Domando a te, comunista storico: perché storicamente l'attenzione dei comunisti per l'ambiente è stata così povera, anzi inesistente?
Lo è stata fino a Berlinguer…
Be', anche dopo non mi pare le cose siano gran che cambiate…
Ma dopo Berlinguer i comunisti storici sono finiti. Per quanto riguarda il vecchio partito comunista il perché è chiaro. Il vecchio Pci era figlio dell'idea sviluppista, dell'idea industrialista, del fordismo… l'obiettivo era orientare il processo di accumulazione in modo da distribuire più equamente la ricchezza, ma senza un sostanziale cambiamento del modello. Il grande programma di Togliatti del '56 era contro l'arretratezza dell'Italia, per lo sviluppo. Nel ‘66, all'XI congresso del Pci, per la prima volta viene avanzata l'idea che è il modello di sviluppo che non funziona. Ad avanzarla fu Ingrao che venne messo in minoranza… Fu poi Berlinguer a riprendere l'idea, nel '77, con la filosofia dell'austerità, che era critica del consumismo e proposta di uno sviluppo della qualità non della quantità. Ma fu oggetto di attacchi furibondi. Gli stessi dirigenti intermedi puntavano all'immediato miglioramento di condizione delle masse, confrontandosi con il senso comune, che è fatto anche di arretratezze.
Eppure si avvertiva già il condizionamento legato alla cultura del consumismo, a quella "colonizzazione dei cervelli" che è il grande motore del mercato…
Certo, certo. Ma era una cultura introiettata da buona parte degli stessi dirigenti. La gente voleva la macchina, la casa, le vacanze. Allora ci si stava preparando a quello che fu poi definito "governo delle astensioni", e parlare di austerità non sembrava la cosa più opportuna.
Eppure erano gli anni in cui l'ambientalismo andava mettendo radici, anche in Italia, con Peccei, il Club di Roma, con idee che somigliavano molto a quelle di Berlinguer.
Certo. Berlinguer diceva: il Club di Roma ha ragione. E c'era un certo numero di noi che condivideva queste posizioni, io ne ero parte. Ma c'erano anche influenti membri del partito che erano invece ostili, erano favorevoli al nucleare, e in genere allo sviluppo. Berlinguer si reggeva sul suo prestigio personale, ma nella concretezza della direzione del partito era in netta minoranza. Essere in qualche modo al governo significava investirsi di una saggia amministrazione delle cose.
All'interno del sistema dato…
Eh sì. Eppoi, problemi come l'ambiente erano fuori dalla nostra portata. Un paese da solo - si diceva - non può far niente.
Che è anche vero. Però, se il Pci avesse riflettuto che chi pagava di più le conseguenze del guasto ambientale erano i poveri, i contadini che trattavano pesticidi, gli operai che lavoravano su processi tossici, gli alluvionati dal Sud del mondo.
Sì, ma dire queste cose comportava una rivoluzione culturale. E questo avrebbe comportato anche un mutamento degli assetti interni al partito. Eppoi c'erano altre cose a cui pensare, lavoro, pensioni. Le stesse posizioni del Club di Roma parevano astratte, da intellettuali. E non solo nel Pci. Per molte persone di tutto rispetto erano farfalle sotto l'arco di Tito. Si son dovuti sciogliere i poli perché si capisse qualcosa. E ancora oggi conta solo la miglior gestione dell'esistente. Insomma, io ho concepito l'idea di fondare l'Ars, un'associazione politico-culturale, nel tentativo di ridiscutere i principi fondamentali. Per esempio con il Documento di Orvieto si cerca di cambiare i fondamenti culturali, di capire quale dovrebbe essere la nostra cultura. Secondo me anche l'idea di aderire ai movimenti è solo in parte giusta, perché colgono solo frammenti di realtà. Si dice no alla Tav, ma che passi pure in Svizzera. L'inceneritore, si metta da un'altra parte. Così la spazzatura.
Un momento. I movimenti non sono solo questo. Il problema locale spesso induce una consapevolezza più ampia. Eppoi bisogna distinguere, ci sono movimenti che sanno di cosa parlano quando dicono "ambiente". Prendi "La Decrescita": va al cuore del problema, I'impossibilità di una crescita illimitata in un pianeta limitato.
Per questo basta il buon senso. Una crescita infinita non è possibile in un mondo finito.
Eh no... Non pare proprio così ovvio, se tutti i governanti del mondo non fanno che invocare crescita. E anche nell'Ars, a lungo sono stata sola a parlare di questa clamorosa contraddizione, nel silenzio generale, o addirittura tra sorrisi di compatimento…
Noi dell'Ars fin dall'inizio abbiamo tentato di parlare di nuova soggettività della sinistra: proprio perché la sinistra oggi non ha un progetto culturale, non sa che mondo vuole. L'idea di ripensare la cultura della sinistra, considerando problema centrale il rapporto tra quantità e qualità, è ancora adesso qualcosa di molto difficile. Su questo anche nell'Ars c'è stata un'evoluzione positiva. Ma la vera svolta a mio parere è stato il Documento di Orvieto, quello poi fatto proprio anche dalle associazioni "Uniti a sinistra" e "Rossoverde". Lì vien fuori chiaramente la critica della quantità come elemento di definizione del capitalismo. E però non mi pare che questa consapevolezza venga assunta in tutta la sua portata. La tua stessa relazione, pregevolissima per tanti versi, indicava come temi centrali: pace, lavoro, libertà. Cose sacrosante, per carità. Ma il fatto è che una corretta valutazione del problema ambiente rimette in discussione tutto. Il lavoro, ad esempio, in chiave ecologica andrebbe ripensato radicalmente, e fortemente ridotto. Oggi un'enorme quantità di lavoro serve a produrre cose destinate a finire in discarica in poche settimane, che inquinano soltanto, oltre ad alzare il Pil naturalmente. Ma nessuno pare se ne preoccupi. Come nessuno sembra considerare che il mercato del lavoro è globale, che quel che succede a Napoli può essere determinato da quel che succede a Hong Kong. Le sinistre considerano queste cose? No, per grandissima parte no. Devono rincorrere il consenso, e l'idea di ridurre i tempi di lavoro oggi è dimenticata, le 35 ore sono finite, in Francia si vogliono detassare gli straordinari. La tesi è: chi più lavora più guadagna. Le sinistre, quelle che stanno nelle istituzioni, si adeguano. Poi capiterà che sbatteranno la testa. Ma per ora la corsa al reddito, al consumo, alle vacanze, e quant'altro, nessuno la contrasta. Il mondo sta correndo verso la rovina, con grande diletto, parrebbe. Ora qualche sensibilità si sta destando, per via dei fenomeni sempre più drammatici che si verificano ogni giorno…
Ecco, parliamo di oggi. Oggi nessuno più sfotte quando si parla di crisi ecologica. Tutti sanno che esiste. Ma nessuno, al mondo, fa una politica ambientalista seria. Le energie rinnovabili sono l'unico impegno, da parte di tutti. Per poter continuare a produrre, e a crescere naturalmente. E scassare definitivamente il mondo…
Tutti la pensano così. Anche i Verdi. In un recente dibattito ho sentito il rappresentante dei Verdi dire: "Noi siamo per un altro modello energetico". Tutto qui.
Ma il fatto che dovunque le distanze tra ricchi e poveri aumentino, nonostante la crescita, possibile che non dica niente alle sinistre? Che non capiscano che la crescita distrugge l'ambiente e socialmente non risolve? Che crisi ecologica e crisi sociale vanno di pari passo?
In Europa le sinistre continuano ad essere sviluppiste. Altrove non esistono nemmeno. E' un dato di realtà.
E questa realtà non si può cambiare?
Certo che si può. Ma per ora le sinistre che hanno vinto, contro di me e contro di te, se gli dici che bisogna cambiare la qualità del modello, al massimo ti rispondono: ma sì, parlatene pure. E' tutto.
In questa situazione il tentativo in corso, di aggregazione tra le sinistre italiane, le uniche che ancora si definiscono così, come lo vedi?
Non c'è una cultura comune, questo è il punto. Una cosa innanzitutto dobbiamo sapere: noi che vogliamo una nuova cultura, siamo una minoranza, via via più consistente ma assoluta. Gli altri sono preoccupati solo di avere più voti, e inseguono le destre, ammirano Sarkozy che ha vinto perché è più sviluppista di noi.
Ma possibile che le sinistre non si rendano conto della gravità del dissesto ecologico, non capiscano che così è impossibile continuare. Oggi la situazione anche a livello di opinione diffusa va cambiando, la minaccia della catastrofe è presente. Non pensi che sarebbe compito delle sinistre assumere il rischio ambiente nella sua reale portata, farne l'asse portante della loro politica? Ma tu non vedi soluzione, mi pare.
Io vedo una sola soluzione: insistere sulla battaglia culturale che stiamo conducendo, sapendo che a pensarla così oggi sono molti più di ieri. La sinistra va conquistata, e per farlo non bisogna preoccuparsi troppo dei voti.
D'altronde io credo che una politica ambientalista seria, corretta, avrebbe una ricaduta positiva anche sul piano dei suffragi. La gente ormai si sente insicura.
Sì, bisogna costruire una opinione almeno europea. Non si può saltare la costruzione delle menti. Mancano i fondamenti, su questi bisogna lavorare. Pensare il mondo in un altro modo.
Manca cioè una vera politica. Eppure credo che ci sarebbero i presupposti per una grande vera politica. A partire dalla crisi del capitale. Non so come la pensi tu, ma sono in molti a credere che il capitalismo sia in grave crisi.
Non c'è dubbio. Il capitalismo è in crisi. Si salva solo con la guerra…
Allora. Le sinistre, quelle poche che restano, non potrebbero cavalcare proprio la crisi economica insieme a quella sociale e a quella ecologica? Perché fino a certo punto l'accumulazione capitalistica, sia pure a costi tremendi, aveva migliorato le condizioni dei lavoratori nei paesi industrializzati: oggi questo processo si è rovesciato, le distanze tra ricchi e poveri aumentano, e la crescita produttiva sta devastando il mondo…
Sono pienamente d'accordo. Solo che per far questo occorre che le sinistre escano da se stesse e diventino altre da sé. Perché anche le sinistre che si dicono alternative (e non penso a quelle inserite nel sistema dato, i Democratici, gli Schroeder, i Blair, ecc.) continuano ad essere immerse in quella cultura. Se continuano a porre la questione della eguaglianza come fondamentale senza partire dalla libertà, non capiranno mai la questione dell'ambiente: perché finché vorranno la parità delle condizioni di partenza ciò significherà riprodurre il sistema com'è. Occorre la libertà di ripensare interamente l'impianto del mondo, dei rapporti sociali, dei rapporti col prossimo, non come libertà di competere e vincere sui mercati.
Non secondo le regole del liberismo, cioè.
Che sono infatti libertà di sopraffare il prossimo, l'animale, la natura, di dominare il mondo, magari richiamandosi alla Bibbia, vai e prenditi la Terra. E' questo tipo di politica che non mi attira, che non mi consente di stare in Parlamento a occuparmi, che so, dell'età pensionabile; che è importante, certo, ma dovrebbe essere collocata entro un orizzonte politico più ampio. Ad esempio, a me sta benissimo che uno come Al Gore, che ha corso per la Casa Bianca, ora stia combattendo per l'ambiente: ma nel far questo si dimentica di dire che è la stessa idea americana di libertà che non funziona.
Infatti dice che l'ambiente non è né di destra né di sinistra. Ora, se c'è una cosa di sinistra, quella è proprio la difesa dell'ambiente…
Certo. Sono le categorie mentali che la sinistra - anche quella antagonista, alternativa, ecc. - ha nella sua stessa costituzione. Che in qualche modo è un impoverimento dell'idea originaria, via via rimpicciolita e stravolta nella gestione della realtà. Perché il Manifesto dei Comunisti non finisce con l'eguaglianza, punta alla società dei liberi, e quindi degli uguali: la libertà di tutti come fondamento della libertà di ciascuno.
Tu pensi che in questa situazione la sinistra riuscirà trovare l'unità? Parentesi: io la chiamo "sinistra", e basta.
Certo, è l'unica sinistra che c'è in Italia.
Lo è stata fino a Berlinguer…
Be', anche dopo non mi pare le cose siano gran che cambiate…
Ma dopo Berlinguer i comunisti storici sono finiti. Per quanto riguarda il vecchio partito comunista il perché è chiaro. Il vecchio Pci era figlio dell'idea sviluppista, dell'idea industrialista, del fordismo… l'obiettivo era orientare il processo di accumulazione in modo da distribuire più equamente la ricchezza, ma senza un sostanziale cambiamento del modello. Il grande programma di Togliatti del '56 era contro l'arretratezza dell'Italia, per lo sviluppo. Nel ‘66, all'XI congresso del Pci, per la prima volta viene avanzata l'idea che è il modello di sviluppo che non funziona. Ad avanzarla fu Ingrao che venne messo in minoranza… Fu poi Berlinguer a riprendere l'idea, nel '77, con la filosofia dell'austerità, che era critica del consumismo e proposta di uno sviluppo della qualità non della quantità. Ma fu oggetto di attacchi furibondi. Gli stessi dirigenti intermedi puntavano all'immediato miglioramento di condizione delle masse, confrontandosi con il senso comune, che è fatto anche di arretratezze.
Eppure si avvertiva già il condizionamento legato alla cultura del consumismo, a quella "colonizzazione dei cervelli" che è il grande motore del mercato…
Certo, certo. Ma era una cultura introiettata da buona parte degli stessi dirigenti. La gente voleva la macchina, la casa, le vacanze. Allora ci si stava preparando a quello che fu poi definito "governo delle astensioni", e parlare di austerità non sembrava la cosa più opportuna.
Eppure erano gli anni in cui l'ambientalismo andava mettendo radici, anche in Italia, con Peccei, il Club di Roma, con idee che somigliavano molto a quelle di Berlinguer.
Certo. Berlinguer diceva: il Club di Roma ha ragione. E c'era un certo numero di noi che condivideva queste posizioni, io ne ero parte. Ma c'erano anche influenti membri del partito che erano invece ostili, erano favorevoli al nucleare, e in genere allo sviluppo. Berlinguer si reggeva sul suo prestigio personale, ma nella concretezza della direzione del partito era in netta minoranza. Essere in qualche modo al governo significava investirsi di una saggia amministrazione delle cose.
All'interno del sistema dato…
Eh sì. Eppoi, problemi come l'ambiente erano fuori dalla nostra portata. Un paese da solo - si diceva - non può far niente.
Che è anche vero. Però, se il Pci avesse riflettuto che chi pagava di più le conseguenze del guasto ambientale erano i poveri, i contadini che trattavano pesticidi, gli operai che lavoravano su processi tossici, gli alluvionati dal Sud del mondo.
Sì, ma dire queste cose comportava una rivoluzione culturale. E questo avrebbe comportato anche un mutamento degli assetti interni al partito. Eppoi c'erano altre cose a cui pensare, lavoro, pensioni. Le stesse posizioni del Club di Roma parevano astratte, da intellettuali. E non solo nel Pci. Per molte persone di tutto rispetto erano farfalle sotto l'arco di Tito. Si son dovuti sciogliere i poli perché si capisse qualcosa. E ancora oggi conta solo la miglior gestione dell'esistente. Insomma, io ho concepito l'idea di fondare l'Ars, un'associazione politico-culturale, nel tentativo di ridiscutere i principi fondamentali. Per esempio con il Documento di Orvieto si cerca di cambiare i fondamenti culturali, di capire quale dovrebbe essere la nostra cultura. Secondo me anche l'idea di aderire ai movimenti è solo in parte giusta, perché colgono solo frammenti di realtà. Si dice no alla Tav, ma che passi pure in Svizzera. L'inceneritore, si metta da un'altra parte. Così la spazzatura.
Un momento. I movimenti non sono solo questo. Il problema locale spesso induce una consapevolezza più ampia. Eppoi bisogna distinguere, ci sono movimenti che sanno di cosa parlano quando dicono "ambiente". Prendi "La Decrescita": va al cuore del problema, I'impossibilità di una crescita illimitata in un pianeta limitato.
Per questo basta il buon senso. Una crescita infinita non è possibile in un mondo finito.
Eh no... Non pare proprio così ovvio, se tutti i governanti del mondo non fanno che invocare crescita. E anche nell'Ars, a lungo sono stata sola a parlare di questa clamorosa contraddizione, nel silenzio generale, o addirittura tra sorrisi di compatimento…
Noi dell'Ars fin dall'inizio abbiamo tentato di parlare di nuova soggettività della sinistra: proprio perché la sinistra oggi non ha un progetto culturale, non sa che mondo vuole. L'idea di ripensare la cultura della sinistra, considerando problema centrale il rapporto tra quantità e qualità, è ancora adesso qualcosa di molto difficile. Su questo anche nell'Ars c'è stata un'evoluzione positiva. Ma la vera svolta a mio parere è stato il Documento di Orvieto, quello poi fatto proprio anche dalle associazioni "Uniti a sinistra" e "Rossoverde". Lì vien fuori chiaramente la critica della quantità come elemento di definizione del capitalismo. E però non mi pare che questa consapevolezza venga assunta in tutta la sua portata. La tua stessa relazione, pregevolissima per tanti versi, indicava come temi centrali: pace, lavoro, libertà. Cose sacrosante, per carità. Ma il fatto è che una corretta valutazione del problema ambiente rimette in discussione tutto. Il lavoro, ad esempio, in chiave ecologica andrebbe ripensato radicalmente, e fortemente ridotto. Oggi un'enorme quantità di lavoro serve a produrre cose destinate a finire in discarica in poche settimane, che inquinano soltanto, oltre ad alzare il Pil naturalmente. Ma nessuno pare se ne preoccupi. Come nessuno sembra considerare che il mercato del lavoro è globale, che quel che succede a Napoli può essere determinato da quel che succede a Hong Kong. Le sinistre considerano queste cose? No, per grandissima parte no. Devono rincorrere il consenso, e l'idea di ridurre i tempi di lavoro oggi è dimenticata, le 35 ore sono finite, in Francia si vogliono detassare gli straordinari. La tesi è: chi più lavora più guadagna. Le sinistre, quelle che stanno nelle istituzioni, si adeguano. Poi capiterà che sbatteranno la testa. Ma per ora la corsa al reddito, al consumo, alle vacanze, e quant'altro, nessuno la contrasta. Il mondo sta correndo verso la rovina, con grande diletto, parrebbe. Ora qualche sensibilità si sta destando, per via dei fenomeni sempre più drammatici che si verificano ogni giorno…
Ecco, parliamo di oggi. Oggi nessuno più sfotte quando si parla di crisi ecologica. Tutti sanno che esiste. Ma nessuno, al mondo, fa una politica ambientalista seria. Le energie rinnovabili sono l'unico impegno, da parte di tutti. Per poter continuare a produrre, e a crescere naturalmente. E scassare definitivamente il mondo…
Tutti la pensano così. Anche i Verdi. In un recente dibattito ho sentito il rappresentante dei Verdi dire: "Noi siamo per un altro modello energetico". Tutto qui.
Ma il fatto che dovunque le distanze tra ricchi e poveri aumentino, nonostante la crescita, possibile che non dica niente alle sinistre? Che non capiscano che la crescita distrugge l'ambiente e socialmente non risolve? Che crisi ecologica e crisi sociale vanno di pari passo?
In Europa le sinistre continuano ad essere sviluppiste. Altrove non esistono nemmeno. E' un dato di realtà.
E questa realtà non si può cambiare?
Certo che si può. Ma per ora le sinistre che hanno vinto, contro di me e contro di te, se gli dici che bisogna cambiare la qualità del modello, al massimo ti rispondono: ma sì, parlatene pure. E' tutto.
In questa situazione il tentativo in corso, di aggregazione tra le sinistre italiane, le uniche che ancora si definiscono così, come lo vedi?
Non c'è una cultura comune, questo è il punto. Una cosa innanzitutto dobbiamo sapere: noi che vogliamo una nuova cultura, siamo una minoranza, via via più consistente ma assoluta. Gli altri sono preoccupati solo di avere più voti, e inseguono le destre, ammirano Sarkozy che ha vinto perché è più sviluppista di noi.
Ma possibile che le sinistre non si rendano conto della gravità del dissesto ecologico, non capiscano che così è impossibile continuare. Oggi la situazione anche a livello di opinione diffusa va cambiando, la minaccia della catastrofe è presente. Non pensi che sarebbe compito delle sinistre assumere il rischio ambiente nella sua reale portata, farne l'asse portante della loro politica? Ma tu non vedi soluzione, mi pare.
Io vedo una sola soluzione: insistere sulla battaglia culturale che stiamo conducendo, sapendo che a pensarla così oggi sono molti più di ieri. La sinistra va conquistata, e per farlo non bisogna preoccuparsi troppo dei voti.
D'altronde io credo che una politica ambientalista seria, corretta, avrebbe una ricaduta positiva anche sul piano dei suffragi. La gente ormai si sente insicura.
Sì, bisogna costruire una opinione almeno europea. Non si può saltare la costruzione delle menti. Mancano i fondamenti, su questi bisogna lavorare. Pensare il mondo in un altro modo.
Manca cioè una vera politica. Eppure credo che ci sarebbero i presupposti per una grande vera politica. A partire dalla crisi del capitale. Non so come la pensi tu, ma sono in molti a credere che il capitalismo sia in grave crisi.
Non c'è dubbio. Il capitalismo è in crisi. Si salva solo con la guerra…
Allora. Le sinistre, quelle poche che restano, non potrebbero cavalcare proprio la crisi economica insieme a quella sociale e a quella ecologica? Perché fino a certo punto l'accumulazione capitalistica, sia pure a costi tremendi, aveva migliorato le condizioni dei lavoratori nei paesi industrializzati: oggi questo processo si è rovesciato, le distanze tra ricchi e poveri aumentano, e la crescita produttiva sta devastando il mondo…
Sono pienamente d'accordo. Solo che per far questo occorre che le sinistre escano da se stesse e diventino altre da sé. Perché anche le sinistre che si dicono alternative (e non penso a quelle inserite nel sistema dato, i Democratici, gli Schroeder, i Blair, ecc.) continuano ad essere immerse in quella cultura. Se continuano a porre la questione della eguaglianza come fondamentale senza partire dalla libertà, non capiranno mai la questione dell'ambiente: perché finché vorranno la parità delle condizioni di partenza ciò significherà riprodurre il sistema com'è. Occorre la libertà di ripensare interamente l'impianto del mondo, dei rapporti sociali, dei rapporti col prossimo, non come libertà di competere e vincere sui mercati.
Non secondo le regole del liberismo, cioè.
Che sono infatti libertà di sopraffare il prossimo, l'animale, la natura, di dominare il mondo, magari richiamandosi alla Bibbia, vai e prenditi la Terra. E' questo tipo di politica che non mi attira, che non mi consente di stare in Parlamento a occuparmi, che so, dell'età pensionabile; che è importante, certo, ma dovrebbe essere collocata entro un orizzonte politico più ampio. Ad esempio, a me sta benissimo che uno come Al Gore, che ha corso per la Casa Bianca, ora stia combattendo per l'ambiente: ma nel far questo si dimentica di dire che è la stessa idea americana di libertà che non funziona.
Infatti dice che l'ambiente non è né di destra né di sinistra. Ora, se c'è una cosa di sinistra, quella è proprio la difesa dell'ambiente…
Certo. Sono le categorie mentali che la sinistra - anche quella antagonista, alternativa, ecc. - ha nella sua stessa costituzione. Che in qualche modo è un impoverimento dell'idea originaria, via via rimpicciolita e stravolta nella gestione della realtà. Perché il Manifesto dei Comunisti non finisce con l'eguaglianza, punta alla società dei liberi, e quindi degli uguali: la libertà di tutti come fondamento della libertà di ciascuno.
Tu pensi che in questa situazione la sinistra riuscirà trovare l'unità? Parentesi: io la chiamo "sinistra", e basta.
Certo, è l'unica sinistra che c'è in Italia.
E, per favore, lasciamo perdere scempiaggini tipo "la cosa Rossa"…
D'accordissimo. Dunque, riuscirà a trovare l'unità? Dovrebbe. Almeno d'azione, e almeno su certe questioni centrali. Ma contemporaneamente deve continuare lo sforzo per cambiare quello che hanno dentro i cervelli.
Cioè, ribadiamo, occorre cambiare l'intero impianto della politica; che dunque contenga anche un governo dell' ambiente fondato sulla rimessa in causa del sistema attuale. Su questa base, cioè assumendo l'anticapitalismo come idea centrale, la rivoluzione nel senso che dici tu - che non significa presa della Bastiglia o assalto al Palazzo d'Inverno -non credi che una buona fetta del "popolo di sinistra" potrebbe rispondere positivamente?
E' possibile, sì. Ci sono dei punti che incominciano ad essere comuni, e su cui si può continuare a lavorare.
Rifondazione in questo senso ha fatto un buon lavoro. Certo, non sono pochi gli iscritti ancora molto legati ai temi tradizionali, crescita, sviluppo, consumi, ecc., ma sono molti, specie tra i giovani, che hanno capito bene che cosa sta alterando così pericolosamente gli equilibri ecologici e che cosa occorrerebbe fare. Lo stesso Giordano più volte ha parlato pubblicamente della crisi ecologica come prova della necessità di cambiare l'intero sistema economico. Cioè quello che tutti ancora chiamano "modello di sviluppo", e che a mio parere bisognerebbe lasciar perdere. Perché oggi sviluppo significa crescita. Non sei d'accordo?
Certo. Si dovrebbe dire piuttosto "modello culturale". Perché, insisto, si tratta soprattutto una grossa battaglia culturale.
Avremo tempo abbastanza ?
Non è facile rispondere, se si considera l'accelerazione dello squilibrio planetario a cui assistiamo. Per questo bisogna darsi da fare.
di CARLA RAVAIOLI da Liberazione del 11 settembre 2007
D'accordissimo. Dunque, riuscirà a trovare l'unità? Dovrebbe. Almeno d'azione, e almeno su certe questioni centrali. Ma contemporaneamente deve continuare lo sforzo per cambiare quello che hanno dentro i cervelli.
Cioè, ribadiamo, occorre cambiare l'intero impianto della politica; che dunque contenga anche un governo dell' ambiente fondato sulla rimessa in causa del sistema attuale. Su questa base, cioè assumendo l'anticapitalismo come idea centrale, la rivoluzione nel senso che dici tu - che non significa presa della Bastiglia o assalto al Palazzo d'Inverno -non credi che una buona fetta del "popolo di sinistra" potrebbe rispondere positivamente?
E' possibile, sì. Ci sono dei punti che incominciano ad essere comuni, e su cui si può continuare a lavorare.
Rifondazione in questo senso ha fatto un buon lavoro. Certo, non sono pochi gli iscritti ancora molto legati ai temi tradizionali, crescita, sviluppo, consumi, ecc., ma sono molti, specie tra i giovani, che hanno capito bene che cosa sta alterando così pericolosamente gli equilibri ecologici e che cosa occorrerebbe fare. Lo stesso Giordano più volte ha parlato pubblicamente della crisi ecologica come prova della necessità di cambiare l'intero sistema economico. Cioè quello che tutti ancora chiamano "modello di sviluppo", e che a mio parere bisognerebbe lasciar perdere. Perché oggi sviluppo significa crescita. Non sei d'accordo?
Certo. Si dovrebbe dire piuttosto "modello culturale". Perché, insisto, si tratta soprattutto una grossa battaglia culturale.
Avremo tempo abbastanza ?
Non è facile rispondere, se si considera l'accelerazione dello squilibrio planetario a cui assistiamo. Per questo bisogna darsi da fare.
di CARLA RAVAIOLI da Liberazione del 11 settembre 2007
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