Caro Valentino, se praticassi ancora quotidianamente il giornalismo, come hai la fortuna di fare tu, se potessi scrivere l'editoriale di un giornale libero e riflessivo, come il manifesto, e se, naturalmente, fossi bravo a scrivere come te, avrei scritto esattamente le cose che hai scritto tu, con la tua solita, tenace onestà intellettuale, nell'editoriale di giovedì («Obiettivo a sinistra»). Dall'apertura, giustamente dedicata all'«appassionato intervento» di Bertinotti all'assemblea della Sinistra europea, alla disarmante e disarmata conclusione: o «il comunismo deve essere ancora l'orizzonte di una forza unitaria e plurale della sinistra» oppure «la difesa di un comunismo impossibile sarebbe inutile e dannosa, forse solo un trucco elettorale acchiappavoti per vecchi come me». Per vecchi, appunto, come me.
Anch'io ritengo che il dibattito in corso all'interno della stessa sinistra - fra i leader e i militanti interessati a opporre al nascente Partito democratico una forza autenticamente «comunista» o comunque «socialista» capace di mettere in campo un'adeguata «massa critica» - è troppo schiacciato sulla forma-partito, sul contenitore, quando non sui rapporti di forza tra i suoi confezionatori o, peggio, sulle collocazioni personali. Quello che manca è proprio, come efficacemente fai tu, un ragionamento sul contenuto. E trattandosi nientemeno che del «socialismo del XXI secolo», dell'«oltre» rispetto al comunismo di noi vecchi del XX secolo, non si può dire che sia una mancanza irrilevante.
Anch'io, con te, voglio invitare tutti quanti a interrogarsi pubblicamente e a confrontarsi proprio su questo, non accontentandosi delle ottime intenzioni di Bertinotti, dei tuoi editoriali e di interviste come quella rilasciata l'altro giorno a Liberazione dalla «ragazza del secolo scorso» Rossana Rossanda. Certo, premono le urgenze del governo del paese, della resistenza a una destra liberista e anti-politica sempre più arrogante e pericolosa, e della doppia crisi di fondo che tu individui: la crisi della politica e la crisi del nostro capitalismo. Nessuno può ragionevolmente sottovalutare l'articolazione e la complessità dei problemi che incombono in conseguenza di ciò sull'attuale generazione di dirigenti della sinistra, peraltro appena uscita dalla ingombrante autorevolezza della generazione che si oppose al fascismo, che partecipò alla costruzione della Repubblica e della democrazia italiana, che lottò nelle piazze e nelle fabbriche per guadagnare dignità e salari ai lavoratori e che fronteggiò il terrorismo. Si aggiunga poi che, a 20 anni dalla caduta del Muro, la sinistra deve registrare la deriva moderata, ai limiti del liberismo, del suo pezzo storicamente più importante. Detto tutto questo, si deve chiedere alla generazione dei Giordano, dei Mussi, dei Diliberto, dei Pecoraio Scanio e, se possibile, sino all'ultimo, anche dei Borselli di non perdere la consapevolezza dei forti legami fra le urgenze e le emergenze da un canto e, dall'altro, le ragioni profonde e i problemi strategici che solo qualificano l'essere di sinistra, il fare politica a sinistra, il lavorare per una uscita a sinistra della crisi del sistema politico, economico e sociale. Da vecchio, sono lacerato dagli stessi dubbi che fanno capolino fra le righe del tuo editoriale. Pur non avendo avuto noi, in qualche importante passaggio della nostra vita, un'identica risposta militante alle incertezze e alle tragedie che hanno accompagnato nel secolo scorso la storia del comunismo e in genere le ricadute delle ideologie, credo di condividere ormai da parecchio con te la stessissima posizione rispetto ai guai combinati da certi nostri ex-compagni e alle incognite che ci stanno davanti.
Sono d'accordo con te: partiamo dalla sintesi di Bertinotti (il «passaggio cruciale», l'«urgenza del fare», l'obiettivo del «socialismo del XXI secolo») e intanto discutiamo e, se possibile, precisiamo il «dove siamo» e il «dove vogliamo arrivare». Nessuno lo sa meglio di noi poveri vecchi: «Non si esce da una malattia senza una diagnosi». E' questo il lavoro che ci deve vedere tutti ugualmente impegnati noi vecchi e loro giovani. Bisogna resistere alla tentazione - nostra e loro - di una specie di divisione del lavoro, riservando la riflessione e la strategia alla generazione che ha la generosità di fare un passo indietro, e il fare e la tattica alla generazione che sta prendendo o ha già preso il nostro posto. Credo che anche sulla tattica (e sulla terapia) i Bertinotti e i Parlato hanno il dovere di dire la propria, e che soprattutto anche sulla strategia (e sulla diagnosi) si ha bisogno dell'apporto dei meno anziani, dei giovani e dei giovanissimi dirigenti e militanti destinati comunque a traghettare la sinistra reduce dal naufragio del XX secolo alla traversata del XXI secolo. Intanto, così come non abbiamo mai avuto problemi, da socialisti, a dichiararci comunisti, non avremmo oggi alcun problema, da comunisti, a dichiararci socialisti. Non abbiamo bisogno di scomodare Lenin o Gramsci per ribadire che il problema non è nominalistico. Del resto probabilmente anch'io, se fossi al manifesto, ogni tanto mi chiederei se conservare o meno la scritta «quotidiano comunista» e poi, «non scorgendo di meglio», me la terrei stretta.
Il problema è di sostanza e grosso assai. E niente si potrà costruire di solido e credibile se non si rispondesse prima alla domanda: il comunismo o socialismo che dir si voglia, deve essere ancora l'orizzonte di una forza unitaria e plurale della sinistra o siamo convinti che ci sia qualcosa «di meglio»? Io, detto chiaramente e sinceramente, credo che di questo qualcosa non si vede traccia.
di SANDRO CURZI da il Manifesto del 7 luglio 2007
Anch'io ritengo che il dibattito in corso all'interno della stessa sinistra - fra i leader e i militanti interessati a opporre al nascente Partito democratico una forza autenticamente «comunista» o comunque «socialista» capace di mettere in campo un'adeguata «massa critica» - è troppo schiacciato sulla forma-partito, sul contenitore, quando non sui rapporti di forza tra i suoi confezionatori o, peggio, sulle collocazioni personali. Quello che manca è proprio, come efficacemente fai tu, un ragionamento sul contenuto. E trattandosi nientemeno che del «socialismo del XXI secolo», dell'«oltre» rispetto al comunismo di noi vecchi del XX secolo, non si può dire che sia una mancanza irrilevante.
Anch'io, con te, voglio invitare tutti quanti a interrogarsi pubblicamente e a confrontarsi proprio su questo, non accontentandosi delle ottime intenzioni di Bertinotti, dei tuoi editoriali e di interviste come quella rilasciata l'altro giorno a Liberazione dalla «ragazza del secolo scorso» Rossana Rossanda. Certo, premono le urgenze del governo del paese, della resistenza a una destra liberista e anti-politica sempre più arrogante e pericolosa, e della doppia crisi di fondo che tu individui: la crisi della politica e la crisi del nostro capitalismo. Nessuno può ragionevolmente sottovalutare l'articolazione e la complessità dei problemi che incombono in conseguenza di ciò sull'attuale generazione di dirigenti della sinistra, peraltro appena uscita dalla ingombrante autorevolezza della generazione che si oppose al fascismo, che partecipò alla costruzione della Repubblica e della democrazia italiana, che lottò nelle piazze e nelle fabbriche per guadagnare dignità e salari ai lavoratori e che fronteggiò il terrorismo. Si aggiunga poi che, a 20 anni dalla caduta del Muro, la sinistra deve registrare la deriva moderata, ai limiti del liberismo, del suo pezzo storicamente più importante. Detto tutto questo, si deve chiedere alla generazione dei Giordano, dei Mussi, dei Diliberto, dei Pecoraio Scanio e, se possibile, sino all'ultimo, anche dei Borselli di non perdere la consapevolezza dei forti legami fra le urgenze e le emergenze da un canto e, dall'altro, le ragioni profonde e i problemi strategici che solo qualificano l'essere di sinistra, il fare politica a sinistra, il lavorare per una uscita a sinistra della crisi del sistema politico, economico e sociale. Da vecchio, sono lacerato dagli stessi dubbi che fanno capolino fra le righe del tuo editoriale. Pur non avendo avuto noi, in qualche importante passaggio della nostra vita, un'identica risposta militante alle incertezze e alle tragedie che hanno accompagnato nel secolo scorso la storia del comunismo e in genere le ricadute delle ideologie, credo di condividere ormai da parecchio con te la stessissima posizione rispetto ai guai combinati da certi nostri ex-compagni e alle incognite che ci stanno davanti.
Sono d'accordo con te: partiamo dalla sintesi di Bertinotti (il «passaggio cruciale», l'«urgenza del fare», l'obiettivo del «socialismo del XXI secolo») e intanto discutiamo e, se possibile, precisiamo il «dove siamo» e il «dove vogliamo arrivare». Nessuno lo sa meglio di noi poveri vecchi: «Non si esce da una malattia senza una diagnosi». E' questo il lavoro che ci deve vedere tutti ugualmente impegnati noi vecchi e loro giovani. Bisogna resistere alla tentazione - nostra e loro - di una specie di divisione del lavoro, riservando la riflessione e la strategia alla generazione che ha la generosità di fare un passo indietro, e il fare e la tattica alla generazione che sta prendendo o ha già preso il nostro posto. Credo che anche sulla tattica (e sulla terapia) i Bertinotti e i Parlato hanno il dovere di dire la propria, e che soprattutto anche sulla strategia (e sulla diagnosi) si ha bisogno dell'apporto dei meno anziani, dei giovani e dei giovanissimi dirigenti e militanti destinati comunque a traghettare la sinistra reduce dal naufragio del XX secolo alla traversata del XXI secolo. Intanto, così come non abbiamo mai avuto problemi, da socialisti, a dichiararci comunisti, non avremmo oggi alcun problema, da comunisti, a dichiararci socialisti. Non abbiamo bisogno di scomodare Lenin o Gramsci per ribadire che il problema non è nominalistico. Del resto probabilmente anch'io, se fossi al manifesto, ogni tanto mi chiederei se conservare o meno la scritta «quotidiano comunista» e poi, «non scorgendo di meglio», me la terrei stretta.
Il problema è di sostanza e grosso assai. E niente si potrà costruire di solido e credibile se non si rispondesse prima alla domanda: il comunismo o socialismo che dir si voglia, deve essere ancora l'orizzonte di una forza unitaria e plurale della sinistra o siamo convinti che ci sia qualcosa «di meglio»? Io, detto chiaramente e sinceramente, credo che di questo qualcosa non si vede traccia.
di SANDRO CURZI da il Manifesto del 7 luglio 2007
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