E' accaduto quello che non sarebbe dovuto accadere. La trattativa sulle pensioni rischia di essere l'ultima spiaggia del governo Prodi. Il presidente del consiglio ha avocato a sé l'onere di definire una proposta, giusto il diritto che gli è stato riconosciuto nella soluzione della crisi di governo di marzo di avere l'ultima parola sulle questioni controverse. Si tratta di una decisione sicuramente tardiva e non sappiamo se comunque efficace.
Si è così straparlato (incredibile a dirsi, soprattutto da parte del ministro del Tesoro) che un problema che avrebbe dovuto trovare una ragionevole soluzione, quello dello "scalone" previsto dalla legge Maroni, applicando le indicazioni del programma elettorale dell'Unione è diventato oggetto di una guerra senza quartiere all'interno della maggioranza. Per cui di fronte all'affermazione fatta da Prodi che lo "scalone" sarebbe stato abolito è scoppiato un putiferio. E ritornano i triti luoghi comuni della vulgata neoliberista sui "padri che tolgono ai figli" in voga negli anni Novanta e di cui pensavamo di esserci liberati. C'è poi chi grida al disastro a cui andrebbero incontro i conti dell'Inps, favola smentita per ultimo da Gallino su "Repubblica".
I paradossi di questa vicenda politica sono in verità più di uno. Invece di partire dal fatto che lo "scalone" dovesse essere abolito, così come era stato promesso agli elettori, e a partire da questa decisione verificare come costruire le compatibilità finanziarie di tale operazione, si è fatto esattamente il contrario. Si sono cioè dichiarati intoccabili i risparmi che si sarebbero realizzati con l'applicazione della legge Maroni e si è subordinata la modifica dell'innalzamento secco a 60 anni delle pensioni di anzianità alla realizzazione, comunque, di quei risparmi. Come al solito l'enunciazione più brutale di questa nuova posizione della componente moderata dell'Unione è stata quella espressa da Massimo D'Alema nel contraddittorio con Epifani. Ma anche Tiziano Treu che nella passata legislatura si è battuto contro la legge Maroni con tutta l'opposizione (ne sono un testimone diretto) in una forte e prolungata battaglia in Commissione Lavoro al Senato, oggi ne è diventato uno dei più strenui difensori.
E ormai si evoca apertamente la crisi di governo. Da Bertinotti a Dini a Mastella non si è fatto mistero che questo è un rischio che non si può escludere. E nubi di tempesta si addensano nel centrosinistra. La presidente del gruppi dei Verdi e dei comunisti italiani al Senato, Manuela Palermi, non ha taciuto quello che pensano in molti e cioè che Dini con il suo no secco all'abolizione dello "scalone" vuole scavare la fossa al governo Prodi pensando a una propria successione.
Ora la parola spetta a Prodi ed è bene che la dica al più presto, perché non è più tollerabile che la maggioranza offra questo spettacolo al Paese. Tutti poi dovranno decidere - dalla sinistra dell'Unione ai più accesi "ultras" dell'ala centrista della coalizione - se faranno o meno dipendere il destino del governo dall'innalzamento o meno dell'età pensionabile. E' legittimo però ormai porsi un interrogativo se esista veramente un accordo sul programma di governo. E se così non è, se non sia il caso di provare a farlo. Probabilmente non ci eravamo spiegati bene tra noi prima delle elezioni, ma non si può durare a lungo se nella maggioranza c'è chi pensa che l'obiettivo primario della politica economica del governo deve essere quello di ridurre il debito pubblico tagliando la spesa sociale e chi pensa esattamente il contrario.
Questo continuo logorio non giova a nessuno. E, se si vuole che questa esperienza vada avanti, forse sarebbe necessario che il presidente del consiglio promuova una verifica vera che apra una nuova fase del centrosinistra e che - sarebbe auspicabile - giunga a un effettivo accordo programmatico sulle scelte di fondo.
di PIERO DI SIENA da Aprileonline del 6 luglio 2007
Si è così straparlato (incredibile a dirsi, soprattutto da parte del ministro del Tesoro) che un problema che avrebbe dovuto trovare una ragionevole soluzione, quello dello "scalone" previsto dalla legge Maroni, applicando le indicazioni del programma elettorale dell'Unione è diventato oggetto di una guerra senza quartiere all'interno della maggioranza. Per cui di fronte all'affermazione fatta da Prodi che lo "scalone" sarebbe stato abolito è scoppiato un putiferio. E ritornano i triti luoghi comuni della vulgata neoliberista sui "padri che tolgono ai figli" in voga negli anni Novanta e di cui pensavamo di esserci liberati. C'è poi chi grida al disastro a cui andrebbero incontro i conti dell'Inps, favola smentita per ultimo da Gallino su "Repubblica".
I paradossi di questa vicenda politica sono in verità più di uno. Invece di partire dal fatto che lo "scalone" dovesse essere abolito, così come era stato promesso agli elettori, e a partire da questa decisione verificare come costruire le compatibilità finanziarie di tale operazione, si è fatto esattamente il contrario. Si sono cioè dichiarati intoccabili i risparmi che si sarebbero realizzati con l'applicazione della legge Maroni e si è subordinata la modifica dell'innalzamento secco a 60 anni delle pensioni di anzianità alla realizzazione, comunque, di quei risparmi. Come al solito l'enunciazione più brutale di questa nuova posizione della componente moderata dell'Unione è stata quella espressa da Massimo D'Alema nel contraddittorio con Epifani. Ma anche Tiziano Treu che nella passata legislatura si è battuto contro la legge Maroni con tutta l'opposizione (ne sono un testimone diretto) in una forte e prolungata battaglia in Commissione Lavoro al Senato, oggi ne è diventato uno dei più strenui difensori.
E ormai si evoca apertamente la crisi di governo. Da Bertinotti a Dini a Mastella non si è fatto mistero che questo è un rischio che non si può escludere. E nubi di tempesta si addensano nel centrosinistra. La presidente del gruppi dei Verdi e dei comunisti italiani al Senato, Manuela Palermi, non ha taciuto quello che pensano in molti e cioè che Dini con il suo no secco all'abolizione dello "scalone" vuole scavare la fossa al governo Prodi pensando a una propria successione.
Ora la parola spetta a Prodi ed è bene che la dica al più presto, perché non è più tollerabile che la maggioranza offra questo spettacolo al Paese. Tutti poi dovranno decidere - dalla sinistra dell'Unione ai più accesi "ultras" dell'ala centrista della coalizione - se faranno o meno dipendere il destino del governo dall'innalzamento o meno dell'età pensionabile. E' legittimo però ormai porsi un interrogativo se esista veramente un accordo sul programma di governo. E se così non è, se non sia il caso di provare a farlo. Probabilmente non ci eravamo spiegati bene tra noi prima delle elezioni, ma non si può durare a lungo se nella maggioranza c'è chi pensa che l'obiettivo primario della politica economica del governo deve essere quello di ridurre il debito pubblico tagliando la spesa sociale e chi pensa esattamente il contrario.
Questo continuo logorio non giova a nessuno. E, se si vuole che questa esperienza vada avanti, forse sarebbe necessario che il presidente del consiglio promuova una verifica vera che apra una nuova fase del centrosinistra e che - sarebbe auspicabile - giunga a un effettivo accordo programmatico sulle scelte di fondo.
di PIERO DI SIENA da Aprileonline del 6 luglio 2007
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