Se uno dovesse misurare il proprio giudizio partendo dalle reazioni negative della destra, a cominciare da quella di Silvio Berlusconi, dovrebbe dire che l'intesa raggiunta sulle pensioni tra governo e confederazioni sindacali è un buon accordo. Ma è evidente che questo criterio di valutazione non basta. Intanto perché dall'altro lato resta sostanzialmente scontenta la sinistra dell'Unione, mentre settori significativi della Fiom e della sinistra sindacale si sono dichiarati nettamente contrari all'accordo.
Il punto resta sempre quello di come si avviene il superamento dello scalone della legge Maroni. La soluzione trovata (uno "scalino" nel 2008 e poi il sistema delle "quote") non è quella che sinistra e sindacati avrebbero voluto anche se sicuramente è meglio del salto prodotto dalla riforma di Maroni.
Bisogna poi tener conto che lo scontro non è stato tanto sulla necessità che il nostro sistema pensionistico dovesse conoscere un graduale aumento dell'età pensionabile ma sul come e da chi cominciare. E risulta particolarmente odioso il fatto che lo si debba fare a partire da coloro che sono andati a lavoro molto precocemente e per questa ragione hanno maturato 35 anni di anzianità a 57 anni.
E tuttavia se si tiene conto della vera e propria crociata che da Rutelli a Bonino, passando per D'Alema e Montezemolo (ormai tra i principali supporter di Veltroni) era stata scatenata a difesa dello scalone non si può non guardare con equilibrio a un compromesso che ha sicuramente le sue ombre ma che - per quel che riguarda calcolo dei coefficienti, lavori usuranti, ripristino di quattro "finestre" per poter andare in pensione - potrebbe avere anche le sue luci.
La sinistra deve, dal suo canto, valutare questo accordo per quello che è, cercando di evitare che in questa discussione si scarichino i numerosi motivi di malcontento che è legittimo avere verso la coalizione e lo stato dei rapporti il suo interno. Certo, sarebbe veramente miope far dipendere il futuro del centrosinistra esclusivamente da un confronto su un tema sia pur rilevante come l'aumento dell'età pensionabile. Se esso deve essere messo in questione allora sarebbe il caso che si arrivasse in autunno a una verifica generale per ricostruire, eventualmente, su una base più chiara la solidarietà all'interno dell'Unione.
Bisogna che poi a sinistra non si perda di vista una questione politica di prima grandezza. Il progetto unitario che l'attraversa non avrà sicuramente un vero respiro di massa se esso ai suoi esordi produce una rottura con il sindacato e una distanza troppo grande dalle mediazioni che essi riterranno giuste accettare. E' un problema che ha segnato sin troppo a lungo negativamente la storia politica di Rifondazione.
Certo tutto ciò ha un senso se governo e Parlamento, ma soprattutto gli stessi sindacati, renderanno operative le loro decisioni solo al termine di una larga e libera consultazione dei lavoratori. Come ha affermato Alfiero Grandi, se ci troviamo di fronte a un accordo "importante" è bene che le istituzioni che, in questo caso non hanno rinunciato all'esercizio del loro compito di decisione e di proposta, attendano che si pronuncino i diretti interessati.
Ne trarrà vantaggio il paese e soprattutto quel costume democratico da tante parti vilipeso e negato. Certamente se l'alternativa fosse dedicare l'autunno a questa consultazione o alle primarie per scegliere il leader del Partito democratico non avrei dubbio a cosa concedere le mie preferenze.
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