domenica 16 settembre 2007

Il sapere come bene comune

Nella dimensione mondiale assistiamo ad una creazione incessante di nuovi beni: la conoscenza prima di tutto.
Qual è il modo migliore per sfruttare la ricchezza della rete? Tra mercato e libero accesso, la posta in gioco non è piccola.
La connessione garantita a tutti non promette nulla circa i contenuti.
L´informazione è un diritto fondamentale garantito da molto tempo.

Nell´ottobre del 1847, pochi mesi prima della pubblicazione del Manifesto dei Comunisti, Alexis de Tocqueville redigeva la bozza d´una dichiarazione politica che avrebbe poi trascritto nei suoi Souvenirs, e così rifletteva: «ben presto la lotta politica si svolgerà tra quelli che possiedono e quelli che non possiedono; il grande campo di battaglia sarà la proprietà». Quel conflitto è continuato, ininterrotto, e continua ancora, anche se al centro dell´attenzione non è più la terra, ma piuttosto il vivente, l´immateriale, il sapere nel suo insieme. Il campo di battaglia si è allargato. È diventato il mondo intero, abbraccia molti altri diritti, li ridefinisce, li riscrive, li considera non più dal punto di vista strettamente individualistico, ma pure nell´ottica di una appartenenza comune.
La questione dei beni comuni è essenziale. Il senso della battaglia, di cui parlava Tocqueville, è profondamente cambiato.
Non riguarda soltanto un conflitto intorno a risorse scarse, oggi l´acqua più ancora che la terra. Nella dimensione mondiale assistiamo ad una creazione incessante di nuovi beni, la conoscenza prima di tutto, rispetto ai quali la scarsità non è l´effetto di dati naturali, ma di politiche deliberate, di usi impropri del brevetto e del copyright, che stanno determinando un movimento di "chiusura" simile a quello che, in Inghilterra, portò alla recinzione delle terre comuni, prima liberamente accessibili.
Dobbiamo concludere che la tecnologia apre le porte e il capitale le chiude? Certo è che intorno al destino di nuovi e vecchi beni comuni si gioca una partita decisiva per la libertà e l´eguaglianza.
Protagonisti di questa vicenda non sono singoli o gruppi. È un´entità anch´essa nuova che, mimando la formula "economia mondo" di Immanuel Wallerstein, è stata definita "popolo mondo". È il popolo di Internet, un popolo mobile, che si aggira nel mondo globale, scaricando musica e film, creando e diffondendo informazioni, producendo sapere sociale. Ed è proprio questa dimensione sociale che sconvolge vecchie logiche, mostra in ogni momento l´inadeguatezza di regole consolidate. E pone un interrogativo ineludibile. Qual è il modo migliore per sfruttare «la ricchezza della rete»? Ricondurre anche questo mondo nuovo soltanto alla logica di mercato? O perseguire quella che Franco Cassano chiama «la ragionevole follia dei beni comuni», considerati sia nelle forme della loro possibile proprietà, sia come componente essenziale dell´«era dell´accesso»? La posta in gioco non è piccola. Schematizzando al massimo: privatizzazione del mondo o possibilità inedite di percorrerlo liberamente, con equilibri nuovi tra diritti individuali e godimento collettivo.
Proprio il tema dell´accesso svela i termini veri della questione, e la sua difficoltà. Già nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo dell´Onu riconosceva come diritto fondamentale quello di «cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee». E, ben prima di allora, la necessità di garantire senza discriminazioni l´accesso al sapere era il fondamento delle politiche pubbliche sull´istruzione obbligatoria e gratuita e sull´istituzione di biblioteche aperte a tutti, alcune delle quali concepite come deposito di un sapere universale (o almeno nazionale) grazie all´obbligo di inviare ad esse tutto ciò che veniva pubblicato. Oggi una soluzione come questa è evidentemente impraticabile per la Rete, luogo dove vorticosamente compaiono e scompaiono quotidianamente milioni di informazioni. E tuttavia l´accesso rimane il punto di partenza: come garantirlo e, soprattutto, che cosa garantire.
Rifacendosi a esperienze già note, come quella del telefono, si è parlato di «servizio universale»: a tutti dovrebbe essere garantita la connessione a Internet. Ma quello che per il telefono poteva essere considerato il punto d´arrivo - essere messi in condizione di parlare con chiunque - per Internet è solo un punto di partenza. Una volta che mi sia stata garantita la connessione, a che cosa potrò accedere? All´insieme del sapere disponibile in Rete o soltanto a sue frazioni tra le meno significative e appetibili? Il diritto alla connessione non può, in concreto, garantire solo l´accesso al nulla, a contenuti poveri o poco significativi per molti utenti. L´esperienza della televisione può fornire qualche indicazione, con il progressivo trasferimento dei programmi più interessanti nell´area della televisione a pagamento.
Vi è il rischio che ci venga consegnata una chiave che apre soltanto una stanza vuota. Proprio a questa immagine ricorre uno dei maggiori studiosi di questi temi, Lawrence Lessig, ragionando sul futuro delle idee: «Sei completamente libero di fare il film che vuoi in una stanza vuota, con i tuoi due amici». Che cosa lo ha spinto ad una conclusione così sconsolata? La constatazione dei mille nuovi vincoli che avvolgono l´attività cinematografica, nati appunti da una privatizzazione della conoscenza. Quella visiva, questa volta. Riprendere la facciata di un edificio può indurre il proprietario o l´architetto a chiedere un compenso, e lo stesso può avvenire se un designer scorge in una scena del film una sedia che ha progettato.
Da qui deve partire anche una riflessione sull´eguaglianza. Questa viene sempre più intesa come eguaglianza dei punti di partenza, non dei risultati. Ma proprio la questione dell´accesso mostra come non ci si possa limitare a fornire pari opportunità se, poi, queste possono essere concretamente utilizzate solo da alcuni. Una situazione, questa, che diviene assai più eloquente quando il sapere incrocia il fondamentale diritto alla salute. Da anni la questione dei brevetti sui farmaci è davvero un campo di battaglia. Diversi paesi, dal Brasile al Sudafrica all´India, rivendicano il diritto di produrre a basso costo farmaci necessari per curare milioni di malati di Aids o di malaria, infrangendo anche i diritti della grande industria farmaceutica. L´accesso di tutti ai frutti del sapere, i farmaci in questo caso, diviene la condizione perché la salute non venga assicurata in modo selettivo solo a chi ha le risorse per comprarla sul mercato, ma davvero ad ogni persona. L´accesso diviene parte costitutiva della cittadinanza.
La consapevolezza sempre più diffusa che la conoscenza è un «bene pubblico globale», come sottolinea Luciano Gallino, sta così determinando un ripensamento profondo delle regole, a partire da quelle che riguardano il brevetto e il diritto d´autore, e una richiesta perentoria di non appropriarsi del vivente, della diversità biologica. Nuove parole percorrono il mondo - software libero, open source - che ci parlano proprio di un mondo che deve essere aperto, disponibile per chi vuole conoscere, diffondere liberamente informazioni, produrre sapere condiviso. Questa ricerca di nuovi equilibri tra interessi di autori, inventori, industrie e interessi della collettività non è motivata soltanto da una sorta di rifiuto della logica di mercato. Vi è una critica liberista anche più radicale, che insiste sulla crescente inefficienza dei vecchi strumenti, e propone addirittura l´abolizione del copyright. Un esempio può chiarire come cambia il modo in cui si può accedere al sapere. La free press, i giornali distribuiti gratuitamente non sono il segno di una generosità o altruismo dell´editore, ma di un altro modo di fare profitto. E le enormi possibilità della Rete, la sua ricchezza, possono essere ben utilizzate solo se vengono rimossi gli ostacoli al pieno sfruttamento delle sue potenzialità, che configurano appunto anche una «non market economy».
Ma l´accesso alla conoscenza deve implicare sempre anche la possibilità di essere «esposti» alle opinioni più diverse, per poterle confrontare, per sviluppare capacità critiche. Questo significa, ovviamente, rifiuto della censura, di monopoli e posizioni dominanti e, insieme, accesso diretto alle fonti, trasparenza delle informazioni. Qui è la radice del pluralismo, dell´autonomia di giudizio di ciascuno. Così è possibile uscire dagli arcana imperii, liberarsi da poteri avvolti dal segreto, e per ciò solo oppressivi.
Il sapere libero e diffuso fa tutt´uno con la democrazia. Luigi Einaudi diceva «conoscere per deliberare». Un grande giudice americano, Louis Brandeis, osservava che «la luce del sole è il miglior disinfettante». La conoscenza, dunque, come fondamento della decisione democratica e del controllo diffuso.
L´informazione è potere, si è sempre detto. Ma ci si è sempre chiesti: potere di chi?

di STEFANO RODOTA' da la Repubblica del 15 settembre 2007

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