAMPIERO CAZZATO da La Rinascita del 14 giugno 2007

mercoledì 13 giugno 2007

Unitari e radicali per non ingoiare rospi

Il problema, per le forze della sinistra dell'Unione, era partecipare o no al corteo anti-Bush e anti-Prodi? Questa la domanda che sembra attanagliare la nostra discussione di questi giorni. Secondo me è una domanda sbagliata. Se è evidente l'errore compiuto da alcuni movimenti pacifisti e dalle forze politiche della sinistra nell'indire la manifestazione di piazza del Popolo, non credo che partecipare a un corteo indetto su una piattaforma inaccettabile e che non a caso ha visto una partecipazione significativamente più ridotta rispetto a quelle del recente passato, avrebbe evitato di esporre la sinistra a una dinamica negativa. C'era forse un altro modo - lo ha trovato perfino Andrea Riccardi - per manifestare il proprio radicale dissenso con la guerra di Bush.
Guardiamo le cose come stanno. Si può dire che il governo è stato carente un po' su tutti i fronti. Ma quello della politica estera è sicuramente un ambito in cui alcuni importanti cambiamenti ci sono stati: il ritiro dall'Iraq, l'impegno in Libano, il no a ulteriori truppe in Afghanistan e il non impegno di quelle lì presenti in azioni di combattimento, accompagnato dalla proposta di una conferenza di pace, la nostra linea sull'Iran, l'appoggio ai paesi arabi, il dialogo persino con le frange più estreme di quel mondo, lo smarcamento dalle politiche americane e il ritorno nel contesto europeo sono tutti elementi di forte novità. Certo: c'è stato un pesante strappo, gravido di conseguenze, operato personalmente da Prodi, sulla questione del Dal Molin, e il contenzioso nella maggioranza è evidentemente aperto. Però non valorizzare, per questa ragione, i successi ottenuti mi pare autolesionistico. Semmai ora il problema è lo scudo spaziale, e il contrasto a altre scelte di riarmo dell'amministrazione Bush.
Il punto fondamentale, per la sinistra, è quello di evitare due riflessi possibili di questa situazione. Il primo è quello «ipergovernativo» (essere unitari, ma non radicali) per cui occorre digerire qualsiasi rospo in nome della stabilità. D'Alema, in singolare sintonia con Bernocchi, si deve dare pace: si deve essere di lotta e di governo, e certo la sinistra non può seguire i pessimi esempi venuti dalla maggioranza dei Ds che, a forza di ingoiare rospi, ha finito col desiderarli. L'altro riflesso è invece il rifiuto del tema del governo (essere radicali, non unitari), coltivando l'illusione su quanto stavamo bene all'opposizione, la nostalgia di posizioni passate, o comunque la voglia di non combattere più e di rifugiarsi in uno splendido, un po' settario, molto inconcludente isolamento.
C'è una terza strada. Quella di essere unitari e radicali. Di provare a spostare l'asse del governo a sinistra (anche se a qualcuno non piace). Una strada che - per come è fatta la società politica - passa solo attraverso un accordo tra i gruppi dirigenti della sinistra per costruire un soggetto comune. Ma affonda le sue radici nel paese reale. Cosa ci chiede l'elettorato? E' semplice: vuole che otteniamo dei risultati. Vuole che il suo voto sia «utile». Vuole sapere di non avere sbagliato a votare.
I temi sul tappeto sono noti: il tesoretto, la legge 30, le pensioni, i salari, i contratti. Aggiungo la scuola, di cui poco si parla, ma che è in una sofferenza indicibile, le politiche abitative e i diritti civili. Su questi temi noi dobbiamo (e sottolineo: dobbiamo) portare a casa risultati concreti, in linea con il programma dell'Unione. Questi temi insieme costituiscono il banco di prova dell'efficacia della nostra azione come sinistra e la salvezza per lo stesso governo Prodi. Se non ci sarà svolta sulle questioni sociali il problema non si porrà per il Prc, ma sarà il governo a aver intrapreso una strada senza uscita, esaurendo in pochi mesi ogni rapporto di simpatia con l'opinione pubblica. I riformisti-moderati non sono in grado di rispondere alla sfida. Dovremmo farlo noi. Ma ora siamo in sofferenza.
Dobbiamo invece fare tesoro di quanto accaduto a Taranto, dove la sinistra si è presentata unita e ha sbaragliato tutti. Il problema è quello dell'unità delle forze della sinistra, che oggi, alla vigilia di queste sfide, è una vera e propria urgenza. Solo con l'unità possiamo determinare la svolta che auspichiamo. Se questa non è ancora avvenuta non è solo perché ci sono soverchianti forze avversarie. C'è anche una nostra responsabilità, una responsabilità della politica che non riesce ancora a seguire i tempi della società, degli apparati o dei «ceti politici» che resistono all'unità per ragioni di visibilità. I nostri elettori sono invece già uniti. E ci aspettano al traguardo.
Sabato e domenica c'è un appuntamento di grande rilievo, l'assemblea della Sinistra europea. Da lì devono arrivare parole molto chiare sui temi di merito e sul percorso unitario. Si sono fatti passi in avanti (penso all'assemblea dei parlamentari, occultata non a caso da buona parte dei media). Ma insisto: da subito occorre delineare un percorso ambizioso. Dal basso e dall'alto. Entro settembre convochiamo una assemblea pubblica, di massa, una costituente della sinistra. Facciamola precedere da assemblee in tutto il paese. Convochiamo le primarie sul programma. Chiediamo ai nostri elettori cosa vogliono da noi. Cosa fare su pensioni, casa, Dico, scuola, tasse, extragettito. Sulla politica estera e sullo scudo stellare. Diciamo loro che alle prossime elezioni troveranno un nuovo simbolo che ci rappresenta tutti (il simbolo di una coalizione politica, sociale, civile della sinistra), alleato, fin quando possibile, con i moderati del Partito democratico.
Per uscire dalle difficoltà bisogna lanciare il cuore oltre l'ostacolo. E' proprio ora, in un mare aperto e non molto tranquillo, che si misura la capacità della sinistra e dei suoi dirigenti di avere una funzione generale.

di PIETRO FOLENA da il Manifesto del 13 giugno 2007

Si vuole unire la sinistra ma su che basi?

Franco Giordano ha detto al “Corriere” che con le elezioni «è accaduto un terremoto» e che «occorre accelerare il processo di costruzione di tutta la sinistra». Quale sinistra? Spiega Giordano: «Prc, verdi, comunisti italiani e tutti quelli di Sinistra democratica (Mussi)». E così la descrive: «Una sinistra che dovrebbe uscire dalle trincee», agire «sui fronti più urgenti: pensioni, salari, precarietà» e affrontare «la questione settentrionale» che «è in realtà la grande questione degli operai». Ora, che ci sia una questione legata alla condizione degli operai è vero, ma il fatto che essa si identifichi con la “questione settentrionale” che nessuno sa cos'è (ma di cui tutti parlano) è un'affermazione “classista” e senza senso politico. Si tratta di reazioni a caldo che durano lo spazio di un'intervista. La verità è che non emerge una base politico-culturale per unire quella sinistra. E ancora una volta non si vogliono fare i conti con il socialismo europeo. Non esiste sinistra di governo se non entro quelle mura, sia pur con proprie specificità nazionali. E anche Mussi, che su questa base fece la sua battaglia congressuale, dovrebbe spiegarci cos'è questa sinistra senza identità di cui parla Giordano.

di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 1 giugno 2007

Reichlin, siamo al contrordine compagni?

Alfredo Reichlin ci ha fatto sapere sull'“Unità” di sabato scorso che, dopo il voto del 27 maggio, il punto da ribadire con fermezza sarebbe «l'autonomia dei Ds». Questa è una notizia. Si tratta di un “contrordine compagni”? Andiamo a vedere il ragionamento. Che il governo cada o non cada non mi interessa, dice Alfredo, le urgenze sono altre: «Il Partito democratico non è percepito come un partito nuovo ma come l'ennesima trasfigurazione della cosiddetta partitocrazia». Questo noi l'avevamo capito. Sempre a proposito di Pd, Reichlin aggiunge che «bisognerebbe - finalmente - rendere chiara la missione oltre il leader». Finalmente? E a cosa è servito ciò che è stato fatto sino ad oggi con i “gazebo” di Orvieto, i congressi di Ds e Margherita, il Manifesto per il Pd (quello dei saggi) e gli articoli dello stesso Reichlin sull'“Unità”? C'è poi nella nota di cui parliamo una affermazione perentoria: «Non possiamo procedere allo scioglimento delle nostre file e partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto politico senza interrogarci su ciò che al fondo è la vera giustificazione di un nuovo partito». Giusto. Se abbiamo capito bene, uno dei padri del Pd dice che si ferma tutto. E Fassino che ne pensa?

di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 5 giugno 2007

Chiamiamolo comitato 8 settembre

Continuiamo a leggere le reazioni al voto amministrativo di tutti - proprio tutti - i leader (si fa per dire) dell'Unione, romani e periferici: quel che prevale è la confusione, l'impotenza e il velleitarismo: chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, chi vuole che si elegga un leader subito (chi?) e chi si oppone a questa ipotesi, chi vuole costruire un Pd del Nord, come se al Sud le cose vadano bene (nessuno ne parla), chi dice che il problema sono gli operai e chi gli imprenditori. Potremmo continuare. E tutti hanno ricette pronte: Prodi non vuole fare il «re travicello» ma non sa come regnare, Mastella e Di Pietro minacciano di andarsene e sono sempre seduti in poltrona. Ma la medicina assoluta per guarire è l'accelerazione della nascita (o dell'aborto?) del Pd, anticipando l'indicazione del leader e l'elezione di quella Costituente che nessuno sa come eleggere e quali compiti dovrà avere. Ieri sera si doveva riunire (scrivo prima) il Comitatone dei 45, già contestato da chi non c'è e anche da chi c'è. Pare che il Comitatone non si chiamerà più «14 ottobre», c'è chi vorrebbe chiamarlo «25 luglio» ma forse una data intermedia tra luglio e ottobre, potrebbe essere l'«8 settembre» a cui accenna Peppino Caldarola.

di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 31 maggio 2007

martedì 12 giugno 2007

La Questione Socialista

Dai libri di storia scritti sugli anni 90, diciamoci la verità, di cui in giro se ne vedono e leggono ben pochi, incentrano la loro analisi sull'effetto Tangentopoli e sulla bufera che portò l'allora Partito Socialista Italiano alla disfatta totale.
Sono passati 15 anni ed oggi con una certa timidezza, forse perché o costretto a non andare a destra nel Pd o forse perché in una futura non ben distinta "Cosa Rossa" si ritrova, non solo un tantino retrò, ma soprattutto un tantino a disagio per l'evidente stato di spaccatura che oggi Rifondazione Comunista, Pdci, Verdi hanno maturato con i movimenti di collettivi universitari, collettivi autonomi, centri sociali, no global e quanto altro forma la galassia della sinistra; ci si ritrova a discutere della questione socialista e del Socialismo Europeo. Sono passati giusto giusto quegli anni per farci capire, di quanto la sinistra oggi possa sentire la mancanza, di una forza socialista ancorata al Pse.
Il Socialismo per molti di noi, della nuova generazione, si identifica in Zapatero, Muhammad Yunus, Ségolène Royal, Michelle Bachelet, Evo Morales, per finire nei miti di una volta, Che Guevara, Martin Luther King, Gandhi, Nenni, Matteotti, Gramsci, Lombardi, Pertini, Rosa Luxemburg. Come diceva la canzone di Jovanotti "Una grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa", per noi il Socialismo sono queste persone che hanno rappresentato e rappresentano la speranza, la speranza di avere una società in cui i diritti sociali, il lavoro, l'integrazione, la previdenza sociale, non siano azzerati a dispetto di un potere di una lobby o più lobby, di uno stato di privilegi senza diritti, di uno stato arretrato culturalmente, in cui prevale una confessione religiosa piuttosto che una modernità laica.
Il socialismo è la speranza che lega le persone ad un ideale di valori condivisi, di una comunanza che supera le disuguaglianze, di uno stato di diritto e di rispetto per il prossimo. Scriveva Yunus in un suo libro: "i poveri non sono tali per stupidità o per pigrizia; anzi lavorano tutto il giorno svolgendo mansioni fisiche complesse. Sono poveri perché le strutture finanziarie del nostro paese non sono disposte ad aiutarli ad allargare la loro base economica. Non è un problema di persone, ma di strutture"; "Ogni persona è estremamente importante. Ciascuno di noi ha un potenziale illimitato e può influenzare la vita degli altri all'interno delle comunità e delle nazioni, nei limiti e oltre i limiti della propria esistenza".
Diceva Zapatero al Congresso della Confederazione Europea dei Sindacati, svoltasi a Siviglia lo scorso 22 maggio 2007: "E' possibile crescere ed è possibile essere più giusti; è possibile andare avanti senza che nessuno resti indietro; è possibile innovare con flessibilità e proteggere i diritti dei lavoratori, ed è vantaggioso riformare ed è obbligatorio farlo con l'accordo delle parti sociali e, specialmente, dei lavoratori e dei sindacati".
In queste frasi è rappresenta l'essenza del Socialismo del XXI secolo, in queste frasi ci sono le azioni di uomini che hanno sfidato un sistema minato dalle diseguaglianza sociali, dalla disoccupazione, dalla povertà, dalle ingiustizie per garanti quei diritti sociali e quelle pari opportunità che difendono la dignità della persona. Essere socialisti nel XXI secolo vuol dire appartenere alla grande famiglia del Socialismo Europeo, che oggi più di prima ha bisogno di rafforzarsi contro un neo-liberismo delle destre conservatrici e clericali che si sta abbattendo sull'Europa. Una spinta neo-illuminista e profondamente socialista è un rinnovamento che solo noi nuove generazione abbiamo il dovere di promuovere. Socialismo contro le Barbarie e contro il nuovo medioevo europeo e italiano.

di Giuliano Girlando da Aprileonline del 12 giugno 2007

lunedì 11 giugno 2007

Non disturbate il manovratore

Sorprende non poco constatare la straordinaria sintonia tra Massimo D'Alema e il deputato di Rifondazione Salvatore Cannavò che, intervistati reciprocamente da La Repubblica e da La Stampa, usano nei confronti della sinistra dell'Unione addirittura le stesse parole: non si può essere di lotta e di governo, o si sta in piazza o si sta al governo, e così via.
Queste affermazioni dimostrano, a mio modesto avviso, una concezione della politica antica e strumentale per la quale il rapporto con i cittadini organizzati in movimenti serve solo quando si è all'opposizione e occorre la spinta per entrare nella stanza dei bottoni. Ma poi, una volta entrati, non bisogna "disturbare il manovratore"!
Intendiamoci: credo anch'io che non abbia senso far parte di un governo e manifestare contro lo stesso governo. E infatti se sabato scorso le manifestazioni sono state due è perché alcune formazioni politiche e sociali si sono rifiutate di partecipare ad un corteo che era non solo contro la politica di Bush ma anche contro quella del Governo Prodi. E che cosa fanno i "riformisti" ?
Invece di apprezzare la lealtà e il coraggio di chi, pur sapendo di pagare un prezzo, sceglieva Piazza del Popolo invece di Piazza Esedra, finiscono per lisciare il pelo ai vari Turigliatto, magari sognando scenari di governi istituzionali o neocentristi.
Quanto poi alla discussione in vista del DPEF e alle "pretese" della sinistra di scelte sociali che aiutano i ceti più svantaggiati, sento la necessità di chiarire tre cose: primo, che queste scelte sono doverose per una coalizione progressista che deve fare i conti con quel Paese così ingiusto descritto dall'ultimo rapporto Istat; secondo che esse non sono improvvisazioni estremistiche ma erano scritte a chiare lettere nel programma dell'Unione; terzo che esse servono, come dimostrano i risultati delle amministrative, a recuperare consensi per il Governo e non solo per la sinistra cosiddetta radicale. La sconfitta nel Nord è una sconfitta di tutti e tutti debbono farci i conti.
Interessa al "motore riformista" che il Governo Prodi recuperi la popolarità perduta o si sta già pensando al dopo?

di CARLO LEONI da Aprileonline del 11 giugno 2007