domenica 3 giugno 2007

La sinistra impopolare

I lavoratori del settore privato votano (prevalentemente) a destra. A prescindere dalla posizione e dal ruolo. Imprenditori e operai. Lavoratori dipendenti e indipendenti. Votano a destra. Come gran parte delle classi popolari. I lavoratori intermittenti, flessibili, part time. I pensionati. Le casalinghe dei ceti "periferici". Invece, vota (prevalentemente) a sinistra gran parte dei dipendenti pubblici, dei tecnici, delle figure intellettuali. I professori, gli impiegati e i funzionari degli enti locali e dello Stato. Anche i giovani votano a sinistra. Soprattutto i giovanissimi. Soprattutto se studiano oppure hanno conseguito un titolo di studio elevato (per cui, presumibilmente, svolgono un lavoro impiegatizio e intellettuale "pubblico").
Se, invece, hanno una formazione "professionale" ed entrano presto nel mercato del lavoro, allora anch'essi si orientano a destra. Non bisogna pensare, peraltro, che si tratti di un processo dettato dalla "deriva centrista e moderata" sfociata nel Partito Democratico. La base elettorale della sinistra radicale, infatti, è anch'essa "più" giovane, intellettuale, "pubblica" rispetto alla media.
Tutto ciò non costituisce una sorpresa, quanto ai lavoratori indipendenti e gli imprenditori. I quali non sono mai stati particolarmente di "sinistra". Anzi. Tuttavia, il solco che li separa dal governo Prodi e dalla maggioranza dell'Unione è divenuto un baratro. Nonostante il buon andamento del mercato e dei conti pubblici. Questione di istinto e di sentimento. Così, nel Nord "al di sopra del Po" il centrosinistra è divenuto una minoranza etnica. Più debole, di elezione in elezione. Resiste solo nelle aree metropolitane e nelle regioni a statuto speciale. Dove è più rilevante il peso del "pubblico".
Però, da qualche tempo, la sinistra arranca anche nei contesti economici più dinamici delle "zone rosse". Nei distretti industriali, ad esempio. Come mostrano gli studi di Francesco Ramella. Come hanno confermato i risultati delle elezioni amministrative di domenica scorsa. Tuttavia, il distacco fra il lavoro privato e la sinistra non riguarda solo il lavoro autonomo e gli imprenditori, ma anche quello dipendente. Soprattutto nelle aree più produttive. Nel Nord. Un distacco che si era ridotto durante gli anni del governo Berlusconi (come ha mostrato Roberto Biorcio in Itanes, Dov'è la vittoria?, pubblicato dal Mulino). Nell'ultimo anno, secondo i sondaggi, si è nuovamente allargato.
D'altronde, ciò non avviene solo in Italia. In Francia: il partito che raccoglie maggiori consensi nella classe operaia è ancora il FN di Le Pen. In Austria, il momento di maggiore successo del Fpoe di Haider si è verificato nei primi anni di questo decennio. Coincide con lo sfondamento nelle zone tradizionalmente socialdemocratiche. Dove ha raccolto il voto delle classi popolari.
Per cui si assiste, sempre di più, al controcanto fra una destra che si afferma nei settori privati, dinamici, innovativi e una sinistra che "resiste" nel settore pubblico. Protetto. All'ombra dello Stato. Fra una destra "popolare" e una sinistra "impopolare". Le ragioni per cui questo avviene sono molte e diverse. Non tentiamo neppure di riassumerle. Però è chiaro: il lavoro è cambiato profondamente negli ultimi trent'anni. Sono mutati i luoghi, i metodi e l'organizzazione della produzione. La classe operaia oggi pesa meno. Ma, soprattutto, il lavoro dipendente privato è sempre più diviso e frammentato. Mentre il ridimensionamento dello Stato sociale ne ha accentuato l'insicurezza. Decisiva ci pare la crescente "individualizzazione".
Il fatto che oggi chi lavora - non importa se in modo autonomo o indipendente - sia sempre più "solo". Più incerto. Destinato a divenirlo sempre di più. (Un "destino", quindi, che riguarda anzitutto i giovani. Flessibili, intermittenti, un debito pubblico enorme che dovranno"pagare" loro; come le pensioni che oggi percepiscono i loro nonni e i loro genitori).
Ma la sinistra è cresciuta insieme alla solidarietà. All'integrazione. Alla comunità. Alla sicurezza. Si trova a disagio di fronte all'individualizzazione che attraversa la società e il lavoro. Non è in grado di parlare a una "folla solitaria". Persone sole. Individui a cui altri individui - leader che riassumono per intero i partiti - comunicano per via mediatica. Le mancano la "professionalità", il linguaggio, per fare questo.
La sinistra. Se si allontana dai luoghi della produzione e del mercato. Se non evoca senso di "comunità" e sicurezza. Non ha futuro. Una sinistra separata dal passato e dall'idea di futuro (è pensabile?). Le rimane un presente incerto, instabile e precario. Come i ceti popolari che non riesce più a rappresentare.

di ILVO DIAMANTI da la Repubblica del 03 giugno 2007

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