Il cardinale Ruini l'ha detto a chiare lettere: è doveroso modificare la legge 194. Non è il solo. Periodicamente in Italia la legge che ha sconfitto l'aborto clandestino e che è stata confermata da un referendum, viene attaccata e se ne chiede la modifica. Naturalmente tutti parlano e auspicano un miglioramento e tutti sanno, invece, che ogni modifica non può che essere un peggioramento. E allora, a scanso di equivoci e di ipocrisie, precisiamo alcune poche cose.
La legge 194 ha un grande merito. In trent'anni ha ridotto di quasi il 50 per cento gli aborti. La fuoriuscita dalla clandestinità, i consultori, la discussione politica e culturale di quegli anni hanno portato ad una consapevolezza e ad una cultura femminile che ha drasticamente ridotto quello che viene ritenuto ed è un dramma e una violenza. Una modifica migliorativa, se davvero tale, non può che essere nel senso di una ulteriore riduzione degli aborti e nel senso di un ulteriore aiuto e protezione della donna che è costretta o ha scelto di abortire. Altrimenti siamo di fronte ad un peggioramento.
In questi giorni nelle sale cinematografiche si può vedere un film bello e durissimo. Si chiama: "Quattro mesi, tre settimane, due giorni". Racconta dell'aborto clandestino di una giovane donna alla fine degli anni '80 nella Romania di Ceaucescu. Alla fine del film la macchina da presa si ferma per lunghi secondi sul feto espulso. Un'immagine cruda, irreggibile su cui si è concentrato gran parte del dibattito sul film, ma che è solo la conclusione di una storia di violenza che si abbatte sulle due protagoniste. Quel film non è un film sul feto, ma ricrea perfettamente l'angoscia, la durezza, la sensazione di non aver scampo, di non avere altra scelta se non la distruzione di sé e degli altri che l'aborto inevitabilmente provoca. Siamo nella Romania di Ceaucescu, ma protremmo essere nell'Italia degli anni '50 o, per molte immigrate, che non conoscono le leggi, nell'Italia di oggi. Consiglio la visione di quel film per avere le idee chiare quando in futuro parleremo ancora della modifica della legge 194. Deve essere chiaro che una donna non si deve mai più trovare, per nessuna ragione, nella condizione in cui si trovano le protagoniste di quel film e in cui si sono trovate molte donne italiane prima della legge che ha consentito loro la fuoriuscita dalla clandestinità.
Invece chi chiede la modifica della 194 e parla di un suo miglioramento perché la legge è vecchia, vuole far tornare le donne in quella condizione o in una condizione molto simile a quella. Perché non eliminiamo l'ipocrisia e non diciamo le cose come stanno? Perché si preferisce parlare di miglioramenti o adeguamento alle tecnologie? Chi vuole cambiare la legge che trent'anni fa legalizzò l'aborto chiedendo una revisione dei tempi e di nuove norme sull'aborto terapeutico, intende ripristinare un controllo, attuare una repressione, cancellare la scelta della donna. Se davvero oggi si ritenesse opportuno usare gli strumenti che la scienza mette a disposizione si potrebbero evitare alcuni aborti terapeutici intervenendo sull'embrione malato. La legge 40 che il centrodestra ha approvato e che la chiesa ha sostenuto non lo ammette. E allora? Perché lamentarsi, criticare e attaccare il ricorso all'aborto?
La verità è un'altra. Chi è pronto a sferrare il suo attacco alla legge 194 pensa di avere in mano un'arma che trentanni fa non aveva. E pensa di poterla usare. Oggi chi ha meno di 40 anni non ha vissuto le angosce della clandestinità. L'interruzione di gravidanza negli ospedali pubblici in Italia è fortunatamente una dato acquisito. Ma proprio questo potrebbe creare un'indifferenza e un'ignoranza. Il fatto poi che l'aborto oggi riguardi sempre di più le donne meno istruite e soprattutto le immigrate, nel clima di "caccia agli ultimi" che dilaga in questa fine estate potrebbe aggravare la situazione. Su questo punta il cardinale Ruini e chi la pensa come lui. Del resto un politica simile ha già dato i suoi frutti poco più di due anni fa al referendum sulla legge 40, quando lo stesso Ruini invitò a disertare il voto puntando proprio sull'indifferenza e sull'ignoranza. Si può ricreare una situazione simile? Sì, si può ricreare se non si smaschera l'ipocrisia di certe affermazioni e se si dimentica troppo facilmente.
di RITANNA ARMENI da Liberazione del 6 Settembre 2007
La legge 194 ha un grande merito. In trent'anni ha ridotto di quasi il 50 per cento gli aborti. La fuoriuscita dalla clandestinità, i consultori, la discussione politica e culturale di quegli anni hanno portato ad una consapevolezza e ad una cultura femminile che ha drasticamente ridotto quello che viene ritenuto ed è un dramma e una violenza. Una modifica migliorativa, se davvero tale, non può che essere nel senso di una ulteriore riduzione degli aborti e nel senso di un ulteriore aiuto e protezione della donna che è costretta o ha scelto di abortire. Altrimenti siamo di fronte ad un peggioramento.
In questi giorni nelle sale cinematografiche si può vedere un film bello e durissimo. Si chiama: "Quattro mesi, tre settimane, due giorni". Racconta dell'aborto clandestino di una giovane donna alla fine degli anni '80 nella Romania di Ceaucescu. Alla fine del film la macchina da presa si ferma per lunghi secondi sul feto espulso. Un'immagine cruda, irreggibile su cui si è concentrato gran parte del dibattito sul film, ma che è solo la conclusione di una storia di violenza che si abbatte sulle due protagoniste. Quel film non è un film sul feto, ma ricrea perfettamente l'angoscia, la durezza, la sensazione di non aver scampo, di non avere altra scelta se non la distruzione di sé e degli altri che l'aborto inevitabilmente provoca. Siamo nella Romania di Ceaucescu, ma protremmo essere nell'Italia degli anni '50 o, per molte immigrate, che non conoscono le leggi, nell'Italia di oggi. Consiglio la visione di quel film per avere le idee chiare quando in futuro parleremo ancora della modifica della legge 194. Deve essere chiaro che una donna non si deve mai più trovare, per nessuna ragione, nella condizione in cui si trovano le protagoniste di quel film e in cui si sono trovate molte donne italiane prima della legge che ha consentito loro la fuoriuscita dalla clandestinità.
Invece chi chiede la modifica della 194 e parla di un suo miglioramento perché la legge è vecchia, vuole far tornare le donne in quella condizione o in una condizione molto simile a quella. Perché non eliminiamo l'ipocrisia e non diciamo le cose come stanno? Perché si preferisce parlare di miglioramenti o adeguamento alle tecnologie? Chi vuole cambiare la legge che trent'anni fa legalizzò l'aborto chiedendo una revisione dei tempi e di nuove norme sull'aborto terapeutico, intende ripristinare un controllo, attuare una repressione, cancellare la scelta della donna. Se davvero oggi si ritenesse opportuno usare gli strumenti che la scienza mette a disposizione si potrebbero evitare alcuni aborti terapeutici intervenendo sull'embrione malato. La legge 40 che il centrodestra ha approvato e che la chiesa ha sostenuto non lo ammette. E allora? Perché lamentarsi, criticare e attaccare il ricorso all'aborto?
La verità è un'altra. Chi è pronto a sferrare il suo attacco alla legge 194 pensa di avere in mano un'arma che trentanni fa non aveva. E pensa di poterla usare. Oggi chi ha meno di 40 anni non ha vissuto le angosce della clandestinità. L'interruzione di gravidanza negli ospedali pubblici in Italia è fortunatamente una dato acquisito. Ma proprio questo potrebbe creare un'indifferenza e un'ignoranza. Il fatto poi che l'aborto oggi riguardi sempre di più le donne meno istruite e soprattutto le immigrate, nel clima di "caccia agli ultimi" che dilaga in questa fine estate potrebbe aggravare la situazione. Su questo punta il cardinale Ruini e chi la pensa come lui. Del resto un politica simile ha già dato i suoi frutti poco più di due anni fa al referendum sulla legge 40, quando lo stesso Ruini invitò a disertare il voto puntando proprio sull'indifferenza e sull'ignoranza. Si può ricreare una situazione simile? Sì, si può ricreare se non si smaschera l'ipocrisia di certe affermazioni e se si dimentica troppo facilmente.
di RITANNA ARMENI da Liberazione del 6 Settembre 2007
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