martedì 31 luglio 2007

Il ministro Fabio Mussi critico sul protocollo-welfare: competitività non è solo tagliare il costo del lavoro

Chiarisce subito la sua posizione: «Voglio che il governo resti in carica, credo nella mediazione e nel dibattito parlamentare, ma non tollero che si faccia passare per ricatto quello che è un legittimo dissenso». Fabio Mussi, ministro della Ricerca fa parte di quel terzo della maggioranza contraria al Protocollo sul Welfare. Favorevole all´accordo sulle pensioni - «è un compromesso equilibrato» - non accetta la parte riguardante competitività e lavoro.

Ministro, il Protocollo venerdì andrà al Consiglio dei ministri e probabilmente sarà approvato. Lei cosa farà?
«Darò battaglia politica. E comincerò chiedendo che si apra un tavolo per discutere delle vere questioni riguardanti la competitività, e che il capitolo sul lavoro non sia inserito nella Finanziaria, ma presentato come disegno di legge, in modo da lasciar spazio al dibattito politico».

Perché è contrario a due delle tre parti del Protocollo?
«Perché per quanto riguarda la competitività se ne parla solo in termini di taglio del costo di lavoro. Su innovazione, ricerca, formazione, impegno da parte delle aziende non c´è nulla. Per quanto riguarda il lavoro cosa dire se non che rispetto alle aspettative il risultato è molto deludente?».

Rutelli ha appena detto che gli accordi non si toccano e che è ora di finirla con i ricatti.
«Non accetto che un atteggiamento critico meditato venga bollato come ricatto. Anche perché tutte le volte che Rutelli ha espresso un´opinione nessuno ha parlato di ricatti da parte del centro. Su questo punto voglio essere chiaro: c´è una sinistra parlamentare con 150 rappresentanti, la sua voce ha tutti i numeri per avere un peso. Il partito democratico non ha né i voti, né i seggi per aspirare ad un monocolore, quindi il programma comune va rispettato».

E se la coalizione litiga sul modo di leggere quel programma?
«Se ne parla. Il programma delle elezioni non va più bene? Si ricontratta, vediamo cosa far cadere e cosa mantenere».

I suoi colleghi della sinistra radicale dicono intanto di voler far ricorso alla piazza. Condivide questa posizione?
«Portare la gente in piazza è un rischio, io sono per un dibattito politico che incida sulla linea del governo. Ma se invece di manifestazione contro il governo parliamo di pubbliche discussioni, di immersioni nella realtà del paese bene, credo che ciò sarà buona cosa per tutti».

E se intanto che si dibatte il governo di cui si fa parte cade?
«Una caduta del governo per mano della sinistra è assolutamente da evitare, ma questo non vuol dire piegare la testa e accettare tutto quello che si decide nello spazio assai variegato del nascente partito democratico».

Qual è l'attacco più forte oggi, quello centrista o quello radicale?
«Vedo crescere le vocazioni centriste, ma collegandole alla nascita del Pd credo che la tendenza sia ineluttabile».

L'opposizione ha paragonato i ministri della sinistra radicale alla Banda dei quattro. Lei rivestirebbe il ruolo del «teorico» Zang Chunqiao. Come si trova in quella parte?
«Beh, allora voglio fare la parte della leader: Jiang Qing, la vedova di Mao».

di LUISA GRION da l'Unità del 31 luglio 2007

Giordano: «Programma stravolto. Liberi di votare contro»

Onorevole Giordano, il vicepremier Francesco Rutelli, nell'intervista al Corriere della Sera, è chiaro: basta ricatti delle minoranze.
«È un'intervista sconcertante. Rutelli dice: siccome comandiamo noi, a voi non resta che obbedire. Una concezione autoritaria della politica, e non dico altro... ».

Autoritaria o no, questa è la sua posizione. E anche Prodi vi ha avvertito che sul Welfare non torna indietro.
«Rutelli ha cancellato la parola che ci teneva uniti, cioè il programma. Ora il programma non c'è più. E allora bisogna ricontrattare tutto daccapo».

Ossia?
«Il programma per noi era un vincolo di fiducia. Non c'è più e io non posso sentirmi rappresentato da un presidente del Consiglio e da due vicepremier che appartengono allo stesso partito».

Che significa?
«Significa che da ora in poi ci deve essere un luogo collegiale, e questo vale non solo per le decisioni della maggioranza, ma anche per quelle del governo, in cui si decidono insieme tutti i provvedimenti. Prima non ce n'era bisogno perché c'era il programma in cui ci riconoscevamo tutti. Ora che non è più così non si può pensare che io mi affidi ai rappresentanti del Pd nell'esecutivo ».

Ma Rutelli ha detto un'ovvietà, ossia che la forza maggiore del centrosinistra, l'Ulivo, insomma il Partito democratico che verrà, terrà il timone del governo. Potrebbe essere il contrario?
«Rutelli è anche simpatico per certi versi. Sembra uno che ha aperto una scuola guida e che si dà da solo la patente. Ma io gli chiedo: ah, Rutelli, chi ti ha dato la patente?».

Scusi, Giordano, però la sinistra radicale non può neanche pretendere di dettare l'agenda del governo e di distribuire patenti.
«La verità è che noi in questo anno e mezzo siamo stati sin troppo leali...
e siamo stati facili profeti quando abbiamo detto che il Partito Democratico avrebbe destabilizzato il governo. Basta leggere l'intervista di Rutelli e il suo "manifesto" per capire che il vicepremier ha messo in mora non solo il programma del centrosinistra ma l'Unione stessa. E a noi viene riservato il posto che hanno le minoranze nel Labour Party o nella Spd. Peccato che tutta la sinistra unita non sia né una minoranza né un'articolazione insignificante del Pd».

Sarà vero quello che lei dice, Giordano, dopodiché Rutelli pone un problema.
«Rutelli dice che noi ricattiamo il governo. Non è così. Ma non voglio neanche essere ricattato io: non mi si può porre di fronte all'alternativa o fate così o arriva Berlusconi».

Ma l'alternativa è quella
«E io mi ci sottraggo. Se la riforma delle pensioni e l'accordo sul Welfare non vengono cambiati, noi in Parlamento voteremo contro ».

Anche a costo di far cadere il governo?
«Le ripeto, io a questo gioco non ci sto: se questi provvedimenti non cambiano noi non li voteremo. Non accetto questo ricatto anche perché Rutelli punta alla cancellazione non della sinistra radicale ma della sinistra "tout court". A questo punto la collocazione neocentrista del Pd è chiarissima: questo rende ancor più necessaria la creazione di un nuovo soggetto della sinistra del Pd è chiarissima. E questo rende ancor più necessaria la creazione di un nuovo soggetto della sinistra, che non accetti la trappola del prendere o lasciare. Noi in autunno mobiliteremo il popolo del centrosinistra che è stato defraudato, con la costruzione del Pd, del suo programma e della sua coalizione».

Sia sincero, Giordano, se Prodi, come dice il suo portavoce Silvio Sircana, non farà un passo indietro, lo farete voi.
«No».

Scusi l'insistenza, anche a costo di fare cadere il governo?
«Insistenza per insistenza, io insisto: se la mobilitazione sociale di settembre non riuscirà a cambiare quei provvedimenti, noi voteremo contro».

E non vi sentirete responsabili degli esiti di una simile decisione?
«Responsabili? Io non so chi frequenti Rutelli in questo periodo, so che lui ha come punto di riferimento un generico cittadino consumatore, noi dobbiamo difendere gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, dobbiamo ricostruire lo spirito dell'Unione ed evitare una clamorosa rottura tra categorie sindacali. Se questa è una colpa, allora noi siamo colpevoli».

Colpevoli, dice qualcuno, anche di difendere i garantiti, ossia i pensionati, rispetto a coloro che garantiti non sono, ossia i precari.
«Falsissimo. La lotta al precariato è uno dei nostri obiettivi. Era il leit motiv della campagna elettorale dell'Unione, a dire il vero. Ma ora non se ne parla più, se non per usare strumentalmente i giovani contro i diritti dei lavoratori e dei pensionati. Il problema è che, come si deduce sentendo il ministro dell'Econom ia, Tommaso Padoa-Schioppa, per alcuni le coperture finanziarie non ci sono, mentre per le imprese ci sono sempre. Questa è la linea dei tecnocrati, ed è la linea monetarista della Confindustria, di cui il Partito democratico si è fatto portatore».

Ma è proprio sicuro, Giordano, che il suo non sia solo un problema di visibilità?
«La sinistra non ha nessun patema di questo tipo. Noi ci atteniamo al merito dei problemi, sperando di non continuare a subire condizionamenti esterni dalla politica di cui il Pd è allo stesso tempo veicolo e volano».

di MARIA TERESA MELI da Liberazione del 31 luglio 2007

lunedì 30 luglio 2007

Il segretario Fiom, Gianni Rinaldini: «Epifani risponda al governo e non firmi»

«A fronte della durissima lettera di Prodi, la Cgil dovrebbe prendere una posizione altrettanto netta e non firmare l’accordo. È tempo che il sindacato torni a giocare il proprio ruolo. Pesa troppo la minaccia che aprire un conflitto può determinare una crisi di governo. Non è affatto così, dobbiamo liberarci da questo spettro». Parla il segretario generale della Fiom-Cgil, Gianni Rinaldini, che boccia senza riserve il protocollo su lavoro, welfare e previdenza. E definisce «ineludibile» l’aprirsi della discussione sul futuro della Cgil.

Rinaldini, al direttivo sull’accordo lei però si è astenuto.
«Ma la mia astensione non riguardava il merito. Figuriamoci, sono contrario anche alla parte sulle pensioni... È che sono stati presentati documenti contrapposti, e a fronte di questo mi sono rimesso alla consultazione dei lavoratori, a settembre. Parentesi: anche il comitato centrale della Fiom, come gli altri, voterà, sia sull’accordo che sul contratto, il 10 e 11 settembre. Nella mia dichiarazione di voto, l’altro giorno, ho anche sottolineato che da questa vicenda emerge chiaramente il problema del ruolo del sindacato, tanto più con un governo di centrosinistra».

Significa che ne è stato troppo “ostaggio”?
«Il sindacato ha due principali strumenti: la partecipazione e la mobilitazione dei lavoratori. Se abdica alle sue funzioni, tutto finisce per svolgersi solamente tra forze politiche. Io dico che il confronto sindacale viene troppo spesso subordinato al mantenimento dell’equilibrio politico. E così peraltro si corre il rischio di aprire una frattura profonda con i lavoratori».

È chiaro che in questo momento la Cgil è in difficoltà. Qual è lo scenario più plausibile?
«Il punto è che, dopo aver già incassato l’accordo sullo scalone, la Cgil ha pure dovuto subìre un atto deliberato di umiliazione da parte di Prodi: non può certo far finta di non sapere che su lavoro e straordinari le scelte del governo sono antitetiche a quelle che la Cgil ha sempre espresso. Dico: qui la scelta è di incentivare gli straordinari, come propone Sarkozy in Francia. E il precariato: con la storia del timbro può finire che uno si fa tre anni da interinale, e altri tre con contratti a termine. Gli scenari aperti sono diversi. Credo che la Cgil non dovrebbe firmare del tutto, ma penso sia possibile firmi solo una parte, il che però la lascerebbe con un accordo separato su temi così rilevanti. Molto complicato sarebbe firmare integralmente, e delegare di fatto alle forze politiche ogni possibilità di miglioramento».

In tutto questo, si parla anche di ridiscutere il modello contrattuale. L’altro giorno il responsabile Industria per la Cgil Guzzonato si è detto disponibile al confronto, e ieri è tornato in tema anche il ministro Damiano, favorevole al rinnovo triennale.
«Chiacchiere. Dichiarazioni sbagliate. Se ne discute dopo aver chiuso i contratti aperti, a partire da quello dei meccanici. Guzzonato è responsabile dell’Industria? Io considero la sua l’opinione personale di uno dei sei milioni di iscritti della Cgil».

di LAURA MATTEUCCI da l'Unità del 29 luglio 2007

domenica 29 luglio 2007

Ruffolo: «Siamo tutti riformisti»

«Quel che mi riesce impossibile da capire, è la distinzione tra sinistra riformista e sinistra radicale. Nessuno propugna più la rivoluzione contro le riforme, o sbaglio?». Comincia con una domanda dell’intervistato, l’intervento di Giorgio Ruffolo - uomo della cultura di programma socialista - nel dibattito sulla «sinistra smarrita». Replica alla domanda: Lei sa bene che tutto dipende dalla parola stessa: riformismo. C’è chi la tira di qua e chi di là. Da destra da sinistra, e magari in termini di schieramenti di “nuovo conio”, vedi Rutelli...». «Vero - dice Ruffolo - e allora chiariamo. Riformismo, da sinistra, non è certo assecondare gli equilibri esistenti. Bensì farli evolvere in avanti. Modificando i rapporti di forza tra i ceti sociali». Non significa perciò assecondare il capitalismo? «No, vuol dire fare avanzare tutti. Introdurre giustizia democrazia, regole per l’ambiente. E promuovere i bisogni sociali. E poi il capitalismo non è una forza naturale eterna. Benché si sia rivelato imbattibile nel produrre ricchezza, fino ad oggi».
Dunque Professore, la sinistra ha una missione specifica? «Sì, emancipativa! Opposta alla subalternità rispetto agli assetti dati, pur dentro compatibilità realistiche. È su questo che si misurano la destra e la sinistra. Non in relazione a criteri ideologici o topografici. Tipo: a sinistra contro l’America, a destra a favore. A sinistra con gli arabi, a destra contro...». Bene, ma facciamo qualche esempio concreto. La sinistra deve difendere uno stato sociale universalistico, o modellarlo secondo le esigenze dell’impresa privata? «Lo stato sociale universalistico - per la sinistra - è irrinunciabile. Tutti hanno diritto ai servizi fondamentali, senza i quali non ci sono né persone né diritti. Né eguaglianza, né libertà. Ben per questo Jospin diceva: economia di mercato sì, società di mercato no. Slogan ancora buono, da sottoscrivere. Il problema è come trovare le risorse, in una situazione in cui la pressione fiscale è avvertita come intollerabile». Giusto, ma evasione fiscale a parte, non è certo di sinistra togliere ai poveri... per dare ai poveri. Come si vuol fare con le pensioni: diminuendo i rendimenti e alzando l’età pensionabile. Ai danni dei lavoratori che versano i contributi, e col pretesto di voler finanziare formazione e ammortizzatori sociali. «Le rispondo così. Sulle pensioni s’è fatto dell’allarmismo, visto che l’età media effettiva del pensionamento in Italia non è lontana da quella europea. Tuttavia un problema di riequilibrio, tra base contributiva e allungamento della vita media, esiste. E in fondo quello trovato dal centrosinistra al governo mi pare un buon compromesso: allungamento dell’età lavorativa, spalmato gradualmente. Che rispetta i diritti acquisiti, e guarda agli equilibri di bilancio. Il punto però resta: come finanziare il nuovo welfare, oltre alle pensioni?». Già, come? «Credo che la soluzione stia nel “welfare market”, cioè nell’adottare una modalità cooperativa e associativa nel campo dei servizi. Insomma: l’impresa sociale-privata. Che può scaricare lo stato da molti oneri, e integrarlo». La prendo in parola, Professore. Ma perché allora non estendere lo schema anche all’economia privata? Magari senza illudersi di dover fare finanza cooperativa, sganciata da fini mutualistici... «Credo che il movimento cooperativo resti un’idea-forza della sinistra, oltre che una grande realtà economica figlia della tradizione socialista. Ma va detto che l’impresa privata classica ha un motore più forte, senza i vincoli di quella cooperativa. Ottima quest’ultima sul territorio, nella distribuzione, ma ancor più promettente nel campo chiave della solidarietà: i servizi sociali. È in questa direzione che va spinta, non in quella di un’improbabile competizione sul piano finanziario, che rischia di snaturare la mutualità e di renderla irriconoscibile. Aggiungo: inutile voler entrare nel salotto buono della finanza. Si finisce col confondere le regole dell’economia con il ruolo della politica. E una politica di sinistra non deve mescolarsi con l’economia, bensì guidarla e regolarla».
Veniamo a un tema classico, keynesiano e di sinistra: la piena occupazione. La sinistra deve promuoverla, o contentarsi di un lavoro perennemente flessibile e precario, da plasmare e «formare» alla bisogna? «No, la piena e buona occupazione deve essere obiettivo primario per una vera sinistra. Altrimenti facciamo del lavoro una merce come un’altra. Mentre è una questione di dignità, di identità. Che non tocca solo la sfera dello scambio e della prestazione materiale, ma l’intero arco delle relazioni umane. Sicché il mio criterio è il seguente: graduare la flessibilità a seconda delle età della vita. Vi sarà quindi un periodo di apprendimento e di flessibilità, nella vita di ciascuno. Che alla fine culminerà, o dovrebbe culminare, in un lavoro stabile, frutto di esperienze diversificate. Oltretutto un lavoro perennemente precario, non aiuta un’economia di qualità». Torniamo al capitalismo. Tra i suoi Mantra c’è la «concorrenza». E però c’è chi come Sarkozy - da destra! - espunge quell’imperativo dalla Costituzione europea. Che ne pensa? «Sarkozy, uomo abilissimo ed egemonico, fa benissimo a demistificarne l’aura sacrale. Anche da sinistra si può, e si deve dire: la concorrenza è un mezzo. Un vincolo di cui tener conto. Non l’obiettivo supremo di una società giusta».

E ora parliamo del Partito democratico, verso il quale parte della sinistra si avvia. Lei - che all’inizio fece parte del Comitato dei tredici per il manifesto inaugurale - ne è uscito subito. Come mai? «Perché mi sono accorto che su temi chiave il Pd era elusivo. Il primo è quello della collocazione internazionale del nuovo partito. Un problema esistenziale, rimasto inevaso. Chiedo: dove si schiererà il Pd in Europa? Non basta dire che si muoverà tra i demo-liberali e i socialisti. Che allargherà le frontiere. No, la sinistra europea che conta è il socialismo europeo. E senza tale ancoraggio, la nuova creatura sarà fragile e incerta. Il secondo punto di dissenso concerne la mancanza di un vero orizzonte progettuale. Che tipo di società propugna il Pd? Quali finalità generali? Quale economia? Tutto questo non è chiaro, benché la nuova leadership di Veltroni abbia reso più credibile questa scommessa, infondendole maggiore autorevolezza e incisività». Scusi Professore, ma il Pd non inclina verso un forte ridimensionamento del ruolo del lavoro, come asse del blocco sociale di riferimento? Massimo Cacciari per esempio, dice che privilegiare il lavoro dipendente è «reazionario», a fronte delle nuove figure sociali emergenti... «Guardi, sappiamo bene che la geografia sociale si è arricchita e che il lavoro è mutato! Ma Cacciari sbaglia, se pensa che il profilo del lavoro coincida con quello dell’individualismo di mercato, fatto di tante figure che scambiano le loro prestazioni. Ciò non corrisponde al peso maggioritario del lavoro dipendente. E non è nemmeno accettabile come paradigma etico». Ultima questione, l’Europa. La si è magnificata, caro Ruffolo. Ma appare sempre più come un recinto di scambi, finanza e regole monetarie. Domanda: che cosa ha fatto il socialismo europeo per fare dell’Europa una potenza democratica sovranazionale? «Senza dubbio pochissimo. E se consideriamo che fino a pochi anni fa erano 13 i governi a guida socialista su 15, allora il Pse deve prendersela solo con se stesso». Il Pse avrebbe dovuto contrastare gli alti tassi della Bce e promuovere così politiche di piena occupazione? «No, la Banca centrale fa il suo mestiere: controlla il tasso di inflazione. Il punto è un altro. Ci sarebbe voluta una politica economica in grado di attrarre capitali, per farne il volano di uno sviluppo forte. Parlo di grandi progetti infrastrutturali, per canalizzare risorse e farle fruttare in termini di indotto e opportunità di investimento. Era l’idea di Jacques Delors: del tutto dimenticata! E poi non è questione di Euro forte o meno. Semmai di come usare l’Euro forte. E qui che l’Europa e la sinistra sono mancate. Totale assenza di politiche industrali ed economiche...».

E la laicità, professore, non è un altro dei punti dolenti del Pd? «Giusto, quasi ce ne dimenticavamo. È un altro dei punti inevasi del Pd. E anche qui, è questione di dignità. Dignità del lavoro, della vecchiaia, delle donne, dei giovani, dei deboli. E dignità dei non credenti. Non mi pare che sia risultata centrale, negli intenti del Pd. E si tratta di una questione non negoziabile sul piano dei principi». Insomma professor Ruffolo, malgrado i suoi «paletti», il Pd sembra averla delusa per ora, o no? «Io gli auguri a Veltroni li ho fatti. Lui può farcela, a prescindere dalla ridda dei conflitti interni ed esterni sulla strada del Pd. Quanto all’essere deluso, non posso esserlo... Perché è da tanto tempo che non mi illudo più».

di
BRUNO GRAVAGNULO da l'Unità del 28 luglio 2007

La Chiesa non detti legge

Il Paese è pronto, le istituzioni no: Umberto Veronesi riassu­me senza troppi giri di parole il dibattito in corso sul testamen­to biologico. E la vera ragione della paralisi decisionale sui temi che vengono definiti "eticamente sensibili" è il veto che dai palaz­zi d'Oltretevere riecheggia nelle stanze della politica.
Il professore, con la franchez­za che gli è propria, dice sostan­zialmente che nessuno, da una parte e dall'altra, vuole fare nulla «che non piaccia al Vaticano». Problema che, in verità, nel cen­trosinistra riguarda in particolar modo il Partito democratico di Walter Veltroni, leader invece apprezzato dall'ex ministro della Sanità che ha voluto, con altre personalità, sostenere l'appello "Fare un'Italia nuova". Quanto alla presenza nel Pd di un'ag­guerrita componente teodem, il "tecnico" Veronesi è drastico: «Sono contrario a tutte le limi­tazioni ideologiche delle grandi scelte individuali».

In Italia, sono maturi i tem­pi per discutere di una legge sul cosiddetto testamento biologico? E' -come sostie­ne il senatore Ignazio Ma­rino - un ar­gomento che appassiona la gente?
A giudica­re dalla quan­tità di italiani che mi hanno scritto – da quando due anni fa la mia Fondazione ha iniziato la campagna a favore del testamento biologi­co - direi di sì. La popolazione ha reagito immediatamente alla campagna di informazione e so­no molte migliaia le persone che continuano a rivolgersi alla Fon­dazione per avere informazioni e sapere che fare. Il Movimento che ne è nato, formato da giuri­sti, uomini di cultura e membri della società civile, è stato così forte da indurre appunto il Par­lamento alla discussione di una legge. Forse non possiamo dire che l'argomento "appassiona" , ma possiamo affermare che cer­tamente culturalmente i tempi sono maturi, anche perché il pro­blema dei trattamenti di fine vita è sempre più evidente e urgente. Oggi negli ospedali ci sono casi che vengono alla ribalta, come quello di Eluana Englaro, e ce ne sono molti altri che riman­gono silenti. Quanti? Decine o centinaia? E come vengono ge­stiti, ufficialmente non sempre si sa. E' dunque giunto il momento di affrontare il problema. A non essere pronta è piuttosto la poli­tica e le istituzioni in senso lato. Non è del resto il primo e unico esempio di un dibattito etico-scientifico affossato per ragioni ideologiche e partitiche.

Il testamento biologico è parte integrante del program­ma dell'Unione: cosa pensa del dibattito parlamentare in corso al Senato in Commissione Sa­nità: è possibile arrivare a un risultato?
Vi sono ormai una decina di proposte per una legge, tutte simili e tutte in linea con le legislazioni di molti altri Paesi. Ma il dibattito si perde in mille discus­sioni su dettagli che sembrano voler nascondere la vera ragione della paralisi decisionale: una legge sul testamento biologico non è gradita dalla Chiesa, e anche a sinistra, come prima a destra, non si vuole fare nulla che non piaccia al Vaticano.

Per alcuni la discussione po­litica sul testamento biologico è l'occasione per alzare il velo sul "fine vita", per altri è uno «spre­co di tempo» su una legge di importanza secondaria, o anco­ra un mezzo per introdurre un «abbandono terapeutico» non distante dall'eutanasia (Avve­nire). Perché è, invece, necessa­rio secondo lei colmare questa lacuna normativa?
Intanto va detto che il testa­mento biologico può ammettersi ed essere considerato valido, già oggi nel nostro ordinamento. In primo luogo per l'articolo 32 della Costituzione, sotto il profilo della liceità degli atti di disposi­zione del corpo e dell'integrità personale che rispettano i limiti di legge, così come della tutela della privacy e del potere di au­todeterminazione in una materia che tocca profondamente la li­bertà e il destino della persona. In secondo luogo perché è la logica estensione del consenso informato che è obbligatorio in Italia.

Ma a quanto pare non è suf­ficiente.
Una legge è opportuna per­ché oggi il testamento biologico come espressione di volontà ha la possibilità di essere preso in con­siderazione soltanto attraverso un passaggio ma deontologico, vale a dire se i medici curanti ravvi­sano nelle terapie che dovrebbe­ro essere praticate il carattere di "cure inappropriate", in quanto il malato è giunto alla fine della vita e non può guarire. Si tratta evidentemente di un criterio di­screzionale (la decisione di so­spendere le cure può cambiare da medico a medico ed è difficilissima da prendere) e quindi si avverte l'esigenza di una legge che tuteli l'inalienabile diritto del malato a prender parte alla deci­sione di come morire. Una legge sarebbe utile anche per i medici, perché li aiuterebbe a prendere le decisioni tenendo conto delle volontà del malato. Anzi dei valori del malato. Non dimentichiamo che il testamento biologico non esprime una decisione precisa del paziente (io voglio-non voglio quella cura) ma appunto un valo­re (io voglio-non voglio una vita artificiale). Dunque la decisione terapeutica vera e propria rimane al medico, che però, in presenza di un testamento biologico, deve tener conto anche del progetto di vita del malato.

La questione testamento biologico divide e crea tensioni anche nel costituendo Partito democratico in cui si incontra­no sensibilità differenti (mi rife­risco in particolare ai cosiddetti "teodem"): che effetti potrebbe avere?
In teoria non dovrebbe, per­ché la Chiesa è contro l'accani­mento terapeutico e non ha nulla contro il consenso informato. «Uno Stato laico non può ob­bligare un malato a vivere contro la sua volontà, attaccato a una macchina; per chi non l'accetta è un'imposizione che si avvicina alla tortura»: sono le parole, mol­to coraggiose, di Vito Mancuso, teologo del San Raffaele. Certo, il principio laico della "responsabilità della vita", che ispira il testamento biologico e gli altri atti a favore del­l'autodeterminazione del malato, non si concilia con il principio di "sacralità della vita" proprio della Chiesa cattolica: Dio da la vita e Dio la toglie. Tuttavia se pensia­mo che il testamento biologico altro non è che l'estensione logica del consenso informato alle cure, il quale, tra l'altro, ribadisce le centra­lità dell'uomo sofferente di fronte ai progressi della tecnologie e della scienza biomedica, si potrebbe, sulla base di questo principio fondamen­tale, trovare un consenso fra forze laiche e cattoliche. Occorre però evitare la "politicizzazione" delle idee, cioè la trasformazione in stru­mento politico del credo personale, sia esso fede in Dio o nella Ragione.

In tema di diritti, come do­vrebbe vincere, secondo lei, la sfi­da delle riforme una maggioranza che si definisce "riformista"?
Basterebbe rispettare quelli fondamentali, che formano la base della società civile: libertà, la tolle­ranza e la solidarietà. Sono convin­to del diritto/dovere all'autodeter­minazione: penso che dovremmo essere liberi di ricercare il nostro benessere, di amare, di avere figli, di formarci o non formarci una fa­miglia, di avere cure mediche, una giustizia equa, un'istruzione ade­guata agli standard mondiali, al la­voro, alla procreazione responsabi­le, alla scelta del proprio domicilio, alla programmazione consapevole della propria vita, compresa la sua fine. Sono contrario a tutte le limitazioni ideologiche delle gran­di scelte individuali. Ovvio che la libertà del singolo deve conciliarsi con quella degli altri e qui entrano in gioco la tolleranza e la solida­rietà.

A proposito di limitazioni ideologiche, i dati dell'Istituto superiore di Sanità relativi ai pri­mi tre anni di applicazione della legge 40 parlano chiaro: la nor­mativa sulla procreazione assi­stita non funziona. Cresce la per­centuale dei trattamenti con esito negativo, aumentano gli aborti, si diffonde il fenomeno delle "mi­grazioni". Cosa si aspetterebbe a questo punto?
Il problema è profondo e la fe­condazione assistita è solo la punta di un iceberg. Ciò che vorrei è che il mondo politico prendesse coscien­za che il nostro Paese si trova in una situazione di rischio non solo di non-sviluppo ma addirittura di regressione, soprattutto per il clima culturale che si respira diffusamen­te, in cui il pensiero scientifico è vi­sto con sospetto, se non con timore, o addirittura con ostilità, e in cui serpeggia, più o meno subdola­mente, un movimento antiscienti­fico che potrebbe oscurare il futuro dei nostri figli e già sta oscurando il presente, come dimostrano appun­to i dati sulla legge 40.

Addirittura oscurare il futuro?
I fatti: nell'area della genetica non possiamo fare ricerca sulle cel­lule staminali embrionali e neppure sperimentare le enormi potenzialità degli ogni in agricoltura per ragioni ideologiche. Nell'area della medici­na non possiamo praticare le tec­niche più avanzate di fecondazione assistita, per le quali si è creato un flusso migratorio, riservato ai più ricchi, verso i Paesi con una legisla­zione più evoluta. Sembra che l'Ita­lia stia chiudendo ideologicamente le frontiere alla scienza e il risultato è che i più ricchi non rinunciamo al progresso e vanno oltre le frontiere. Basta pensare a quanti giovani (non certo di famiglie povere) vanno a studiare all'estero dove la scuola è più innovativa. E' giusto aggiunge­re privilegi a privilegi condannando il resto del Paese a diventare, come ha scritto Enrico Bellone, «un'ap­pendice turistica del mondo civile»? Per questo ciò che c'è da aspettarsi veramente non è tanto, o non solo, una revisione della legge 40, ma un atteggiamento politico diverso nei confronti della scienza in generale.

Si fa un gran parlare dì an­tipolitica o nel migliore dei casi di insofferenza verso una classe politica poco in sintonia con la "gente". Il dibattito sui temi che riguardano la sfera dei diritti potrebbe essere un modo per ridare smalto e cre­dibilità alla politica?
Il Paese è dispera­tamente alla ricerca di una guida intellettuale e si avverte un grande biso­gno di un movimento che veda nella forza della ragione la guida e l'orientamento per il suo sviluppo. Certo il dibattito sui di­ritti civili potrebbe essere una via, ma dovrebbe essere libero dai con­dizionamenti ideologici e teologici che possano limitare l'espressione dei grandi valori di cui parlavamo prima: libertà, tolleranza e solida­rietà. La mia impressione, come ho già detto, e che il Paese è pronto, ma le istituzioni no.

Lei è stato per un non breve periodo ministro della Sanità, recentemente ha scritto (Repubbli­ca) che aveva elaborato un piano che non è mai stato realizzato. Cosa porta con sé di quell'espe­rienza trascorsa nei palazzi della politica?
Mi riferivo al piano per l'am­modernamento del sistema ospedaliero italiano, che prende spunto dal concetto di ricollocare il pa­ziente al centro della cura. La mia esperienza politica come ministro della Sanità per poco più di un anno è stata molto illuminante sulla necessità di continuare ad aumen­tare la consapevolezza della gen­te, di combattere l'immobilismo ideologico e di creare un cultura della scienza, non solo biomedica. Ho avuto conferma che è impor­tante parlare e far parlare delle ma­lattie, cioè saper comunicare con chi è malato e saper sensibilizzare chi non lo è. Anche per questo ho cercato di favorire l'introduzione di una materia che riguardasse la salute, gli stili di vita, nelle scuole. Quando ho steso la legge contro il fumo di sigaretta nei luoghi pub­blici, nel 2000, ce stata una note­vole reazione negativa da molte parti, ma con il dialogo e l'infor­mazione le cose sono cambiate e, quando la legge è stata approvata dal Parlamento alcuni anni do­po, la popolazione era maturata e l'applicazione è stata integrale e indiscussa.

Insomma, il primo mostro da combattere è la non conoscenza?
Credo sia fondamentale par­lare nelle scuole di tumori, Aids, droghe, alimentazione, attività fììisica. La vera prevenzione è la co­noscenza, l'informazione. Nozioni semplici, spiegate laddove risulti­no complesse, ma che creino nel giovane, adulto poi, l'interesse ver­so la prevenzione e la possibilità di conoscere le malattie, come evitar­le o procrastinarle. L'informazione è fondamentale per aiutare tutti i cittadini a comprendere e ad ascol­tare il linguaggio della scienza e a diventare così protagonisti consa­pevoli delle scelte che riguardano la propria salute e quella dei propri cari. Significa anche tenere vivo, a livello sociale, il dibattito cultura­le sui grandi dilemmi umani da sempre legati al progresso della scienza, senza il quale, l'abbiamo detto, non c'è futuro.

di RAFFAELLA ANGELINO da La Rinascita dellla Sinistra del 26 luglio 2007

sabato 28 luglio 2007

Giovanni Pesce: «Abbiamo scelto di vivere liberi...»

Da viale Romagna si raggiunge Piazzale Loreto lungo un rettilineo fino in via Porpora e si svolta a sinistra. Dappertutto cordoni di repubblichini: militi dietro militi, sempre più fitti, sempre più lugubri. In Piazzale Loreto urla folla sconvolta e sbigottita. Si respira ancora l'odore acre della polvere da sparo. I corpi massacrati sono quasi irriconoscibili. I briganti neri, pallidi, nervosi, torturano il fucile mitragliatore ancora caldo, parlano ad alta voce, eccitatissimi per aver sparato l'intero caricatore.
Sbarbatelli feroci, vicino a delinquenti della vecchia guardia avvezzi al sangue ed ai massacri, ostentano un atteggiamento di sfida volgendo le spalle alle vittime, il ceffo alla folla. Ad un tratto irrompe un plotone di repubblichini, facendosi largo a spinte e a colpi di calcio di fucile e andando a schierarsi vicino ai caduti.
"Via via, circolate", urlano. Spontaneamente il popolo è accorso verso i suoi morti. Ora la folla, ricacciata, viene premuta fra i cordoni dei tedeschi e dei fascisti. Urla di donne, fischi, imprecazioni. "La pagheranno!".
I repubblichini, impauriti, puntano i mitra sulla folla. Dall'angolo della piazza scorgo lo schieramento fascista accanto ai nostri morti. Potrei sparare agevolmente se i fascisti aprissero il fuoco. In quel momento, fendendo la calca, si fa largo una donna: avanza tranquilla, tenendo alto un mazzo di fiori; raggiunge le prime file, vicino al cordone dei repubblichini, come se non vedesse le facce livide e sbigottite degli assassini; percorre adagio gli ultimi passi.
Scorgo da lontano quella scena incredibile, un volto mite incorniciato da capelli bianchi, un mazzo di fiori che sfila davanti alle canne agitate dei fucili mitragliatori. I fascisti rimangono annichiliti da quella sfida inerme, dall'improvviso silenzio della folla. La donna si china, depone i fiori, poi si lascia inghiottire dalla folla. Comincia cosi un corteo muto, nato come da un improvviso accordo senza parole.
Altre donne giungono con altri fiori passando davanti ai militi per deporli vicino ai caduti. Chi ha le mani vuote si ferma un attimo vicino alle salme martoriate. Per ogni mazzo di fiori ci sono cento persone che sostano riverenti.
Si odono distintamente i rumori attutiti dei passi e si colgono i timbri alti delle voci. Accanto a me uno bisbiglia: "Vede quello li sulla sinistra? Tentava di scappare. Appena era sceso dal camion si era diretto di corsa verso una via laterale. Credevamo che ce l'avrebbe fatta. Era già lontano. L'hanno riportato indietro che zoppicava, ferito ad una gamba. L'hanno spinto accanto agli altri, già schierati, in attesa."
L'ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente. Quel riso indica l'infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l'umano dolore, l'angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte.
Loro ridono. Hanno appena ucciso 15 uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall'altro la civiltà. I cordoni di repubblichini sono sempre fitti. Ad ogni passaggio, ad ogni posto di blocco, mi imbatto nella loro insolenza, nella loro spavalda vigliaccheria: mitra ostentati, bombe a mano al cinturone, facce feroci, lugubri camicie nere.
Ancora una volta, come in Spagna di fronte alla spietata ferocia degli ufficialetti nazisti, si rivelano i due mondi in antitesi, i due modi opposti di concepire la vita.
Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e ad uccidere. Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l'assassinio "un esempio."
La belva ormai incalzata da ogni parte, si difende col terrore.
Mi rifugio in casa. Mi raggiunge nel pomeriggio una staffetta. I repubblichini hanno sparato in aria per allontanare la folla che sfilava davanti ai caduti. Il giorno successivo alla Vanzetti, alla Graziosi, alle Trafilerie, alla Motomeccanica, alla O.M. ecc., gli operai abbandonano il lavoro in segno di protesta; alla Pirelli le maestranze si riuniscono in silenzio. Ora tocca a noi.
Nella medesima notte prepariamo otto bombe ad alto potenziale. Il tecnico, abituato ad un lavoro di precisione, esprime le sue preoccupazioni, ma si piega alle necessità. Il giorno dopo, all'alba, io, Narva e Sandra ci troviamo nella chiesa di via Copernico per la consegna dell'esplosivo. Il parroco si accinge a celebrare la prima messa, avanzando silenziosamente dalla sacrestia. Nella chiesa, deserta, regna un silenzio profondo, una pace incredibile. Arriva il tecnico con le borse. Il prete assiste alle consegne, immobile fra i chierichetti. Comprende? Non so.
Usciamo. Accompagno le ragazze all'appuntamento con Conti e Giuseppe, per l'ultimo scambio delle borse.
"Vi proteggerò le spalle, " dico, " calma e sangue freddo. Non ci sarà nessuna sorpresa."
I due gappisti con la calma e la sicurezza di professionisti, depositano le bombe, si eclissano in una viuzza scambiandosi un rapido cenno di saluto. Una, due, tre esplosioni scuotono l'aria, infrangono i vetri. Il ritrovo ufficiali del comando tedesco è devastato come un campo di battaglia. Abbiamo disposto le cariche in modo che gli esplosivi deflagrassero prima sulle finestre e successivamente all'uscita del circolo.
Il giorno dopo il Feldmaresciallo Kesserling invita le forze dipendenti ad agire con maggiore energia nei confronti dei sabotatori da impiccarsi sulle pubbliche piazze; il comandante della piazza di Milano anticipa il coprifuoco alle 22. Il nemico si rende conto che l'arma del terrore gli si ritorce contro. Dobbiamo insistete. Azzini e Bosetti attaccano il comando repubblichino nella sede dove convergono i lavoratori italiani da inviare in Germania. Il mattino del 14 agosto un alto ufficiale tedesco e due subalterni mentre discutono in un ufficio del Palazzo di Giustizia vengono uccisi con una "sipe" lanciata da una finestra.
Nei corridoi, tedeschi e fascisti fuggono in preda al panico. Il coprifuoco non ci ferma: il 16 agosto ancora Azzini e Bosetti giustiziano uno squadrista, ufficiale della milizia e delatore di partigiani e, due giorni dopo un'altra squadra abbatte un ufficiale delle SS a Porta Volta.
"La pagheranno!" era la parola d'ordine del popolo e la nostra.

da "Senza tregua. La guerra dei Gap" (Feltrinelli, prima edizione 1967) - Liberazione del 28 luglio 2007

Salvi: «Stanno tentando di farci fuori, dobbiamo unirci al più presto»

«Ci vogliono fare fuori». E quando dice «ci» Cesare Salvi, capogruppo al senato di Sinistra democratica, intende tutta la sinistra alternativa. I «killer» sarebbero il partito democratico e i moderati dell'Unione. Ma, avverte Salvi, «venderemo cara la pelle».

Senatore, sul protocollo sul welfare la tensione resta alta tra il governo e la sinistra alternativa.
Certo, perché a noi questo protocollo proprio non piace. Istituzionalizza di fatto il precariato a vita, non tiene conto del lavoro interinale. Se dovesse passare così com'è avrebbe effetti negativi incredibili.

Il ministro del lavoro Cesare Damiano ha detto che il documento è «inemendabile».
E già qui c'è un problema metodologico. Non è mai successo che un ministro abbia presentato un protocollo definendolo inemendabile, intoccabile.

Quindi che farete?
Abbiamo già pronti i nostri emendamenti, e li presenteremo. Devono essere discussi in parlamento.

E se non dovessero essere accettati?
Allora noi non voteremo il documento, in nessun caso.

Neppure se dovesse essere posta la fiducia?
No, neppure in quel caso. I provvedimenti che noi presentiamo non prevedono costi aggiuntivi e sono conformi con le direttive europee. Veniamo definiti estremisti, ma in realtà siamo solo coerenti con il programma dell'Unione. Per questo potremmo chiedere una verifica del programma di governo. Se ne tiene conto solo quando riguarda i moderati della coalizione, diventa invece carta straccia se siamo noi della sinistra a chiedere che venga rispettato.

La Cgil sta vivendo ultimamente una grossa crisi.
Il protocollo aggiuntivo è stato un grosso colpo alla Cgil. Un colpo basso a chi ha cercato di difendere l'unità sindacale e dei lavoratori. Noi come sinistra dobbiamo in qualche modo aiutarla e fare la nostra parte.

Negli ultimi tempi questi attacchi all'ala sinistra della coalizione sembrano essersi moltiplicati. Perché?
Faccio un'analisi politica del momento: Damiano ha riproposto una logica identica a quella di Berlusconi; Francesco Rutelli con il suo «manifesto dei coraggiosi» ha parlato di «centrosinistra di nuovo conio»; Piero Fassino parla di «scenari più avanzati» in fatto di alleanze e dice che bisogna aprire a Lega e Udc. Mi sembra siano tutti elementi che fanno parte di un unico grande piano.

Quale?
Quello di far fuori la sinistra. Mi sembra si stia cercando di logorarla, sperando in un suo scatto di nervi che faccia cadere il governo, riproponendo il problema del '98, oppure trovare nuovi alleati per rendersi autosufficienti da questa stessa sinistra e liberarsene.

Cosa deve fare allora la sinistra per difendersi da questi attacchi?
Accelerare il suo processo di unificazione. Tutti insieme dobbiamo portare avanti iniziative comuni. Ma è importante rivolgersi a tutti, dallo Sdi a Rifondazione comunista, senza esclusioni. Poi, se qualcuno si autoesclude, è un'altra questione.

Però sulla questione delle pensioni non siete stati uniti. Voi e i Verdi avete dato un giudizio positivo sull'accordo, Prc e Pdci si sono opposti.
E' vero, ma ora sul protocollo siamo uniti. Il passo successivo è quello di non ricompattarci solo sui No, ma proporre posizioni alternative nostre. Che devono essere il più possibile comuni, senza per questo rinunciare alle diverse identità che ognuno di noi ha. Io personalmente credo ancora che sia possibile rimanere in un ambito di socialismo europeo, rinnovato e nuovo, ma pur sempre socialismo.

Uno spazio lasciato libero dai Ds dopo la nascita del Pd. Qual è il tuo giudizio sul Pd?
Credo sia un partito neocentrista. Se rappresentasse davvero la sinistra riformista non lo avrei certo abbandonato. Non si ripresenta il problema delle due sinistre, perché il Pd non sarà di sinistra. E sarà, paradossalmente, il più vecchio nel panorama politico italiano perché si rifà a schemi degli anni '90: il neoliberismo, l'idea di un governo forte, presidenzialista. I dirigenti del partito democratico sono in ritardo. Anche quando parlano di democrazia che decide. Questa va costruita sul consenso, non con tentazioni presidenzialiste, che sono superate dai tempi.

A proposito di tempi, quando vedremo la sinistra unita? Qualcuno parla delle amministrative del prossimo anno.
Abituato al senato, dove si vive alla giornata, non ragiono in una dimensione temporale così lunga. Credo che già in autunno, con la discussione sulla finanziaria, ci sarà una sinsitra unita. Che deve smetterla di stare sulla difensiva e essere propositiva e aggressiva. Se altri nel centrosinistra credono di farci fuori, anche utilizzando il referendum sulla legge elettorale, si illudono.

di ALESSANDRO BRAGA da il Manifesto del 28 luglio 2007

Perché destra, sinistra, giornali, Tv ignorano la realtà e parlano d'altro?

Mi chiedo perché la sinistra non sollevi il problema del salario. Perché i sindacati non facciano una o più vertenze su questa questione. Perché i giornali di sinistra non organizzino campagne di denuncia per le retribuzione ormai vergognosamente basse delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Perché accanto a tante questioni politiche, culturali ed economiche non ci sia anche questa e su questa non dicano la loro tutti coloro - a destra e a sinistra - che non ci risparmiano la loro opinione su nulla.
I salari, gli stipendi, le pensioni oggi sono largamente insufficienti, il costo della vita è incredibilmente alto. La sinistra non dovrebbe ascoltare la società, i suoi bisogni più profondi anche quelli che non hanno la possibilità di essere espressi pubblicamente, di occupare le pagine dei giornali? Potremmo fornire dei dati che testimoniano sulle retribuzioni siamo i fanalini di coda dell'Europa. Potremmo dare altrettanti dati e numeri sui profitti che sono incredibilmente aumentati. Potremmo aggiungere quelli sull'aumento delle diseguaglianze anch'esse cresciute smisuratamente. Ma lascio tutto questo a qualche bravo sindacalista ed economista di sinistra. Loro i dati ce li hanno e li possono snocciolare con competenza in qualunque momento. Io mi limito a chiedere perché non si mette all'ordine del giorno questo problema.
A pensarci bene in Italia sulle retribuzioni c'è una rimozione che dura da oltre trent'anni. Il salario è diventata una cosa di cui non si discute, quasi fosse disdicevole e vergognoso, da quando con il referendum del 1984 è stato messo pesantemente in discussione e poi di fatto eliminato quel sistema di scala mobile che adeguava le retribuzioni al costo della vita.
Una rimozione pericolosa nella quale a sinistra se ne è aggiunta un'altra. Oggi se si parla di retribuzione e di carovita si deve constatare che il divario è spaventosamente aumentato con l'introduzione dell'euro. E allora si potrebbe cadere nella campagna demagogica della destra che attribuisce all'euro e quindi a Prodi e quindi al governo di centro sinistra l'aumento del costo della vita.
Così si preferisce tacere. Tace il virtuoso difensore della nostra moneta, il presidente dalla Banca d'Italia Mario Draghi che fra i tanti numeri che fornisce, e le tante reprimende che propina, non insiste mai molto su questo punto. Tace Confindustria e si capisce perché. La questione non interessa né il fustigatore dei costumi professor Ichino, nè l'attento Francesco Giavazzi. Ma neppure Eugenio Scalfari. Né gli innumerevoli economisti di centro sinistra sempre più abili a trovare motivazioni di sinistra a scelte di destra. Tacciono i partiti, quelli di destra perché pensano che va bene così, quelli di centro e di sinistra perché temono un'altra divisione interna. Tacciono i sindacati e davvero non se ne comprende il motivo. Tacciono i giornali. Mi piacerebbe che qualcuno facesse un calcolo. Quante volte hanno parlato negli ultimi anni delle retribuzioni? Quante inchieste sono state fatte sull'argomento? Ad occhio e croce solo quando qualche istituto di statistica ha fornito i dati sulla povertà. Poi silenzio.
Ma perché tace la sinistra che vuole rimanere sinistra? Perchè tace il sindacato? Credo che sia un errore. Credo che tra qualche tempo potrebbe anche avvenire che sia la destra a prendere in mano la questione, naturalmente a suo modo, come è avvenuto per le pensioni e come è avvenuto per il precariato. E che naturalmente costringa poi la sinistra ad una battaglia tutta in difesa, tutta di contestazione dei principi, in presenza di un'opinione pubblica già conquistata dalla ideologia dominante. Non è avvenuto questo per la trattativa sulle pensioni dove è passata l'assurda idea che gli anziani fossero contro i giovani? Non è avvenuto questo con la precarietà che è stata trasformata da moderna schiavitù ad una forma alta di libertà personale?

Qualche mese fa il presidente della Confindustria, della Fiat, della Ferrari ha detto che i lavoratori italiani sono dei fannulloni. Quella frase infelice e soprattutto la scarsa reazione che ha suscitato la dice lunga su che cosa si pensa dei salari.
Se i lavoratori italiani sono dei fannulloni pagarli da mille a mille e cinquecento euro al mese è anche troppo. Forse è arrivato il momento che i fannulloni e chi li vuole rappresentare facciano sentire la loro voce e chiedano che le retribuzioni vengano aumentate. Perché di una cosa sono sicura. Non si vincono quasi mai le battaglie sul terreno imposto dagli avversari. In quei casi si può fare solo testimonianza e si può spostare qualcosa, come la recente trattativa sulle pensioni ha dimostrato. Si vincono e si possono vincere le battaglie politiche e culturali quando si sceglie il terreno dello scontro. Allora per l'avversario diventa più difficile. Diventa più difficile per i partiti di destra il cui elettorato è largamente popolare dire che i salari vanno tenuti bassi. E' difficile per i moderati del centro sinistra definire estremista questa richiesta. Ed è difficile naturalmente, per i tecnocrati europei e per i loro sostenitori in casa nostra. In Europa i salari sono molto più alti che in Italia. E come può rispondere a questo problema un governo che consistentemente formato dalla sinistra, continua a fare scelte moderate e su altre nicchia?
Già, cosa pensa Romano Prodi dei salari dei lavoratori italiani? Ha una sua proposta? O pensa che vada bene così?


di
RITANNA ARMENI da Liberazione del 26 luglio 2007

venerdì 27 luglio 2007

L’ex procuratore Borrelli: "La Forleo non aveva altra strada sbagliati i toni, non la sostanza"

Francesco Saverio Borrelli, il procuratore della Repubblica di Milano degli anni di Mani Pulite, quindi del momento dello scontro più aspro tra la politica e la giustizia, adesso, da appassionato di musica, è solo il presidente del Conservatorio di Milano. Da cinque anni e mezzo ha lasciato la testa dell´ufficio giudiziario più potente d´Italia; è passato dall´ufficio indagini della Figc nel momento culminante dello scandalo del calcio, ma è sempre a lui, stimato da molti e amato da pochi, che vale la pena chiedere un giudizio su questa guerra infinita. E lui ripete quello che sempre detto: che se qualcuno indica la luna, il metodo per distrarre l´opinione pubblica è quello di focalizzare l´attenzione sul dito.

Dottor Borrelli, è un'estate rovente sul fronte della guerra mai sopita tra politica e giustizia. Un´altra. Come ai suoi tempi.
«Sì, sembra che il tempo non passi mai. Siamo sempre allo stesso punto».

Eppure è cambiato tutto. Il governo, il quadro politico...
«Che vuol fare? Si vede che sono gli italiani che non cambiano».

Ora al centro c´è il caso Forleo. Che cosa ne pensa?
«Io trovo che ancora una volta è successo che l´attenzione dell´opinione pubblica anziché essere portata sul merito del problema, sulla questione realmente importante, viene spostata sulle parole usate dal magistrato che sono un fatto del tutto marginale».

Qual è il merito del problema?
«A me sembra chiaro: se ci sono state delle spinte indebite, degli interessamenti o dei sostegni politici a determinate operazioni. Questo è il nocciolo della questione. E invece tutta l´Italia e tutto il mondo politico sono concentrati a discutere se la Forleo abbia fatto bene o male a usare la parola complicità - che poi a questo si riduce - piuttosto che a discutere se veramente alcuni appartenenti al Parlamento abbiano appoggiato questi avventurieri della Finanza».

Lei dice: questa è la sostanza. Ma in diritto la forma non è sostanza? Vero o no che il giudice Forleo si è comportata come un pm?
«Senta: c´erano quelle intercettazioni nel materiale probatorio e per l´utilizzo di quelle intercettazioni, indipendentemente dall´estensione delle imputazioni ai politici, era necessario che il Parlamento consentisse l´utilizzo e l´approfondimento di quel materiale. La Forleo non aveva altra strada se non quella di interpellare il Parlamento».

Dal ministro Mastella al presidente Napolitano, si contestano però le parole usate nell'ordinanza.
«Ma questa è una questione del tutto marginale! Io non mi pronuncio su quella frase della complicità perché bisognerebbe avere il quadro completo che io non ho. Ma se per avventura si ritiene che le parole con le quali il giudice ha investito il Parlamento fossero troppo pesanti, che in questo momento anticipavano una valutazione che non competeva ancora al giudice, ciò non invalida il suo atto sotto il profilo processuale».

Quindi chi ha sollevato critiche pesanti ha sbagliato?
«Perché, ci sono dubbi? Il nocciolo che interessa l´etica politica nel nostro Paese - ammesso che ancora si possa parlare di etica in Italia - è se ci siano stati dei personaggi politici che abbiano appoggiato questi avventurieri del mondo della finanza nella scalata all´una o all´altra parte».

Anche il senatore D´Ambrosio ha criticato l'ordinanza della dottoressa Forleo.
«D´Ambrosio mostra molto equilibrio, come ex magistrato si sforza di non estremizzare le questioni giudiziarie. Forse questo è anche bene: vuole svolgere una funzione equilibratrice, attenua i suoi giudizi...».

Lei conosce personalmente la dottoressa Forleo?
«Sì, non bene, ma la conosco. È certamente una ragazza coraggiosa, intelligente e preparata»

di CINZIA SASSO da la Repubblica del 27 luglio 2007

giovedì 26 luglio 2007

Indegne le accuse a Forleo: il Gip milanese segue un percorso trasparente rigoroso e garantista

C'è solo l'imbarazzo della scelta nel fare l'elenco dei problemi antichi e attuali che attanagliano il paese e che ricadono sempre e solo sui ceti più deboli: le infrastrutture obsolete - quelle primarie per muoversi e vivere - l'acqua, l'aria irrespirabile delle città, l'evanescente attenzione verso il patrimonio artistico e culturale tra i più grandi e importanti al mondo, l'ambiente naturale deturpato in continuaziuone e infine - ma non ultimo - il tema centrale del lavoro, di quello dipendente e autonomo ma soprattutto del non-lavoro precario. I problemi materiali della vita quotidiana dei cittadini, in particolare di quelli più poveri e socialmente emarginati, non interessano alla politica dei palazzi del potere che preferisce creare e alimentare beghe da cortile per occupare spazi di visibilità, deteriore, che il sistema dell'informazione gli concede. Tutto ciò non fa altro che alimentare il disgusto per la politica e quindi l'indifferenza e quindi il qualunquismo. E tutto ciò prima o poi si paga, salato.
Per questi motivi trovo "incredibile" la vicenda del giudice Clementina Forleo fatta oggetto delle peggiori scostumatezze politico-istituzionali quando invece tutti i cittadini, i risparmiatori, i piccoli azionisti e i dipendenti delle imprese coinvolte hanno il diritto/dovere di conoscere tutta la verità sulle vicende relative alle scandalose recenti scalate finanziarie che hanno prodotto soltanto guasti, e figuracce anche a livello internazionale.
Posso testimoniare che negli anni 1992, 1993, 1994 e seguenti, prima da libero e poi da detenuto, ho assistito ad una ininterrotta quotidiana falcidia di singole persone e gruppi di persone sulla base di un semplice avviso di garanzia quasi sempre anticipato dai mezzi di comunicazione: tutti immediatamente messi alla gogna ed emarginati socialmente, molti perdendo subito il posto di lavoro, talvolta la salute e addirittura la vita.
E tutto ciò ben prima di un regolare processo che ne accertasse la colpevolezza e, tranne poche isolate voci dissonanti, nel totale silenzio e nella sospetta acquiescenza di gran parte, se non di tutta, la politica dei palazzi romani da parte di personaggi politici di allora che oggi ricoprono importanti incarichi politici e di governo.
Ora che un giudice come la Forleo con rigore segue un percorso trasparente, garantista e corretto, con l'attuale procura di Milano che è sulla stessa linea di rigore e correttezza, in più con una competenza, autorevolezza e professionalità indiscusse, si assiste da parte della politica dei soliti palazzi a scomposti attacchi, strali anche personali, pesanti denigrazioni e indebite ingerenze nel tentativo di bloccare ciò che tutti i cittadini hanno il diritto/dovere di sapere e cioè come si sono svolti realmente i fatti e su quali appoggi politici autorevoli hanno potuto contare i personaggi coinvolti nel grande scandalo delle recenti scalate finaziarie.
Non ha certamente il giudice Forleo bisogno della mia difesa d'ufficio, ma ciò che mi interessa rimarcare che tali comportamenti non fanno che allontanare sempre di più i cittadini da una partecipazione attiva alla vita politica e ne incrementano l'indifferenza e la distanza, perchè è sentire comune che la legge non deve avere riguardi privilegiati di alcun tipo verso alcuni ma deve essere davvero uguale per tutti: ieri, oggi, domani.
Con amarezza devo prendere atto che dalle indagini su tangentopoli ad oggi si sono susseguiti annualmente scandali sempre più grandi (per importi, per il numero enorme di risparmiatori colpiti e per i dipendenti espulsi dal lavoro) praticamente senza soluzione di continuità, nonostante sulla carta siano state introdotte norme che dovrebbero garantire più trasparenza, più tracciabilità e più informazione. Non è solo un problema giudiziario o normativo, è soprattutto un problema fondamentale di cultura politica. E ancora più incredibile, quindi, che la politica dei palazzi si indigni, inveisca, distorca messaggi e vada ben oltre il senso della misura, senza aver preso atto, culturalmente e politicamente, di cosa sia davvero avvenuto e di quale gravità in questi anni nella commistione tra affari e politica. Poco o nulla è cambiato nella realtà, per non voler di fatto cambiare niente.

di SERGIO CUSANI da Liberazione del 26 luglio 2007

Salvi: «Fermare lo strapotere del Pd e l'attacco centrista, ricontrattare programmi e composizione del governo»

Senatore Salvi, iniziamo dalla fine. Che ne pensa della proposta Prodi-Damiano sul welfare?
Scandalosa. Nei contenuti e per il modo in cui è stata presentata. Viene definita inemendabile una proposta che non è neppure passata dal Consiglio dei ministri.

Un'altra domanda di carattere generale: che succede a palazzo Chigi?
Il governo è diventato un monocolore del Partito democratico ed è in atto un'offensiva neocentrista, che tende a fare della sinistra il capro espiatorio politico, sociale e culturale della crisi di consenso che il governo attraversa.

Però Damiano e Prodi un merito l'hanno avuto, sono riusciti a rimettere insieme la sinistra, la "cosa rossa".
Il governo è in profonda crisi di consenso, anzitutto nel mondo del lavoro dipendente. Lo conferma la ricerca pubblicata domenica scorsa dal "Sole 24ore", può confermarlo chiunque si faccia un giro per strada. Il governo è in crisi per le politiche neocentriste che ha portato avanti e vuole addossare la responsabilità alla sinistra. Questo è il tema che abbiamo tutti di fronte oggi, che mi fa a dire che bisogna accelerare la costruzione del soggetto politico unitario della sinistra.

C'entra anche questo con il destino del governo Prodi?
Prima di tutto bisogna fare una riflessione sul rapporto con questo governo. Io non credo che le alternative siano: ripetere il '98, o alla fine votare per salvare il governo e far passare qualsiasi cosa. Io penso che debbano essere modificate, emendate le proposte sul pacchetto sociale del governo. Però dobbiamo anche guardare in faccia la realtà: questi emendamenti chi li approva in Parlamento? Non arrivo nemmeno al momento in cui il governo porrà la fiducia sulla Finanziaria, come già preannuncia Damiano. La Finanziaria comincia in Senato, noi faremo i nostri emendamenti. Poi? Secondo me la sinistra unita deve chiedere un chiarimento politico al governo.

Si potrebbe parlare di una "trattativa sindacale" tra sinistra e centro dell'Unione?
La sinistra deve ricontrattare il programma. Il programma dell'Unione viene quotidianamente stracciato. La proposta di Damiano sul lavoro è l'esatto opposto di quello che c'è scritto nel programma. In Senato i gruppi della sinistra stanno lavorando unitaraiamente, puntiamo ad ottenere risultati importanti, ma è evidente che c'è un tema politico generale al quale non ci si può sottrarre.

Di unità della sinistra se ne parla parecchio. Come la vede il senatore Salvi?
Bisogna decidere da subito che cosa fare insieme alla ripresa dei lavori. La verifica di programma, la revisione della struttura del governo. Bisogna ammettere che nella formazione del governo all'inizio c'è stata una sottovalutazione. Ho parlato di monocolore del Partito democratico perché in tutti i posti che contano ci sono esponenti del Pd.
La sinistra ha accettato - fra l'altro allora non eravamo ancora una forza autonoma - di essere marginalizzata. Questa è la condizione peggiore. Ci fosse stato un ministro del Lavoro di sinistra a colloquio con i sindacati, siamo sicuri che fino alle quattro di notte si sarebbe verificato quel che è successo? Un governo pletorico, scandaloso nella sua composizione, 102 membri - non è vero che è colpa della legge elettorale - di cui l'80% sono del Partito democratico che ha nove viceministri su dieci e la grande maggioranza dei sottosegretari. La sinistra ha accettato che il Partito democratico avesse tutte le leve di comando. Si protesta quando non viene riunita la coalizione, ma Prodi può sempre rispondere: io ho chiamato i due vicepresidenti, il ministro del Tesoro, il ministro del Lavoro...

Come si esce dal vicolo cieco del governo monocolore?
Credo che la sinistra debba porsi e porre il tema di un chiarimento politico. Anche per salvare la coalizione di centrosinistra. Se il governo si regge su due gambe - il Partito democratico e la sinistra - ci deve essere pari dignità. Invece ho l'impressione che ci sia in campo un progetto per logorare la sinistra. Lo ripeto, il problema non è: usciamo o restiamo nel governo. Il problema è ridiscutere all'interno della maggioranza, visto che al momento nessuno è in grado di individuare soluzioni di governo che facciano a meno della sinistra.

Intanto il Partito democratico va avanti a tappe forzate.
Il manifesto di Veltroni è inquietante, ma il disegno mi pare chiaro. Non escludo che nel Partito democratico ci sia chi pensa di cavalcare il referendum elettorale per poi andare a votare con quella legge. Ma anche su questo punto il piddì rivela un'arretratezza di pensiero. Singolare contemporaneità, il 3 luglio del 2007 si sono presentati alle rispettive Camere il governo francese e il nuovo governo britannico. Entrambi per dire: più potere al Parlamento. Sarkosy ha detto: introduciamo una quota proporzionale. Gordon Brown ha detto: il primo ministro deve restituire agli eletti del popolo una parte dei suoi poteri, a cominciare da quello di sciogliere il Parlamento. Perché lo fanno? Forse per bontà d'animo? Si rendono benissimo conto che in una democrazia moderna il decisionismo richiamato da Veltroni non funziona. Non funziona neppure con i tassisti. E quindi capiscono che la democrazia per decidere oggi ha bisogno di più partecipazione, di costruire consenso, di valorizzare il Parlamento. Invece qua vogliono far passare tutto a colpi di fiducia. E si progetta ancora di peggio. Il disegno mi pare chiaro: una democrazia para presidenzialista, un presidenzialismo casereccio che faccia fuori la sinistra.Naturalmente è un disegno molto miope, si illude di separare l'Udc e la Lega da Berlusconi e Fini, prepara un'altra sconfitta come già fu quella del 2001.

E la sinistra unita? Si sta muovendo?
Noi dobbiamo reagire senza scomporci. Con serietà, con attenzione, facendo le nostre proposte. Il primo anno di governo è andato malissimo. Sulle pensioni si è accumulato tutto il malcontento. Persino oltre il merito del provvedimento. Sono state viste come il condensato di tutto ciò che non va. Perchè, lo ripeto, il progetto politico di una parte della maggioranza è quello di scaricare sulla sinistra la perdita di consenso dovuta alle scelte monocolori del Partito democratico. E la sinistra è gravemente in ritardo, anche perché non affronta i nodi veri.

Cerchiamo di scioglierli, questi nodi.
C'è la questione del governo, su cui dobbiamo operare da subito insieme. C'è stato un momento in cui i quattro ministri si sono mossi all'unisono e hanno ottenuto un risultato. Ora i quattro ministri dicano che la proposta di Damiano è la proposta di Damiano e niente più, almeno finché non passa dal Consiglio dei ministri. Altro che inemendabile. Poi c'è una piattaforma da costruire. Faccio una proposta: l'"Associazione per il rinnovamento della sinistra" ha elaborato un documento. Non credo che siano le tavole della legge, ma offriamola a tutti e cinque i partiti della sinistra.

Chi oltre a Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e Sinistra democratica?
Non ci devono essere esclusioni preventive nei confronti di nessuno, se poi qualcuno si vuole autoescludere naturalmente se ne prende atto con rispetto. Ma torniamo al documento dell' "Associazione per il rinnovamento della sinistra": è una base programmatica, ideale, nella quale ci riconosciamo, si possiamo fare cambiamenti.

Quale sarà il minimo comun denominatore di questa sinistra?
Voglio affrontare in particolare due temi politici. Il primo: qual è il giudizio sul Partito democratico? Non è irrilevante. Spesso sento parlare di sinistra riformista e sinistra alternativa. Veltroni come Segolene? Non sono d'accordo. Noi siamo usciti, non siamo entrati nel piddì perché riteniamo che sia un partito neocentrista. Discutiamone. Sono evidenti le implicazioni: se pensiamo che Veltroni sia come Segolene, lo spazio che ci rimane è quello della sinistra alternativa. E segnalo che in Francia è già stata travolta. Se invece pensiamo che il piddì sia un partito neocentrista, l'esigenza che si pone alla sinistra italiana è di altro genere. E ancora: affrontiamo la questione del socialismo europeo. Non chiedo di aderire al Pse, ma di dare un giudizio politico sulle socialdemocrazie e sul Pse. Tutto da buttare? Ragioniamo. Io ho fatto una scelta socialista e socialdemocratica nell'89. Voglio che ci sia dibattito. Mezzo secolo di storia non è servito a niente? Cos'è oggi il Pse, come è cambiato? Tutto questo è importante, così come è importante fare un partito, perchè serve un partito della sinistra italiana. Certo, al nostro interno ci sono identità culturali diverse ed è giusto che ne sia tenuto conto, ma attenzione a parlare di federazione. Perché va tutto bene, ma se fare una federazione significa assemblare i ceti politici, non avremo ottenuto un grande risultato. E se ci dobbiamo provare, proviamoci fino in fondo.

Torniamo all'inizio: la proposta Damiano-Prodi.
Segnalo una particolarità: il teso proposto da Damiano è la fotocopia del disegno di legge di Forza Italia Sacconi ed altri, presentato il 13 giugno. Perché è identico? Forse Damiano l'ha preso da Forza Italia? Semplicemente l'hanno preso tutti e due da Confindustria. Ecco il testo, puoi fare il confronto. Come è possibile andare avanti così? Peggio di Sarkosy, che almeno le trentacinque ore le ha lasciate.Parliamo dei contratti a termine. Nel programma dell'Unione c'è scritto divieto di reiterazione, ci propongono un sistema che istituzionalizza il precariato. Invece la legge che noi della sinistra abbiamo proposto sul tempo determinato è a costo zero. Non possono dir nulla Padoa Schioppa, Triche, il fondo monetario, l'Oxe, Almunia. Anzi, ci dovrebbero ringraziare. Abbiamo diminuito i costi della politica, noi chiediamo che quei fondi siano messi in Finanziaria e usati a fini sociali.

Non sarà facile accordare i toni tra i firmatari del manifesto dei "coraggiosi" promosso da Francesco Rutelli e chi ancora pensa, crede e agisce a sinistra?
E chissà dove andranno a manifestare questa volta i "coraggiosi" di Rutelli. Ci vuole un certo coraggio per dire quello che dice Draghi nei suoi interventi.

di FRIDA NACINOVICH da Liberazione del 26 luglio 2007

mercoledì 25 luglio 2007

Caro Walter, per i giovani devi chiedere la modifica del protocollo sul Welfare

Caro Walter,
ieri hai voluto riconoscere che ho preso una “posizione coraggiosa” sulle pensioni.
Io penso che dire - sempre - quel che si pensa, senza secondi fini, non sia un atto di coraggio, ma di moralità. Comunque ti ringrazio. Vorrei ora chiederne uno a te.
Tu hai impostato gran parte del tuo discorso sui giovani. Giusto. Giusto ad un patto: che non ci si metta dalla parte dei giovani, quando in ballo ci sono gli anziani nullatenenti, e dalla parte degli anziani, se proprietari.
Del Protocollo tra governo e parti sociali, continuo a ritenere che sia un buon compromesso la parte sulle pensioni, un cattivo compromesso quella su competitività e mercato del lavoro.
Il capitolo competitività contiene questioni relative al costo del lavoro. Perpetuando una ideologia fallimentare. Decisivi per la competitività sono gli investimenti in ricerca e sviluppo, dove siamo ultimi in Europa, soprattutto per la parte privata, delle imprese. Qui i punti centrali riguardano gli sgravi fiscali per contratti di secondo livello e straordinari. C’è da dubitare tanto della loro giustezza quanto della loro efficacia. Comunque, è spesa pubblica. E non posso non notare l’acuta sensibilità per gli aumenti di spesa pubblica, quando vanno a vantaggio dei più poveri, si attenua, quando in ballo ci sono altri interessi.
Il capitolo mercato del lavoro tocca poco o nulla della legge 30 e della 368. I contratti a termine possono essere attivati senza causali specifiche, ed il limite della non reiterabilità prevede rilevanti eccezioni, che temo diventeranno la regola.
Alla fine della giostra, cambia poco il grado della selva di rapporti di lavoro precario, che ha trasformato i nostri giovani in un esercito di servi della gleba con redditi infimi e vite appese al caso.
Ti chiedo perciò un atto politico, da candidato alla segreteria del partito democratico, in elezioni primarie dove votano anche i sedicenni: rappresenta davvero i giovani, esprimiti contro, chiedi che il Protocollo venga modificato.
Sarebbe apprezzato. Io, apprezzerei.

Con immutata amicizia

FABIO MUSSI

Epifani scrive a Prodi

Caro Presidente,
il Comitato Direttivo della Cgil ha approvato la scelta di sottoscrivere il Protocollo sul Welfare. Questa determinazione significativa si accompagna ad una contrarietà sulla parte dell`accordo relativa al mercato del lavoro e alla decisione di azzerare ogni contribuzione aggiuntiva sullo straordinario.
La scelta da parte del governo di presentare su tali punti un testo non visto in precedenza nella sua stesura definitiva, se non pochi minuti prima dell`incontro, apre, per quello che riguarda la Cgil, un evidente problema di merito, trattandosi di materie strettamente attinenti alla dimensione contrattuale del sindacato dove, ad esempio, la cancellazione di un aggettivo determina il rovesciamento di un significato.
C`è infine l`esigenza di un ultimo chiarimento: ferma restando la scelta della Cgil, il governo ritiene che l`accordo possa essere sottoscritto anche solo per parti o vada sottoscritto per intero? Si tratta ovviamente di due scelte non uguali.
Il Comitato Direttivo della Cgil ha approvato la scelta di sottoscrivere il Protocollo sul Welfare ma che questa decisione si accompagna ad una contrarietà sulla parte dell'accordo relativa al mercato del lavoro e alla decisione di azzerare ogni contribuzione aggiuntiva sullo straordinario. La scelta da parte del governo di presentare su tali punti un testo non visto in precedenza nella sua stesura definitiva, se non pochi minuti prima dell'incontro apre, per quello che riguarda la Cgil, un evidente problema di merito, trattandosi di materie strettamente attinenti alla dimensione contrattuale del sindacato dove, ad esempio, la cancellazione di un aggettivo determina il rovesciamento di un significato.

Con stima,

Guglielmo Epifani (segretario generale della Cgil)

Giordano: "La lotta al precariato non esiste più i riformisti hanno tradito i giovani"

«Questo provvedimento deve essere cambiato, iniziamo uno scontro politico per riuscirci. Solo dopo decideremo come votare». Il segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, è di nuovo in prima linea. Alle critiche sulle pensioni, che rimangono, aggiunge, anche più forte, l´irritazione sul protocollo per il Welfare: «Sono proposte che colpiscono i lavoratori, favoriscono la precarietà, su cui non siamo stati consultati e che sono anni luce lontane dal programma. Ci sentiamo del tutto liberi da ogni vincolo rispetto a queste norme».
Però è una proposta del governo. Per di più, dice il ministro Damiano, "non emendabile".
«Fino a oggi pensavo anch´io di essere parte della coalizione di governo e invece mi trovo questo pacchetto di misure che non capisco a nome chi sia stata presentato. Vorrei ricordare che non esistono "soci di maggioranza" in questa coalizione, ma un programma da rispettare. Prodi deve chiarire se è il garante dell´Unione o è più interessato alle lotte intestine nel partito Democratico».

Le vostre proteste sono un modo per riportare l´asse del governo verso sinistra, dopo la vittoria dei "riformisti" sulle pensioni?
«No, le obiezioni sono sul merito di norme che colpiscono i lavoratori, specie i giovani. Mentre ai cosiddetti "riformisti" dico che ora si mostrerà tutta la strumentalità delle loro posizioni. Dopo aver passato mesi a parlare dei diritti dei "giovani" adesso sono spariti. Dove sono Veltroni e gli altri ora che serve combattere contro l´uso sistematico dei contratti precari».

Quali sono i punti per voi irricevibili?
«La parte sul superamento della legge Biagi non è in linea con il programma, la decontribuzione degli straordinari non era mai stata presa in considerazione, poi le norme sul lavoro precario dovevano ridurre l´uso di questi contratti e ciò non avviene. Anche sulle pensioni si scopre che c´è un tetto di 5 mila persone l´anno nelle esenzioni dall´aumento dell´età pensionabile: cosa significa? Se tra usuranti, turnisti e lavoratori con più di 40 anni di contributi si supera quel numero qualcuno rimane fuori? Sarebbe inaccettabile»

Però Cgil, Cisl e Uil hanno firmato il protocollo pur chiedendo delle modifiche.
«Guardi che stavolta a sinistra il giudizio è unanime: la Cgil espone critiche identiche alle nostre. Con i lavoratori si ha sempre un atteggiamento rigoroso: per mesi si dice che i soldi delle pensioni devono essere trovati all´interno del sistema, perché i conti non permettono altre scelte, poi di colpo escono i soldi per incentivare gli straordinari e per la contrattazione di secondo livello. È l´ennesimo favore alle imprese che hanno già ottenuto 5 miliardi dal cuneo fiscale. Perché quei soldi non si potevano usare per la previdenza? La verità è che il Partito Democratico vuole costruirsi un sindacato di riferimento meno conflittuale. Ma attenzione perché sui principi di fondo i lavoratori sono compatti».

Quali principi sono messi in pericolo dal protocollo?
«Viene modificata la struttura dei contratti e si ripropone un modello industriale secondo cui la competitività si ottiene con la riduzione del costo del lavoro. Il centrosinistra ha detto di voler superare questa visione favorendo gli investimenti in innovazione e qualità. Dove sta tutto questo nel documento del governo?».

di LUCA IEZZI da la Repubblica del 25 luglio 2007

martedì 24 luglio 2007

Mussi: «Non è stato un colpo di testa, lo scalone di Maroni andava superato»

Fabio Mussi, Sd, ministro dell’Università e della Ricerca controbatte: «Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare le condizioni che minacciano l’apertura di una crisi di governo da sinistra».

Ministro, ha letto l’intervista rilasciata da Giordano?
«Sono abituato a considerare le situazioni concrete. Sulle pensioni esistono due leggi in vigore: la Dini che prevedeva la revisione dei coefficienti, cioè la riduzione delle prestazioni pensionistiche; la Maroni, che prevedeva dal 1 gennaio 1998, il salto di 3 anni per tutti i lavoratori. Dunque, occorreva correggerle, in modo favorevole ai lavoratori, non si è trattato di un colpo di testa del governo».

Giordano critica lo scalone...
«Il salto previsto da Maroni viene spalmato in quattro anni, un provvedimento che riguarda qualche centinaio di migliaia di lavoratori che andrà in pensione prima di quanto previsto dalla legge; la quota 97, con i 61 anni di età è prevista per il 2013, previa verifica sullo stato dei conti della previdenza. Attualmente l’età di pensionamento media reale supera i 60 anni. Il giudizio deve essere dato considerando tutti gli aspetti dell’accordo».

Su quali di questi lei ha ancora riserve, o promuove a piene voti?
«Questa partita tra governo e sindacati non è ancora chiusa. Ci sono due aspetti importanti: competitività e mercato del lavoro. Il modo in cui verranno risolte queste due questioni sarà decisivo per la valutazione finale. Non sono d’accordo sugli sgravi fiscali per il lavoro straordinario e ritengo l’intervento sul lavoro a tempo determinato debba essere risolutivo, in grado cioè di contrastare davvero la precarizzazione dei giovani».

Diliberto annuncia battaglia contro la controriforma. Sembra che parliate di cose diverse.
«Analizziamo qualche punto: la pensione di vecchiaia delle donne non viene toccata - anche se l’Europa chiede il contrario - e alla base di questa resistenza italiana c’è una particolare attenzione alla condizione delle donne che, a parità di qualifiche hanno stipendi più bassi e quindi più bassa contribuzione; nella vita lavorano due volte, perché hanno a carico anche il lavoro di cura, una funzione sociale di primario valore. Vengono salvaguardati i lavoratori precoci, quelli con 40 anni di contribuzione e aumentano le finestre di uscita. Per la prima volta viene applicata una tabella dei lavori usuranti, la tabella Salvi allargata. Infine, c’è, sia pure in una forma non perentoria, il minimo del 60% dello stipendio per i i giovani che hanno lavori discontinui. Certo, si poteva fare anche di più, ma il complesso di questi provvedimenti, non giustifica questa opposizione frontale. È una condotta che rischia di far saltare il banco».

Perché, secondo lei?
«Mi preoccupa il fatto che ai fari accesi sulle pensioni corrispondano sempre più spesso luci basse sul tempo di lavoro, sulla qualità del lavoro».

Sicuri di riuscire a fare l’unità a sinistra?
«Sono abituato ad assumermi la responsabilità politica per tenere una posizione quando viene meditatamente presa, per più di 24 ore. Voglio dire a questi compagni che non abbandono il progetto dell’unità a sinistra. Vanno prese sul serio le parole quando sparliamo di unità e rinnovamento della sinistra. E voglio ricordare anche che all’incontro politico del 7 giugno tra Rc, Pdci, Verdi e Sd, ha fatto seguito quello con i segretari delle tre confederazioni sindacali. Lì si è preso un doppio impegno: pretendere che il governo di cui facciamo parte e sosteniamo lavorasse non alla rottura ma a un accordo con i sindacati; e nel caso di raggiunto accordo, che non avremmo giocato al più uno. Poi, Rc ha scartato, mentre in un incontro successivo il Pdci ha confermato questa posizione politica. Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare condizioni che minaccino un’apertura della crisi di governo da sinistra».

Sarebbe la seconda volta. Non c’è il pericolo che gli elettori non vi seguano più?
«Stavolta non capirebbero. Si sono già espressi un anno fa, a noi spetta l’assunzione di responsabilità di scelte essenziali per il paese. L’arretratezza sociale italiana non è sul sistema previdenziale. Siamo indietro su altro. Dal tasso di occupazione, soprattutto femminile; ai servizi sociali efficienti per tutti; al livello di qualità della rete delle infrastrutture; università, ricerca scientifica, innovazione tecnologica».

di MARIA ZEGARELI da l'Unità del 24 luglio 2007

lunedì 23 luglio 2007

Quanto sarebbe contento Rumor di questo Pd

Forse ci sarà anche Pannella (il quale giustamente rivendica una antica vocazione e azione per il Partito democratico) alla griglia di partenza dove sono già allineati Veltroni, Bindi, Colombo e, buon ultimo, il giovane Letta in rappresentanza dei ragazzi nati attorno al fatidico 1968. Non so se altri si iscriveranno alla gara, anche se Furio Colombo, sull’Unità ci ha spiegato che non basta iscriversi per partecipare, dato che il regolamento della corsa sarebbe sostanzialmente truccato nel senso che rende difficile, quasi impossibile, partire, dato che «l’aspirante candidato dovrà schierare una squadra minima di 125 candidati: 5 per ognuno dei 25 collegi scelti tra 460 disponibili e 2.500 firme. Negli altri 435 la sua candidatura non esisterà». Insomma, un regolamento confezionato per Ds e Margherita. Questo quadro e i primi passi fatti dai candidati e dai loro sostenitori cominciano a delineare il volto vero del Pd. Il discorso di Veltroni a Torino è stato letto come un momento di chiarezza sulla linea del futuro partito. Per esempio, sarà apparso chiaro sulla giustizia a Saverio Borrelli, persona degnissima, che ha firmato la candidatura di Walter. Ma l’ex procuratore di Milano è anche l’espressione di una cultura sul tema della giustizia, anch’essa abbastanza chiara. Su questo tema il discorso di Veltroni sarà apparso ugualmente chiaro a Ottaviano Del Turco, che in più occasioni, prima, durante e dopo la sua presidenza dell’Antimafia ebbe modo di esporre posizioni del tutto diverse da quelle di Borrelli.
Il tema della giustizia e dei rapporti con la politica, come vediamo in questi giorni anche con l’iniziativa della giudice Forleo, è cruciale per la democrazia italiana. Qual è la linea non solo di Veltroni ma del Pd? A corrente alternata, secondo chi è coinvolto? Leggendo il lungo elenco dei sostenitori della candidatura di Veltroni potremmo continuare all’infinito sulla “doppiezza”. Ma qualche altro esempio è istruttivo: firmano il cattolico Romano Forleo che ha sostenuto, con tratto civile, le posizioni della Chiesa sui temi eticamente sensibili e il professore Veronesi. Il diessino Gianni Cuperlo chiede a Veltroni cosa pensa del manifesto di Rutelli sul «nuovo conio». Aspettando che risponda l’interpellato possiamo fare un’anticipazione: tra il nuovo e vecchio conio Walter sceglie il conio. E così per altre scelte essenziali.
Ma in questa confusa corsa di candidati due cose emergono con chiarezza e smentiscono i predicatori della rivoluzione politica e culturale che si sta compiendo nel Pd. Chi pensava al nuovo partito per smantellare le “oligarchie” si metta l’animo in pace, non solo perché Colombo ci ha spiegato come stanno le cose, ma perché la candidatura di Veltroni, per la persona e per come viene sostenuta, sarà letta come una vittoria del nuovo e una resistenza del vecchio. Con qualche variante: la unificazione Ds-Margherita si realizza attraverso una federazione di partiti personali che nell’insieme configurano un partito pigliatutto. Diverso rispetto alla Dc, dove c’era una destra, una sinistra e il centro doroteo. In questo caso Veltroni, Bindi e Letta, hanno sostenitori di destra, di sinistra e di centro. La competizione, quindi, non è tra idee, posizioni politico-culturali e scelte nette e diverse in contrapposizione, ma fra tre versioni dorotee dove si trova tutto e il contrario di tutto. Peccato che il vecchio Rumor non possa assistere al suo trionfo.

di EMANUELE MACALUSO da il Riformista del 24 luglio 2007

domenica 22 luglio 2007

Pensioni, diamogli il giusto peso

Se uno dovesse misurare il proprio giudizio partendo dalle reazioni negative della destra, a cominciare da quella di Silvio Berlusconi, dovrebbe dire che l'intesa raggiunta sulle pensioni tra governo e confederazioni sindacali è un buon accordo. Ma è evidente che questo criterio di valutazione non basta. Intanto perché dall'altro lato resta sostanzialmente scontenta la sinistra dell'Unione, mentre settori significativi della Fiom e della sinistra sindacale si sono dichiarati nettamente contrari all'accordo.
Il punto resta sempre quello di come si avviene il superamento dello scalone della legge Maroni. La soluzione trovata (uno "scalino" nel 2008 e poi il sistema delle "quote") non è quella che sinistra e sindacati avrebbero voluto anche se sicuramente è meglio del salto prodotto dalla riforma di Maroni.

Bisogna poi tener conto che lo scontro non è stato tanto sulla necessità che il nostro sistema pensionistico dovesse conoscere un graduale aumento dell'età pensionabile ma sul come e da chi cominciare. E risulta particolarmente odioso il fatto che lo si debba fare a partire da coloro che sono andati a lavoro molto precocemente e per questa ragione hanno maturato 35 anni di anzianità a 57 anni.

E tuttavia se si tiene conto della vera e propria crociata che da Rutelli a Bonino, passando per D'Alema e Montezemolo (ormai tra i principali supporter di Veltroni) era stata scatenata a difesa dello scalone non si può non guardare con equilibrio a un compromesso che ha sicuramente le sue ombre ma che - per quel che riguarda calcolo dei coefficienti, lavori usuranti, ripristino di quattro "finestre" per poter andare in pensione - potrebbe avere anche le sue luci.

La sinistra deve, dal suo canto, valutare questo accordo per quello che è, cercando di evitare che in questa discussione si scarichino i numerosi motivi di malcontento che è legittimo avere verso la coalizione e lo stato dei rapporti il suo interno. Certo, sarebbe veramente miope far dipendere il futuro del centrosinistra esclusivamente da un confronto su un tema sia pur rilevante come l'aumento dell'età pensionabile. Se esso deve essere messo in questione allora sarebbe il caso che si arrivasse in autunno a una verifica generale per ricostruire, eventualmente, su una base più chiara la solidarietà all'interno dell'Unione.

Bisogna che poi a sinistra non si perda di vista una questione politica di prima grandezza. Il progetto unitario che l'attraversa non avrà sicuramente un vero respiro di massa se esso ai suoi esordi produce una rottura con il sindacato e una distanza troppo grande dalle mediazioni che essi riterranno giuste accettare. E' un problema che ha segnato sin troppo a lungo negativamente la storia politica di Rifondazione.
Certo tutto ciò ha un senso se governo e Parlamento, ma soprattutto gli stessi sindacati, renderanno operative le loro decisioni solo al termine di una larga e libera consultazione dei lavoratori. Come ha affermato Alfiero Grandi, se ci troviamo di fronte a un accordo "importante" è bene che le istituzioni che, in questo caso non hanno rinunciato all'esercizio del loro compito di decisione e di proposta, attendano che si pronuncino i diretti interessati.
Ne trarrà vantaggio il paese e soprattutto quel costume democratico da tante parti vilipeso e negato. Certamente se l'alternativa fosse dedicare l'autunno a questa consultazione o alle primarie per scegliere il leader del Partito democratico non avrei dubbio a cosa concedere le mie preferenze.

di PIERO DI SIENA da Aprileonline del 20 luglio 2007