lunedì 16 luglio 2007

«Smettiamola tutti di dire bugie»

Qual è la ragione vera della crisi della politica, della sua delegittimazione? Rispondono tutti: i costi, gli sprechi. Giusto. Però io credo che il motivo vero sia un altro: le bugie. Il numero enorme di bugie - nette, chiare, consapevoli - che i leader politici pronunciano, scrivono e considerano la materia di base del loro lavoro. Gli strumenti del mestiere. Non si sentono affatto in colpa a dirle a farne i pilastri delle proprie proposte. Considerano, anzi, il mendacio come una forma moderna di "abilità", di professionalità politica.
Sono convinto che la voragine che si è aperta tra mondo politico e intellettuale - ci metto dentro anche noi giornalisti - e la gente che non fa parte di questa casta, è motivata soprattutto da questo. Ho una proposta, comunque, che permetterebbe una riduzione delle bugie e al tempo stesso un contenimento dei costi della politica. Questa: ogni volta che si accerta che un uomo politico o un editorialista dice o scrive il falso, e poi rifiuta di correggersi, gli si toglie il 10 per cento dello stipendio e dei benefit. In pochi mesi, vedrete, le spese dello Stato per la politica si ridurranno abbastanza. E il dibattito sarà molto più chiaro.
Inizierei a tagliare a Walter Veltroni il 10 per cento del suo stipendio da sindaco e ad Eugenio Scalfari il 10 per cento della pensione.
Perché? Iniziamo da Scalfari, che è più semplice. Ha scritto domenica un articolo molto lungo e argomentato per chiedere la liquidazione di Rifondazione comunista, la rimozione di Bertinotti dalla Presidenza della Camera e un deciso ridimensionamento del sindacato. Tutto l'articolo era basato su una affermazione falsa: che i sindacati nel 2004 accettarono lo scalone-Maroni, cioè il secco innalzamento di tre anni dell'eta pensionabile, purché entrasse in vigore nel 2008. Sicuramente in buona fede, Scalfari ha preso una cantonata. Può succedere. Però il giorno dopo Scalfari avrebbe dovuto scrivere sulla prima pagina di Repubblica : «Ho fatto un errore, la Cgil si è sempre opposta alla scalone, e di conseguenza il mio articolo era infondato: consideratelo ritirato...». Ma Scalfari questo gesto non lo ha compiuto, e oltretutto il suo clamoroso scivolone non è stato rilevato da nessuno, per il semplice motivo che l'intero panorama della stampa italiana - tutti, esclusi noi e il manifesto - è schierato con i finanzieri che vogliono innalzare l'eta pensionabile, e dunque non gliene frega niente dei clamorosi errori di Scalfari.
Veltroni invece meriterebbe questa piccola decurtazione dello stipendio perché - sempre su Repubblica - ieri ci ha spiegato che il taglio delle pensioni è necessario per il bene delle nuove generazioni. Walter - che è una persona seria e dispone di un discreto staff in grado di analizzare i dati dell'economia - sa benissimo che questo non è vero. Lo ha scritto benissimo ieri su "Liberazione" Betta Piccolotti: i giovani precari o disoccupati aspettano con ansia che i dipendenti di 56 o 57 anni - i loro genitori - vadano in pensione in modo da poter prendere il loro posto. Non bisogna essere geni né avere studiato cinque anni alla "Bocconi" per capirlo. L'innalzamento dell'eta pensionabile leva lavoro ai giovani. E non da loro nessunissimo vantaggio. Neppure per quel che riguarda le loro future pensioni, dal momento che "Il Sole 24 Ore" ha calcolato che (per ragioni che ora sarebbe troppo complicato spiegare) lo scalone, dal 2040 (cioè quando inizieranno ad andare in pensione i giovani di oggi), avrà sui conti dell'Inps un effetto negativo. Pesantemente negativo: cioè non solo non farà risparmiare un euro all'ente previdenziale, ma costerà 14 miliardi all'anno.
Così come Walter Veltroni, e tutti i sostenitori dello "scalone" (o comunque di un nuovo sistema di scalini) sanno che quella storia, suggestiva, dell'aumento della speranza di vita (diciamolo più brutalmente: l'aumento dell'età di morte...) non è in nessun modo una ragione per innalzare l'età pensionabile. Nel senso che non esiste alcuna relazione tra durata della vita e gestione delle pensioni. Perché? Perché mentre la speranza di vita aumentava di alcuni anni (diciamo del 10-15 per cento rispetto a 50 anni fa), le nuove tecnologie ( e i nuovi livelli dello sfruttamento capitalistico) incrementavano del 100 o forse anche del 200 per cento la produttività. Che vuol dire? Semplicemente questo: che la quantità di lavoro - da dividere per tutta la popolazione attiva - necessario per produrre lo stesso "pil" è oggi enormemente inferiore rispetto a 15 o 20 anni fa. E dunque, se allora era necessario che ciascun lavoratore restasse attivo, poniamo, per 40 anni, oggi ne bastano 25 o 30 o 35. E' calata, non aumentata la necessità di lavoro. Questo è un dato incontestabile e incontestato. E infatti oggi i giovani sotto i 40 anni che dispongono di un posto del lavoro pieno e non precario sono pochissimi. Perché? perché c'è meno bisogno di lavoro e i più anziani coprono largamente questo bisogno di lavoro. Allora la questione, semplicissima, è quella di scegliere se tenere la gente al lavoro fino a 65 o 70 anni (facendola entrare in organico a 40, e facendogli patire precariato e disoccupazione fino a quell'età) o invece farla entrare in organico a 25 anni e mandarla in pensione prima.
Non sono solo i metalmeccanici della Fiom a preferire il secondo modello, ma persino un "padrone" classico come Sergio Marchionne, leader della Fiat. Il quale la settimana scorsa, in una intervista alla Stampa (raccolta da Massimo Gramellini) ha detto: «...quando un politico si alza a parlare deve farlo con competenza e credibilità. Il carisma non è tutto...Prendiamo le pensioni. In Italia vedo un approccio ideologico. Perché uno dovrebbe lavorare più a lungo? Solo perché la vita si è allungata?...»
Io mi faccio un'altra domanda: «Perché Walter finge di non sapere queste cose così chiare, che persino Marchionne ammette? Per il semplice motivo che un ragionamento - per quanto infondatissimo - sul patto tra generazioni funziona perfettamente per sostenere la linea politica scelta dal partito che lo ha eletto leader, cioè il Pd. Ma nessuno, né nel Pd né altrove, pensa davvero che questa idiozia del patto tra generazioni basato sulla rinuncia alla pensione abbia un senso. E allora perché il Pd vuole lo scalone? E perché è nato questo scontro così feroce con la sinistra? E perché Prodi non sa che pesci pigliare?
Cerchiamo di mettere tutte le carte in tavola. La sinistra - e in particolare Rifondazione - non vuole cedere di un centimetro sullo "scalone" per il semplicissimo motivo che lo "scalone" danneggia in modo pesante non più di 100 o 200 mila lavoratori dipendenti poveri, e quei 100 o 200 mila lavoratori dipendenti poveri, specialmente operai, fanno parte del blocco sociale di Rifondazione. Chiaro? Tutto qui: per gli interessi di 100 o 200 mila straccioni. E' corporativismo? E' corporativismo operaio? Fate voi: comunque la ragione è chiarissima ed è quella.
Perché invece il Pd non cede - sebbene persino Marchionne storca il naso di fronte alla incongruenza della posizione del Pd?- Perché un pezzo consistente della borghesia, quella che ha forti interessi nella finanza, vuole dare un colpo alle pensioni perché pensa al grande affare delle pensioni private. E il Pd non crede di poter costruire il proprio sistema di potere senza l'appoggio della borghesia finanziaria. Chiaro? Tutto qui. Lo scontro è tra gli interessi elettorali e sociali di Rifondazione e gli interessi di potere del Pd. E' possibile una mediazione? Sì, purché ciascuno metta le carte in tavola e la smetta di sparare bugie. Solo questo vorremmo chiedere a Veltroni, a Scalfari e alla stragrande maggioranza del ceto politico e giornalistico: di essere faziosi finché vogliono, di badare al potere o all'interesse dei loro partiti o ai portafogli di qualcuno, ma di non costruire tutta la loro politica sulla menzogna consapevole. Altrimenti la politica muore. Non ha scampo. E io non credo che la morte della politica possa far piacere a Veltroni. Farà piacere a Montezemolo, immagino, ma su questo Walter non può seguirlo.

di PIERO SANSONETTI da Liberazione del 12 luglio 2007

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