Definizione fascinosissima, quella di «una sinistra unita e plurale». Solo che per utilizzarla senza farla diventare uno slogan rassicurante ma falso, non ci sono scorciatoie. Bisogna coraggiosamente percorrere nuove strade, ma ancor più coraggiosamente analizzare quelle già percorse, anche di recente. Affrontare quella che un padre nobile della sinistra come Aldo Tortorella riassume con «la questione del dove abbiamo sbagliato».
Quali valori e quali forme per una sinistra unita e plurale è il tema di una tre giorni di dibattiti organizzati qui a Firenze dall'omonima vitalissima associazione. Coordinatore del primo appuntamento, il professor Paul Ginsborg, che ha messo intorno a un tavolo intellettuali di estrazione diversa ma non distante. Marco Revelli, Aldo Tortorella, Tana De Zulueta, Maria Luisa Boccia, Giovanni Berlinguer e Alberto Asor Rosa.
La richiesta dell'ospite fiorentino era di parlarsi in modo franco e fuori dai denti. E i relatori lo hanno fatto, senza troppi riguardi, tenendo inchiodate sulle poltroncine del Teatro Rifredi più di trecento persone per due abbondanti ore di dibattito. L'unità della sinistra oggi è una necessità storica, perché, ha spiegato Ginsborg c'è da riempire «un grande vuoto, sempre più evidente con lo spostamento al centro del Partito democratico». «E' come se fossimo saliti su una barca - dice De Zulueta - e tutti quelli che stavano seduti da una parte improvvisamente si siano spostati da un'altra: si rischia di cappottare».
La propria sopravvivenza, quella delle idee comuni, a sinistra, è di per sé una ragione per provare a stare uniti. Ma non basta. Bisogna parlare uno stesso linguaggio valoriale, confrontare le tante e diverse pratiche politiche.
Non farlo espone al rischio che la federazione della sinistra sia, come dice Berlinguer, «un ottimo coordinamento di gruppi parlamentari». Ma alla fine «il quartetto» - così qui chiamano, con affetto ma non troppo, i segretari di Prc, Pdci, Sd e verdi che oggi pomeriggio discuteranno con questa stessa platea - resta solo un quartetto, mentre l'ambizione è quella di fare un'orchestra, polifonica ma orchestra. «La manifestazione del 20 ottobre a Roma - dice Tortorella - nasce proprio dal desiderio di interpellare il nostro popolo», di farlo ascoltare dal governo Prodi ma anche dal «quartetto» che sta per convocare gli Stati generali della sinistra. Che non si esauriscono certo in tre partiti e un movimento.
C'è persino un'aggravante. E' che non si parte da zero, ma da alcuni smaglianti fallimenti. Qui Alberto Asor Rosa ricorda l'esperienza che poco più di due anni fa venne chiamata «camera di consultazione della sinistra». Asor Rosa è implacabile nell'accusare Rifondazione di averla fatta fallire «perché desiderava che nessuno influenzasse la sua condotta elettorale». Diciamocela tutta, insiste, «unita e plurale significa, in politichese, unita e divisa». Colpa del ceto politico che nella sinistra radicale non è poi tanto radicalmente diverso che altrove, prosegue. Ed è «impermeabile ai contributi della società civile. Un conto sono le parole, un conto è la condivisione del potere». Il nodo dei politici e dei partiti non si elude, qui la platea non è grillina, ma non per questo è meno severa.
Per la femminista Maria Luisa Boccia (senatrice per Prc-Sinistra europea) non è così: uniti e plurali non è un ossimoro, non c'è altra strada che non sia la politica, ovvero il luogo della mediazione che a sua volta è il frutto di un conflitto. La mediazione che «consente la convivenza di pluralità e differenze non ridotte né riducibili a una sola identità». Va avviato quindi un percorso costituente, una rifondazione, un'altra.
«Stiamo assistendo alla fine della sinistra politica. Viene da lontano, da un lungo processo di disgregazione sociale. Ma alla fine si fa più veloce», dice il sociologo Marco Revelli. Una sinistra stritolata dalla scelta fra i rapporti istituzionali e la sua fedeltà sociale. L'ordinanza contro i lavavetri, qui a Firenze, è un sintomo-simbolo di quello che sta accadendo. Usare i lavavetri per dire che gli ultimi sono un fastidio è un atto simbolico, la liquidazione dello zoccolo duro dell'identità della sinistra. La ricostruzione è un processo lunghissimo, e chissà per quante federazioni passa. Ma è già molto che il «quartetto» si accordi per rallentare il processo «mettendo un piede nella porta che si sta per chiudere». Il corteo del 20 ottobre, per Revelli, ha questo senso. «Vorrei che un pezzo d'Italia si facesse vedere e dicesse che non è d'accordo. E che è ancora in grado di parlare».
di DANIELA PREZIOSI da il Manifesto del 22 settembre 2007
Quali valori e quali forme per una sinistra unita e plurale è il tema di una tre giorni di dibattiti organizzati qui a Firenze dall'omonima vitalissima associazione. Coordinatore del primo appuntamento, il professor Paul Ginsborg, che ha messo intorno a un tavolo intellettuali di estrazione diversa ma non distante. Marco Revelli, Aldo Tortorella, Tana De Zulueta, Maria Luisa Boccia, Giovanni Berlinguer e Alberto Asor Rosa.
La richiesta dell'ospite fiorentino era di parlarsi in modo franco e fuori dai denti. E i relatori lo hanno fatto, senza troppi riguardi, tenendo inchiodate sulle poltroncine del Teatro Rifredi più di trecento persone per due abbondanti ore di dibattito. L'unità della sinistra oggi è una necessità storica, perché, ha spiegato Ginsborg c'è da riempire «un grande vuoto, sempre più evidente con lo spostamento al centro del Partito democratico». «E' come se fossimo saliti su una barca - dice De Zulueta - e tutti quelli che stavano seduti da una parte improvvisamente si siano spostati da un'altra: si rischia di cappottare».
La propria sopravvivenza, quella delle idee comuni, a sinistra, è di per sé una ragione per provare a stare uniti. Ma non basta. Bisogna parlare uno stesso linguaggio valoriale, confrontare le tante e diverse pratiche politiche.
Non farlo espone al rischio che la federazione della sinistra sia, come dice Berlinguer, «un ottimo coordinamento di gruppi parlamentari». Ma alla fine «il quartetto» - così qui chiamano, con affetto ma non troppo, i segretari di Prc, Pdci, Sd e verdi che oggi pomeriggio discuteranno con questa stessa platea - resta solo un quartetto, mentre l'ambizione è quella di fare un'orchestra, polifonica ma orchestra. «La manifestazione del 20 ottobre a Roma - dice Tortorella - nasce proprio dal desiderio di interpellare il nostro popolo», di farlo ascoltare dal governo Prodi ma anche dal «quartetto» che sta per convocare gli Stati generali della sinistra. Che non si esauriscono certo in tre partiti e un movimento.
C'è persino un'aggravante. E' che non si parte da zero, ma da alcuni smaglianti fallimenti. Qui Alberto Asor Rosa ricorda l'esperienza che poco più di due anni fa venne chiamata «camera di consultazione della sinistra». Asor Rosa è implacabile nell'accusare Rifondazione di averla fatta fallire «perché desiderava che nessuno influenzasse la sua condotta elettorale». Diciamocela tutta, insiste, «unita e plurale significa, in politichese, unita e divisa». Colpa del ceto politico che nella sinistra radicale non è poi tanto radicalmente diverso che altrove, prosegue. Ed è «impermeabile ai contributi della società civile. Un conto sono le parole, un conto è la condivisione del potere». Il nodo dei politici e dei partiti non si elude, qui la platea non è grillina, ma non per questo è meno severa.
Per la femminista Maria Luisa Boccia (senatrice per Prc-Sinistra europea) non è così: uniti e plurali non è un ossimoro, non c'è altra strada che non sia la politica, ovvero il luogo della mediazione che a sua volta è il frutto di un conflitto. La mediazione che «consente la convivenza di pluralità e differenze non ridotte né riducibili a una sola identità». Va avviato quindi un percorso costituente, una rifondazione, un'altra.
«Stiamo assistendo alla fine della sinistra politica. Viene da lontano, da un lungo processo di disgregazione sociale. Ma alla fine si fa più veloce», dice il sociologo Marco Revelli. Una sinistra stritolata dalla scelta fra i rapporti istituzionali e la sua fedeltà sociale. L'ordinanza contro i lavavetri, qui a Firenze, è un sintomo-simbolo di quello che sta accadendo. Usare i lavavetri per dire che gli ultimi sono un fastidio è un atto simbolico, la liquidazione dello zoccolo duro dell'identità della sinistra. La ricostruzione è un processo lunghissimo, e chissà per quante federazioni passa. Ma è già molto che il «quartetto» si accordi per rallentare il processo «mettendo un piede nella porta che si sta per chiudere». Il corteo del 20 ottobre, per Revelli, ha questo senso. «Vorrei che un pezzo d'Italia si facesse vedere e dicesse che non è d'accordo. E che è ancora in grado di parlare».
di DANIELA PREZIOSI da il Manifesto del 22 settembre 2007
Nessun commento:
Posta un commento