mercoledì 5 settembre 2007

Oggi una federazione, domani un partito. Ma non rinunciamo al socialismo europeo.

La decisione della maggioranza dei Ds di sciogliere il partito per fondersi con la Margherita nel PD ha prodotto due effetti negativi, strettamente collegati, che qualcuno di noi aveva previsto e cercato di evitare. Da un lato la destabilizzazione del governo, con la coabitazione di due leader, Prodi e Veltroni, che già “duellano” su programma di governo, tasse e debito. Dall’altro l'estrema difficoltà di garantire la presenza in Italia di una significativa forza di sinistra e socialista. Ed è questo il punto che qui mi interessa approfondire.
La ricerca di Sinistra Democratica tende alla costruzione di un partito della sinistra italiana, e tende a ottenere il risultato dell'adesione di questo partito al Socialismo europeo e internazionale. Il problema (ma non la soluzione!) è che in questo momento si intravede la possibilità del primo risultato, non ancora quello del secondo.
Per questo SD propone, intanto, una federazione di tutta la sinistra (socialisti, comunisti, ambientalisti), in vista della successiva costruzione di un partito unitario, di chiara collocazione socialista. L'obiettivo è infatti duplice: unità, ma anche rinnovamento.
Mi sembra un impegno del tutto coerente con la nostra battaglia di questi anni, e con la conferma (che ci avviamo a formalizzare, partendo dalla nostra presenza nel Gruppo parlamentare europeo del PSE) della nostra adesione alle organizzazioni internazionali del socialismo.
E ciò perché l'identità socialista, per un partito politico, risiede anche nella capacità di non limitarsi alla testimonianza di un gruppo ristretto, ma essere grande forza di governo (anche quando è all'opposizione).
La forza dei partiti socialisti europei, è insomma, se mi si consente il gioco di parole, nell'essere forti. Sono - essi sì - partiti a vocazione maggioritaria, per dirla con Veltroni, ovvero capaci di fare massa critica, per dirla con Bertinotti. Sono cioè le forze politiche fondamentali di riferimento per i lavoratori, per i ceti popolari, per i cittadini di sinistra, che sanno e riconoscono, per la storia di quei partiti, per il radicamento sociale, per i valori fondamentali asseriti, che lì è la sinistra.
In Italia, la decisione della maggioranza dei Ds di sciogliersi non solo ha eliminato in radice la possibilità per i DS di svolgere la funzione delle socialdemocrazie, ma ha dato vita a un nuovo partito, quello democratico, dichiaratamente non di sinistra né socialista. E ciò è confermato, non certo contraddetto, dalla stanca reiterazione della vecchia proposta di una nuova internazionale dei democratici e dei socialisti, che non suscita del resto alcun interesse fuori d'Italia, come conferma la platea fragilina del recente incontro di Veltroni a Parigi.
Si aggiunga un dato legato alla storia italiana: il Pci vi ha avuto un enorme radicamento per quasi mezzo secolo. Si spiega anche così il perdurante consenso in Italia - a differenza che nel resto d'Europa - di milioni di cittadini a due forze politiche che a quel nome e a quel simbolo continuano a fare riferimento, anche se con l'apertura nella maggiore di esse di un importante dibattito sul socialismo (non il comunismo) del XXI secolo.
A chi vuol far vivere le ragioni del socialismo oggi in Italia serve insistere nella indicazione “i socialisti con i socialisti, i comunisti con i comunisti”? Non condividere questa indicazione non significa affatto rinunciare all'impegno per la prospettiva socialista. Al contrario. Credo che un soggetto federativo della sinistra, nel quale vi sia una forte e autonoma componente che aderisca al PSE e all'Internazionale Socialista, sia la via migliore per far valere le ragioni del socialismo in Italia. Chi crede nella forza di quelle ragioni deve cercare di farle valere nell'ambito oggi possibile in Italia, che è quello di una federazione della sinistra.
A me non pare che i due partiti comunisti per la prima volta insieme al governo, come dice la campagna della grande stampa alla quale gli esponenti del PD fanno eco (chi più e chi meno), si stiano mostrando massimalisti o radicali. Ritengo invece che nel merito molte loro posizioni (anche se certamente non tutte) abbiano grande serietà programmatica. Quando esprimono posizioni non condivisibili (come il giudizio drasticamente negativo sulla parte previdenziale dell'accordo sul welfare) bisogna dirlo con chiarezza, e lo abbiamo fatto. Ma a me sembrano assai più estremistiche alcune posizioni emerse nel centro del nostro schieramento, dal liberismo selvaggio all'integralismo reazionario che mina in radice la laicità dello stato, alla stessa questione di lavavetri. Tema, quest'ultimo, non secondario. C'è infatti una inquietante deriva politica, sociale ma soprattutto culturale, che l'avvio del PD sta determinando. Non è un caso che, pur con linguaggio diverso, tutta la sinistra italiana, compresi autorevoli dirigenti dello Sdi, abbia preso le distanze dalla tesi per cui la minaccia per la sicurezza dei cittadini non viene dalla crescente arroganza della criminalità organizzata e comune, ma dai lavavetri e dai mendicanti. È un altro segnale di un comune sentire di fondo a sinistra, di cui l'Italia oggi ha tanto bisogno.
E quindi, per contrastare questa deriva, c'è un grande compito per i socialisti italiani, quale che sia il rispettivo partito di provenienza: unire la sinistra, per rinnovarla.

di CESARE SALVI da il Riformista del 5 settembre 2007

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