lunedì 4 giugno 2007

Sette giorni di fuoco

L’immagine del soldato Romano Prodi che in solitudine difende il bidone già per tre quarti vuoto del suo governo è l’emblema di questa fase. Dentro l’Unione, infatti, tutti hanno elaborato un piano di fuga per salvarsi «in extremis» se la stella del Professore tramonterà. Piani che in fondo non sono tanto segreti. «Per noi - spiega l’ex-dc Del Mese, mastelliano alla presidenza della Commissione Finanze della Camera - o si fa una nuova legge per evitare il referendum o noi, la prossima primavera, il referendum lo evitiamo lo stesso facendo saltare il governo e andando al voto. Preferisco quest’ultima prospettiva se passiamo col Polo...».
Ragionamento che rasenta il cinismo. Ma in fondo anche le altre anime della maggioranza stanno approntando strategie di sopravvivenza che non vanno per il sottile. Rifondazione ha già capito che nei prossimi mesi il rapporto dialettico col Professore potrebbe diventare più teso. «Il motivo è semplice - osserva uno degli strateghi di Bertinotti -: noi pensiamo che perdiamo voti perché il governo non ha più il profilo di sinistra; i cosiddetti moderati pensano il contrario. Se il dilemma non si risolve dobbiamo mollare il governo sei primi mesi del voto e ricompattare il nostro elettorato. Il vero guaio è se non riusciamo a sganciarci».
Alla fine l’unico fermo, senza ipotesi alternative, è il Professore. E con minacce e lusinghe costringe alla paralisi anche il partito Democratico. Lo inchioda su una posizione a dir poco «esposta», quella del «resistere, resistere» a qualunque costo. Tutti nell’Unione, dopo la sconfitta elettorale si sono adoperati per ricollegarsi al proprio retroterra elettorale: Di Pietro si è smarcato nel caso Visco e neo-comunisti e verdi sulle manifestazioni di protesta che accoglieranno Bush in Italia. Prodi, invece, si è limitato a minimizzare e a compensare le spinte centrifughe della maggioranza. E ha incatenato a questa strategia Rutelli, D’Alema, Fassino, Veltroni che per smarcarsi hanno dovuto inscenare il solito litigio sul partito Democratico. Questo è il «background» della settimana «horribilis» di Prodi: mercoledì il «caso» Visco al Senato; sabato le manifestazioni contro Bush; domenica, infine, il ballottaggio delle amministrative, con una roccaforte della sinistra come la provincia di Genova in bilico. Una scadenza peggio dell’altra.
Ad esempio, il «caso Visco» è tutt’altro che risolto. Anzi, dopo il tragico si rischia di rasentare il comico: come nel caso del consigliere Rai Petroni, il Tar del Lazio potrebbe reintegrare nel suo ruolo anche l’ex comandante della Finanza, Roberto Speciale. E intanto anche l’ex direttore dell’Ansa, Magnaschi, dichiara di essere stato fatto fuori per aver pubblicato notizie sul «caso Unipol». Per la maggioranza è una «speculazione» del centrodestra, l’opposizione denuncia l’«emergenza democratica»: ma al netto di tutto il governo, basta guardare i sondaggi, non fa certo una figura esaltante. Il «caso Visco» è ancora argomento scottante e tutti si comportano di conseguenza: il silenzio di Rutelli o di Dini sta diventando assordante; Di Pietro fa lo struzzo e giura che la rimozione del comandante della GdF non è stata una ritorsione quando l’interessato ormai lo dichiara in pubblico.
Senza contare che la «prova di forza» di Prodi ha messo in difficoltà anche Napolitano. «Basta conoscere la Costituzione per avere le idee chiare - è la critica che ieri ha rivolto al Colle Fini -, Napolitano è il Capo delle Forze Armate e non può dire che la destituzione del comandante della GdF “non è di sua competenza”». «Il Presidente - osserva Cicchitto - parla quattro volte al giorno. Su tutto. Ma quando c’è una rissa istituzionale non entra in campo».
Fin qui Visco. Sulla visita di Bush i problemi della maggioranza non sono da meno. Ci sarano due manifestazioni: un corteo della sinistra estrema, con i neo-comunisti di Ferrando, Cannavò e Casarini che contesteranno la politica estera di Bush e quella del governo italiano. E un sit-in a piazza del Popolo della sinistra massimalista più istituzionale: Rifondazione, Pdci, Verdi contro Bush e le sue guerre. Prodi nell’ultimo vertice di maggioranza aveva richiamato tutti alla calma: «Bisogna comportarsi con il rispetto che si deve ad un Capo di Stato straniero». Ma le sue parole non avevano avuto un grande effetto. «Ma se a manifestare a piazza del Popolo - è stata la risposta di Oliviero Diliberto - ci va anche Luigi Lusi, il chierichetto della Margherita».
Insomma, la sinistra massimalista istituzionale non può perdere il contatto con i pacifisti. Né Prodi può prendere sottogamba l’atteggiamento dei «duri» che ieri lo hanno già fischiato a Trento: i vari Ferrando, Casarini, Agnoletto si sono presentati con lui alle politiche; quelle 10-20-30 mila persone che sfileranno a Roma contro Bush, sono più o meno i 25 mila voti che gli hanno permesso di vincere le elezioni.
E mentre l’opposizione, a cominciare da Casini, chiede le dimissioni del governo, torniamo al peccato originale della maggioranza. Questione che il Professore ha rimosso: «Le proteste di oggi ce le aspettavamo - è stato il suo commento ai fischi di Trento -. Spero solo che gli esponenti di governo evitino di scendere in piazza sabato. Se sono pentito della sostituzione di Speciale? No, dovevamo farlo prima, alle prime tensioni. Comunque, a parte il logoramento, il quadro non è drammatico semmai problematico». Come per le elezioni di domenica.

di Augusto Minzolini da La Stampa del 4 giugno 2007

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