mercoledì 18 luglio 2007

Pizzuti: «Costringere gli anziani al lavoro è un danno per tutti»

«Non è vero che l'abolizione dello scalone costerebbe alle casse dello Stato tutti quei miliardi. Hanno sbagliato i conti». Roberto Pizzuti, professore di economia all'Università "La Sapienza", i conti se li è fatti davvero ed ha scoperto che per togliere di mezzo la riforma della previdenza di Maroni e Berlusconi non servirebbero più di due miliardi

Quali sono i conti giusti, quindi?
Sullo scalone sono in ballo diverse cifre. Alcune risalgono al 2004, di accompagnamento alla legge Maroni, che quantificarono il costo dello scalone sulla base delle tendenze spontanee al pensionamento di allora. Il punto è che dopo tre anni di dibattito quella tendenza spontanea è molto cambiata. Chi poteva andare via per non incappare nello scalone è già fuggito. Nel frattempo ci sono persone per le quali la possibilità di passare dal salario alla pensione, anche potendo, viene vista come proibitiva. Il movimento spontaneo al pensionamento si è molto ridotto. Anche nel 2010 il costo dell'abolizione dello scalone sarebbe intorno ai due miliardi e no ai dieci che dicono. Evidentemente l'abolizione dello scalone risente molto di più dei riposizionamenti politici di questa fase.

Tutta questa pressione sulla previdenza oltre che nuocere alla convivenza civile non credi che crei problemi anche all'economia?
Almeno nell'immediato, poiché i tassi di occupazione nel nostro paese sono particolarmente bassi, forzare un anziano a rimanere al lavoro equivale a ridurre il turn over e dunque a pregiudicare la possibilità per i giovani a entrare nel mondo del lavoro. Questa sostituzione è pregiudizievole dal punto di vista della produttività e dal punto di vista dei costi, rispetto alla stabilità complessiva della società e anche per il livello dei consumi. Dunque in questa specifica fase non è la cosa più importante forzare gli anziani a lavorare. Anche se nel medio-lungo periodo c'è una coerenza tra il pensionamento e l'invecchiamento demografico. In ogni caso è assolutamente privo di fondamento che ci sia un egoismo degli anziani a danno dei giovani. I giovani sono anche pregiudicati dall'altro punto in discussione che è l'adeguamento dei coefficienti. L'adeguamento ridurrà le pensioni dei giovani attuali. Quello che non è chiaro è che un sistema pensionistico è in fondo un sistema di trasferimento di reddito dagli attivi ai non attivi. Questo è vero sia per un sistema a ripartizione che a capitalizzazione. In generale la politica economica che sta prevalendo essendo improntata a un rigore poco intelligente sta condizionando la crescita del sistema. In Italia ignoriamo il ruolo propulsivo della spesa sociale per accrescere la produtttività del nostro sistema economico.

Passiamo agli usuranti. Anche su questo tema c'è parecchia confusione...
Il lavoro usurante è rilevante due volte: primo perché imporre di continuare a fare un lavoro usurante a chi l'ha svolto per anni vuol dire rendere il lavoratore poco produttivo e nello stesso tempo peggiorargli la qualità di vita. Ma li lavoro usurante rileva anche ai fini delle aspettative di vita, cosicché anche da un punto di vista genuinamente attuariale è iniquo che si applichino pari coefficeinti di trasformazione a lavoratori che verosimilmente hanno una aspettativiva di vita diversa. E' attuarialmente non equo, oltre che socialmente ingiusto. Quindi differenziare i lavoratori in base all'usura della loro attività e alle conseguenze che ne derivano nelle attese di vita è attuarialmente equo oltre che socialmente giusto. Di lavoratori usurati se ne parla da decenni e se non sono stati fatti studi vuol dire che non c'è una adeguata volontà politica. Alcuni studi confermano che diverse categorie di lavoratori hanno una diversa aspettativa di vita. Le verifiche empiriche dimostrano questa correlazione.

Hai accennato ai coefficienti di trasformazione. Anche su questi c'è poca chiarezza.
Per quanto riguarda i coefficienti di trasformazione, da qui al 2050 si prevede che il rapporto tra gli ultrasessantacinquenni e le persone attive più che raddoppierà. Tuttavia il rapporto e la compllessiva spesa pensionistica e il pil nel 2050 si prevede che sia lo stesso di adesso. Ad una fetta crescente di popolazione sarà data una pari fetta di pil e quindi i pensionati del futuro saranno sempre più lontani dal reddito del resto della società.

di FABIO SEBASTIANI da Liberazione del 18 luglio 2007

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