Da tempo avvertiamo il bisogno di una sinistra nuova e unita, costatando l’esistenza di una comunanza intorno ad alcuni filoni ideali fondamentali. E il bisogno è diventato sicuramente più urgente da quando è stato messo in campo il progetto della formazione di un partito democratico su basi moderate, che lascia un vuoto enorme a sinistra. Io non sono mai stato contrario a processi di aggregazione. Sono sempre stato favorevole ad una sintesi alta tra i diversi riformismi di cui è ricca la tradizione politica italiana, nella consapevolezza che occorra andare oltre gli errori del passato, e che i vecchi motivi di divisione sono ormai superati, non interessano più nessuno, soprattutto non alle nuove generazioni.
Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la formazione del Pd. Non dobbiamo prendere le mosse dal contenitore, ma dai contenuti, dobbiamo partire da un confronto culturale e programmatico aperto, avere il coraggio di cambiare pelle e di uscire da vecchie problematiche identitarie.
Non si tratta di rifondare né il Pci né il Psi. Il compito ben più drammatico che ci sta di fronte è quello di rifondare la sinistra, mantenendo dentro di noi le nostre passioni, la nostra storia e le nostre radici. E quando parlo di sinistra non parlo di sinistra radicale ma di una sinistra vera, moderna e plurale, capace di reinventare il senso di un’attuale ispirazione socialista e democratica.
I socialisti e i comunisti, all’inizio del ’900, si sono divisi sulle tecnica della presa del potere. Ma oggi concordiamo tutti sul valore della non violenza. Allora che senso ha attardarci sulle vecchie discriminanti che forniscono alla destra lo spunto per rinverdire le vecchie invettive anti - comuniste? Nell’89 dovevamo uscire dalla crisi del comunismo da sinistra per muovere verso un socialismo di sinistra. Molta acqua è passata sotto i ponti. Il compito che ora ci attende è quello di affrontare le nuove formidabili contraddizioni del millennio, per impedire che la sinistra in quanto tale sparisca dal panorama politico italiano.
Una nuova sinistra plurale, laica, moderna e unitaria deve fondarsi sull’individuazione dei fondamenti ideali di un’identità alternativa all’attuale modo di essere della politica e all’attuale modello di sviluppo, per opporsi al degrado della politica e impedire il sorgere di un’antipolitica qualunquista e moderata. Non c’era bisogno delle intercettazioni telefoniche per capire che la politica italiana è stata gettata in un pantano e per vedere il distacco spaventoso tra cittadini e classe politica.
Il rischio che corriamo è che riemerga il vecchio adagio qualunquista secondo cui saremmo tutti uguali. Nel passato noi potevamo rispondere, con Enrico Berlinguer, che eravamo il partito dalle mani pulite. Ma oggi non siamo più credibili se non mettiamo mano alla riforma della politica, soprattutto se non diamo per primi il buon esempio.
Non si tratta di questioni giudiziarie: già nel mio libro Potere e antipotere avevo sottolineato che se i partiti, invece di stare al di sopra del mercato per dettare le regole valide per tutti, fanno corpo con questa o quella cordata, per di più in combutta con la destra di un Berlusconi, si apre la strada a una mostruosa forma di economia neo-feudale, permettendo cosi ai neoliberisti di «buttar via il bambino con l’acqua sporca», di attaccare ogni forma di rapporto tra pubblico e privato, di fare sparire le ragioni sociali del primato del pubblico. E allora riprendiamo con maggiore chiarezza e convinzione nelle mani il tema della riforma della politica e della stessa questione morale.
Ma accanto alla riforma della politica occorre la riforma della società. Chiediamoci: ha ancora un senso la critica al capitalismo? Io rispondo - con Touraine - di sì. Certo, in modo nuovo, diverso dal passato. Tuttavia non possiamo pensare che il solo compito della sinistra sia quello della redistribuzione (peraltro assai scarsa) all’interno dell’attuale modello di sviluppo. Occorre cambiare modello, cambiare modo di produrre e di consumare. Perché solo cosi si potranno fronteggiare le grandi sfide del terzo millennio, come la fame nel mondo, i pericoli di autodistruzione del pianeta; solo cosi l’ecologismo non si riduce ad un’esercitazione per anime belle.
E allora reinventiamo il socialismo del nuovo millennio, incominciando da alcune cose chiare: la centralità del lavoro; il cambiamento del modello di sviluppo; un pacifismo coerente attraverso la ripresa della lotta per il disarmo generale, nella direzione della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa; il no netto allo scudo stellare; la centralità della questione ecologica; la riforma del potere e il cambiamento dei tempi della politica dal punto di vista femminile. Approfondiamo tutte queste questioni, ma diciamo subito che il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo moderno.
Apriamo pertanto una costituente delle idee, diamo vita a delle primarie sui contenuti, apriamo una fase di ascolto della società.
La sinistra moderna deve dire di no alla fuorviante contrapposizione tra sinistra di governo e sinistra radicale. Per alcuni benpensanti la sinistra è di governo solo se governa a favore delle compatibilità dei più forti, contro i deboli e i lavoratori. Noi, al contrario, dobbiamo volere governare sulla base della nostra compatibilità, quelle del mondo del lavoro, della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo. La nuova sinistra non deve contrapporsi attraverso un estremismo privo di sbocchi, ma con una nuova idea di potere, di governo e di sviluppo dell’economia.
La sinistra è di governo soltanto se non porta al governo una casta separata ma il proprio popolo e sta al Governo solo se sta stare nel paese. Ma i voti ci dicono che non stiamo più nel paese e con il paese, che il distacco tra politici e cittadini colpisce tutti. Non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo dare un segnale, indicare un nuovo simbolo, presentare con umiltà e coraggio una vera novità. Con la formazione del Pd si è aperta davanti al progetto dell’unità della sinistra una vera e propria autostrada; sarebbe ridicolo volere percorrere questa autostrada in bicicletta. Per questo sta dinnanzi a noi un imperativo: piantare nella diversità il seme dell’unità. Anche solo questa volontà rappresenterebbe un grande segnale di speranza per la politica italiana e soprattutto per le nuove generazioni.
di ACHILLE OCCHETTO da l'Unità del 24 giugno 2007
Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la formazione del Pd. Non dobbiamo prendere le mosse dal contenitore, ma dai contenuti, dobbiamo partire da un confronto culturale e programmatico aperto, avere il coraggio di cambiare pelle e di uscire da vecchie problematiche identitarie.
Non si tratta di rifondare né il Pci né il Psi. Il compito ben più drammatico che ci sta di fronte è quello di rifondare la sinistra, mantenendo dentro di noi le nostre passioni, la nostra storia e le nostre radici. E quando parlo di sinistra non parlo di sinistra radicale ma di una sinistra vera, moderna e plurale, capace di reinventare il senso di un’attuale ispirazione socialista e democratica.
I socialisti e i comunisti, all’inizio del ’900, si sono divisi sulle tecnica della presa del potere. Ma oggi concordiamo tutti sul valore della non violenza. Allora che senso ha attardarci sulle vecchie discriminanti che forniscono alla destra lo spunto per rinverdire le vecchie invettive anti - comuniste? Nell’89 dovevamo uscire dalla crisi del comunismo da sinistra per muovere verso un socialismo di sinistra. Molta acqua è passata sotto i ponti. Il compito che ora ci attende è quello di affrontare le nuove formidabili contraddizioni del millennio, per impedire che la sinistra in quanto tale sparisca dal panorama politico italiano.
Una nuova sinistra plurale, laica, moderna e unitaria deve fondarsi sull’individuazione dei fondamenti ideali di un’identità alternativa all’attuale modo di essere della politica e all’attuale modello di sviluppo, per opporsi al degrado della politica e impedire il sorgere di un’antipolitica qualunquista e moderata. Non c’era bisogno delle intercettazioni telefoniche per capire che la politica italiana è stata gettata in un pantano e per vedere il distacco spaventoso tra cittadini e classe politica.
Il rischio che corriamo è che riemerga il vecchio adagio qualunquista secondo cui saremmo tutti uguali. Nel passato noi potevamo rispondere, con Enrico Berlinguer, che eravamo il partito dalle mani pulite. Ma oggi non siamo più credibili se non mettiamo mano alla riforma della politica, soprattutto se non diamo per primi il buon esempio.
Non si tratta di questioni giudiziarie: già nel mio libro Potere e antipotere avevo sottolineato che se i partiti, invece di stare al di sopra del mercato per dettare le regole valide per tutti, fanno corpo con questa o quella cordata, per di più in combutta con la destra di un Berlusconi, si apre la strada a una mostruosa forma di economia neo-feudale, permettendo cosi ai neoliberisti di «buttar via il bambino con l’acqua sporca», di attaccare ogni forma di rapporto tra pubblico e privato, di fare sparire le ragioni sociali del primato del pubblico. E allora riprendiamo con maggiore chiarezza e convinzione nelle mani il tema della riforma della politica e della stessa questione morale.
Ma accanto alla riforma della politica occorre la riforma della società. Chiediamoci: ha ancora un senso la critica al capitalismo? Io rispondo - con Touraine - di sì. Certo, in modo nuovo, diverso dal passato. Tuttavia non possiamo pensare che il solo compito della sinistra sia quello della redistribuzione (peraltro assai scarsa) all’interno dell’attuale modello di sviluppo. Occorre cambiare modello, cambiare modo di produrre e di consumare. Perché solo cosi si potranno fronteggiare le grandi sfide del terzo millennio, come la fame nel mondo, i pericoli di autodistruzione del pianeta; solo cosi l’ecologismo non si riduce ad un’esercitazione per anime belle.
E allora reinventiamo il socialismo del nuovo millennio, incominciando da alcune cose chiare: la centralità del lavoro; il cambiamento del modello di sviluppo; un pacifismo coerente attraverso la ripresa della lotta per il disarmo generale, nella direzione della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa; il no netto allo scudo stellare; la centralità della questione ecologica; la riforma del potere e il cambiamento dei tempi della politica dal punto di vista femminile. Approfondiamo tutte queste questioni, ma diciamo subito che il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo moderno.
Apriamo pertanto una costituente delle idee, diamo vita a delle primarie sui contenuti, apriamo una fase di ascolto della società.
La sinistra moderna deve dire di no alla fuorviante contrapposizione tra sinistra di governo e sinistra radicale. Per alcuni benpensanti la sinistra è di governo solo se governa a favore delle compatibilità dei più forti, contro i deboli e i lavoratori. Noi, al contrario, dobbiamo volere governare sulla base della nostra compatibilità, quelle del mondo del lavoro, della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo. La nuova sinistra non deve contrapporsi attraverso un estremismo privo di sbocchi, ma con una nuova idea di potere, di governo e di sviluppo dell’economia.
La sinistra è di governo soltanto se non porta al governo una casta separata ma il proprio popolo e sta al Governo solo se sta stare nel paese. Ma i voti ci dicono che non stiamo più nel paese e con il paese, che il distacco tra politici e cittadini colpisce tutti. Non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo dare un segnale, indicare un nuovo simbolo, presentare con umiltà e coraggio una vera novità. Con la formazione del Pd si è aperta davanti al progetto dell’unità della sinistra una vera e propria autostrada; sarebbe ridicolo volere percorrere questa autostrada in bicicletta. Per questo sta dinnanzi a noi un imperativo: piantare nella diversità il seme dell’unità. Anche solo questa volontà rappresenterebbe un grande segnale di speranza per la politica italiana e soprattutto per le nuove generazioni.
di ACHILLE OCCHETTO da l'Unità del 24 giugno 2007
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