Il problema, per le forze della sinistra dell'Unione, era partecipare o no al corteo anti-Bush e anti-Prodi? Questa la domanda che sembra attanagliare la nostra discussione di questi giorni. Secondo me è una domanda sbagliata. Se è evidente l'errore compiuto da alcuni movimenti pacifisti e dalle forze politiche della sinistra nell'indire la manifestazione di piazza del Popolo, non credo che partecipare a un corteo indetto su una piattaforma inaccettabile e che non a caso ha visto una partecipazione significativamente più ridotta rispetto a quelle del recente passato, avrebbe evitato di esporre la sinistra a una dinamica negativa. C'era forse un altro modo - lo ha trovato perfino Andrea Riccardi - per manifestare il proprio radicale dissenso con la guerra di Bush.
Guardiamo le cose come stanno. Si può dire che il governo è stato carente un po' su tutti i fronti. Ma quello della politica estera è sicuramente un ambito in cui alcuni importanti cambiamenti ci sono stati: il ritiro dall'Iraq, l'impegno in Libano, il no a ulteriori truppe in Afghanistan e il non impegno di quelle lì presenti in azioni di combattimento, accompagnato dalla proposta di una conferenza di pace, la nostra linea sull'Iran, l'appoggio ai paesi arabi, il dialogo persino con le frange più estreme di quel mondo, lo smarcamento dalle politiche americane e il ritorno nel contesto europeo sono tutti elementi di forte novità. Certo: c'è stato un pesante strappo, gravido di conseguenze, operato personalmente da Prodi, sulla questione del Dal Molin, e il contenzioso nella maggioranza è evidentemente aperto. Però non valorizzare, per questa ragione, i successi ottenuti mi pare autolesionistico. Semmai ora il problema è lo scudo spaziale, e il contrasto a altre scelte di riarmo dell'amministrazione Bush.
Il punto fondamentale, per la sinistra, è quello di evitare due riflessi possibili di questa situazione. Il primo è quello «ipergovernativo» (essere unitari, ma non radicali) per cui occorre digerire qualsiasi rospo in nome della stabilità. D'Alema, in singolare sintonia con Bernocchi, si deve dare pace: si deve essere di lotta e di governo, e certo la sinistra non può seguire i pessimi esempi venuti dalla maggioranza dei Ds che, a forza di ingoiare rospi, ha finito col desiderarli. L'altro riflesso è invece il rifiuto del tema del governo (essere radicali, non unitari), coltivando l'illusione su quanto stavamo bene all'opposizione, la nostalgia di posizioni passate, o comunque la voglia di non combattere più e di rifugiarsi in uno splendido, un po' settario, molto inconcludente isolamento.
C'è una terza strada. Quella di essere unitari e radicali. Di provare a spostare l'asse del governo a sinistra (anche se a qualcuno non piace). Una strada che - per come è fatta la società politica - passa solo attraverso un accordo tra i gruppi dirigenti della sinistra per costruire un soggetto comune. Ma affonda le sue radici nel paese reale. Cosa ci chiede l'elettorato? E' semplice: vuole che otteniamo dei risultati. Vuole che il suo voto sia «utile». Vuole sapere di non avere sbagliato a votare.
I temi sul tappeto sono noti: il tesoretto, la legge 30, le pensioni, i salari, i contratti. Aggiungo la scuola, di cui poco si parla, ma che è in una sofferenza indicibile, le politiche abitative e i diritti civili. Su questi temi noi dobbiamo (e sottolineo: dobbiamo) portare a casa risultati concreti, in linea con il programma dell'Unione. Questi temi insieme costituiscono il banco di prova dell'efficacia della nostra azione come sinistra e la salvezza per lo stesso governo Prodi. Se non ci sarà svolta sulle questioni sociali il problema non si porrà per il Prc, ma sarà il governo a aver intrapreso una strada senza uscita, esaurendo in pochi mesi ogni rapporto di simpatia con l'opinione pubblica. I riformisti-moderati non sono in grado di rispondere alla sfida. Dovremmo farlo noi. Ma ora siamo in sofferenza.
Dobbiamo invece fare tesoro di quanto accaduto a Taranto, dove la sinistra si è presentata unita e ha sbaragliato tutti. Il problema è quello dell'unità delle forze della sinistra, che oggi, alla vigilia di queste sfide, è una vera e propria urgenza. Solo con l'unità possiamo determinare la svolta che auspichiamo. Se questa non è ancora avvenuta non è solo perché ci sono soverchianti forze avversarie. C'è anche una nostra responsabilità, una responsabilità della politica che non riesce ancora a seguire i tempi della società, degli apparati o dei «ceti politici» che resistono all'unità per ragioni di visibilità. I nostri elettori sono invece già uniti. E ci aspettano al traguardo.
Sabato e domenica c'è un appuntamento di grande rilievo, l'assemblea della Sinistra europea. Da lì devono arrivare parole molto chiare sui temi di merito e sul percorso unitario. Si sono fatti passi in avanti (penso all'assemblea dei parlamentari, occultata non a caso da buona parte dei media). Ma insisto: da subito occorre delineare un percorso ambizioso. Dal basso e dall'alto. Entro settembre convochiamo una assemblea pubblica, di massa, una costituente della sinistra. Facciamola precedere da assemblee in tutto il paese. Convochiamo le primarie sul programma. Chiediamo ai nostri elettori cosa vogliono da noi. Cosa fare su pensioni, casa, Dico, scuola, tasse, extragettito. Sulla politica estera e sullo scudo stellare. Diciamo loro che alle prossime elezioni troveranno un nuovo simbolo che ci rappresenta tutti (il simbolo di una coalizione politica, sociale, civile della sinistra), alleato, fin quando possibile, con i moderati del Partito democratico.
Per uscire dalle difficoltà bisogna lanciare il cuore oltre l'ostacolo. E' proprio ora, in un mare aperto e non molto tranquillo, che si misura la capacità della sinistra e dei suoi dirigenti di avere una funzione generale.
di PIETRO FOLENA da il Manifesto del 13 giugno 2007
Guardiamo le cose come stanno. Si può dire che il governo è stato carente un po' su tutti i fronti. Ma quello della politica estera è sicuramente un ambito in cui alcuni importanti cambiamenti ci sono stati: il ritiro dall'Iraq, l'impegno in Libano, il no a ulteriori truppe in Afghanistan e il non impegno di quelle lì presenti in azioni di combattimento, accompagnato dalla proposta di una conferenza di pace, la nostra linea sull'Iran, l'appoggio ai paesi arabi, il dialogo persino con le frange più estreme di quel mondo, lo smarcamento dalle politiche americane e il ritorno nel contesto europeo sono tutti elementi di forte novità. Certo: c'è stato un pesante strappo, gravido di conseguenze, operato personalmente da Prodi, sulla questione del Dal Molin, e il contenzioso nella maggioranza è evidentemente aperto. Però non valorizzare, per questa ragione, i successi ottenuti mi pare autolesionistico. Semmai ora il problema è lo scudo spaziale, e il contrasto a altre scelte di riarmo dell'amministrazione Bush.
Il punto fondamentale, per la sinistra, è quello di evitare due riflessi possibili di questa situazione. Il primo è quello «ipergovernativo» (essere unitari, ma non radicali) per cui occorre digerire qualsiasi rospo in nome della stabilità. D'Alema, in singolare sintonia con Bernocchi, si deve dare pace: si deve essere di lotta e di governo, e certo la sinistra non può seguire i pessimi esempi venuti dalla maggioranza dei Ds che, a forza di ingoiare rospi, ha finito col desiderarli. L'altro riflesso è invece il rifiuto del tema del governo (essere radicali, non unitari), coltivando l'illusione su quanto stavamo bene all'opposizione, la nostalgia di posizioni passate, o comunque la voglia di non combattere più e di rifugiarsi in uno splendido, un po' settario, molto inconcludente isolamento.
C'è una terza strada. Quella di essere unitari e radicali. Di provare a spostare l'asse del governo a sinistra (anche se a qualcuno non piace). Una strada che - per come è fatta la società politica - passa solo attraverso un accordo tra i gruppi dirigenti della sinistra per costruire un soggetto comune. Ma affonda le sue radici nel paese reale. Cosa ci chiede l'elettorato? E' semplice: vuole che otteniamo dei risultati. Vuole che il suo voto sia «utile». Vuole sapere di non avere sbagliato a votare.
I temi sul tappeto sono noti: il tesoretto, la legge 30, le pensioni, i salari, i contratti. Aggiungo la scuola, di cui poco si parla, ma che è in una sofferenza indicibile, le politiche abitative e i diritti civili. Su questi temi noi dobbiamo (e sottolineo: dobbiamo) portare a casa risultati concreti, in linea con il programma dell'Unione. Questi temi insieme costituiscono il banco di prova dell'efficacia della nostra azione come sinistra e la salvezza per lo stesso governo Prodi. Se non ci sarà svolta sulle questioni sociali il problema non si porrà per il Prc, ma sarà il governo a aver intrapreso una strada senza uscita, esaurendo in pochi mesi ogni rapporto di simpatia con l'opinione pubblica. I riformisti-moderati non sono in grado di rispondere alla sfida. Dovremmo farlo noi. Ma ora siamo in sofferenza.
Dobbiamo invece fare tesoro di quanto accaduto a Taranto, dove la sinistra si è presentata unita e ha sbaragliato tutti. Il problema è quello dell'unità delle forze della sinistra, che oggi, alla vigilia di queste sfide, è una vera e propria urgenza. Solo con l'unità possiamo determinare la svolta che auspichiamo. Se questa non è ancora avvenuta non è solo perché ci sono soverchianti forze avversarie. C'è anche una nostra responsabilità, una responsabilità della politica che non riesce ancora a seguire i tempi della società, degli apparati o dei «ceti politici» che resistono all'unità per ragioni di visibilità. I nostri elettori sono invece già uniti. E ci aspettano al traguardo.
Sabato e domenica c'è un appuntamento di grande rilievo, l'assemblea della Sinistra europea. Da lì devono arrivare parole molto chiare sui temi di merito e sul percorso unitario. Si sono fatti passi in avanti (penso all'assemblea dei parlamentari, occultata non a caso da buona parte dei media). Ma insisto: da subito occorre delineare un percorso ambizioso. Dal basso e dall'alto. Entro settembre convochiamo una assemblea pubblica, di massa, una costituente della sinistra. Facciamola precedere da assemblee in tutto il paese. Convochiamo le primarie sul programma. Chiediamo ai nostri elettori cosa vogliono da noi. Cosa fare su pensioni, casa, Dico, scuola, tasse, extragettito. Sulla politica estera e sullo scudo stellare. Diciamo loro che alle prossime elezioni troveranno un nuovo simbolo che ci rappresenta tutti (il simbolo di una coalizione politica, sociale, civile della sinistra), alleato, fin quando possibile, con i moderati del Partito democratico.
Per uscire dalle difficoltà bisogna lanciare il cuore oltre l'ostacolo. E' proprio ora, in un mare aperto e non molto tranquillo, che si misura la capacità della sinistra e dei suoi dirigenti di avere una funzione generale.
di PIETRO FOLENA da il Manifesto del 13 giugno 2007
Nessun commento:
Posta un commento