O Di Pietro o Bianchi. O Ferrero o Damiano. Valutare se Mussi non debba stare con Fioroni. Pecoraro, vice di Rutelli. Non è il gioco della torre. E’ il taglio dei ministri secondo Franco Bassanini, autore dell’omonima riforma (del 1999) che il mondo ci invidia e che l’Italia, Prodi come Berlusconi, ha affossato. Tommaso Padoa-Schioppa invita ai tagli di spesa, Cesare Salvi interpreta quell’invito auspicando un Prodi-bis con sforbiciata in Consiglio, giù giù fino a 15 ministri. E Bassanini avverte: «Soprattutto, bisognerebbe evitare che i tanti senza portafoglio mettano su un vero ministero con dipartimenti, capi di gabinetto... O, come sta accadendo con il Turismo, che starebbe coi Beni Culturali (cioè sotto Rutelli, ndr), che finiscano per diventare un dipartimento della presidenza del Consiglio, buona base per un futuro nuovo ministro, quello al Turismo appunto». Il taglio alla Bassanini produrrebbe ovviamente un governo che applica la legge Bassanini: 11, 12 ministeri al massimo, «io avevo proposto anche l’abolizione delle Politiche Agricole, fu il Parlamento a reintrodurle». Ma intanto, dice quello che Le Monde chiama «il rinnovatore transalpino», notoriamente chiamato a Parigi nella commissione Attali per le riforme, «non è che ci volesse Cesare Salvi per consigliare una sforbiciata. Quando mia moglie (Linda Lanzillotta, ministro per gli Affari Regionali, ndr) ha incontrato i rappresentanti delle Regioni per invitarli a tagliare consiglieri e assessori, si è sentita rispondere che allora cominciasse il governo, con i ministri...».
E lei comincerebbe proprio tagliando il posto di sua moglie?
«No, perché il suo è un vero ministero senza portafoglio, una funzione che c’era anche nella riforma del 1999. E invece, basta sfogliare la “Gazzetta Ufficiale” per accorgersi di quanti ministeri si sono ricavati un portafoglio, e bello gonfio».
Esempi?
«Che ci voglia, come funzione politica, un ministero per la Famiglia è una cosa. Che poi Palazzo Chigi, tramite Prodi o Letta, assegni un gabinetto, una segreteria tecnica, un dipartimento, è tutt’altra cosa. Accade anche con altri dicasteri senza budget. E la proliferazione è un guaio. Non solo perché i costi crescono, ma soprattutto sotto il profilo dell’efficienza. Più ministeri non equivalgono solo a più spese, ma anche a competenze confuse, a responsabilità che si rimpallano, a ministri che litigano».
Lei dove sforbicerebbe?
«La mia riforma, quella che varò il governo D’Alema, e solo perché lui in Consiglio arrivò a sbattere i pugni sul tavolo minacciando le dimissioni l’indomani mattina, prevedeva 11 ministri. Ancora meno, me lo lasci dire, di quanto aveva consigliato a Prodi, appena vinte le elezioni nel ‘96, Nino Andreatta: il quale seppe che Romano aveva in tasca una lista di 22 ministri, e allora si fiondò a Piazza Santi Apostoli. “Professore, un governo serio in Europa non ha più di 15 ministri, a lei gliene concedo 20”».
E furono 18... Ma oggi che sono 25, lei che farebbe?
«Sono molti di più. Per esempio, alle Finanze c’è un viceministro: ma quello di Visco è sempre più un ministero vero e proprio. Della Famiglia ho già detto, ma può valere anche per Giovani e Sport. Il caso più eclatante è quello di Trasporti e Infrastrutture».
Cioè Antonio Di Pietro e Alessandro Bianchi...
«Abbiamo separato i treni dalle autostrade, un assurdo, un caso unico in Europa. Fatti salvi i ministeri pesanti, l’Economia, gli Interni, gli Esteri, la Difesa e la Giustizia...».
Ovvero Padoa-Schioppa, Amato, D’Alema, Parisi e Mastella...
«... bisognerebbe tornare al ministero del Welfare, mettendo assieme almeno Lavoro e Solidarietà Sociale».
Cioè Damiano e Ferrero. Ma nel Welfare una volta ci sarebbe stata anche la Turco.
«Fu Berlusconi a reintrodurre la Sanità. Tornare indietro è difficilissimo, ma certo sarebbe opportuno. Si può discutere, ma forse è bene tenere separate l’Istruzione e l’Università. Si può discutere anche se il Commercio Estero debba stare con le Attività Produttive o con gli Esteri. Come per l’Ambiente: potrebbe tornare ai Beni Culturali. Ma sa qual è la verità? Non se ne farà niente. Perché questo governo è figlio di questa legge elettorale. Molti partiti in coalizione, molti appetiti di governo. Ma anche col Mattarellum non andava meglio. Si ricorda quanti ministri aveva Berlusconi?».
di ANTONELLA RAMPINO da La Stampa del 4 Settembre 2007
E lei comincerebbe proprio tagliando il posto di sua moglie?
«No, perché il suo è un vero ministero senza portafoglio, una funzione che c’era anche nella riforma del 1999. E invece, basta sfogliare la “Gazzetta Ufficiale” per accorgersi di quanti ministeri si sono ricavati un portafoglio, e bello gonfio».
Esempi?
«Che ci voglia, come funzione politica, un ministero per la Famiglia è una cosa. Che poi Palazzo Chigi, tramite Prodi o Letta, assegni un gabinetto, una segreteria tecnica, un dipartimento, è tutt’altra cosa. Accade anche con altri dicasteri senza budget. E la proliferazione è un guaio. Non solo perché i costi crescono, ma soprattutto sotto il profilo dell’efficienza. Più ministeri non equivalgono solo a più spese, ma anche a competenze confuse, a responsabilità che si rimpallano, a ministri che litigano».
Lei dove sforbicerebbe?
«La mia riforma, quella che varò il governo D’Alema, e solo perché lui in Consiglio arrivò a sbattere i pugni sul tavolo minacciando le dimissioni l’indomani mattina, prevedeva 11 ministri. Ancora meno, me lo lasci dire, di quanto aveva consigliato a Prodi, appena vinte le elezioni nel ‘96, Nino Andreatta: il quale seppe che Romano aveva in tasca una lista di 22 ministri, e allora si fiondò a Piazza Santi Apostoli. “Professore, un governo serio in Europa non ha più di 15 ministri, a lei gliene concedo 20”».
E furono 18... Ma oggi che sono 25, lei che farebbe?
«Sono molti di più. Per esempio, alle Finanze c’è un viceministro: ma quello di Visco è sempre più un ministero vero e proprio. Della Famiglia ho già detto, ma può valere anche per Giovani e Sport. Il caso più eclatante è quello di Trasporti e Infrastrutture».
Cioè Antonio Di Pietro e Alessandro Bianchi...
«Abbiamo separato i treni dalle autostrade, un assurdo, un caso unico in Europa. Fatti salvi i ministeri pesanti, l’Economia, gli Interni, gli Esteri, la Difesa e la Giustizia...».
Ovvero Padoa-Schioppa, Amato, D’Alema, Parisi e Mastella...
«... bisognerebbe tornare al ministero del Welfare, mettendo assieme almeno Lavoro e Solidarietà Sociale».
Cioè Damiano e Ferrero. Ma nel Welfare una volta ci sarebbe stata anche la Turco.
«Fu Berlusconi a reintrodurre la Sanità. Tornare indietro è difficilissimo, ma certo sarebbe opportuno. Si può discutere, ma forse è bene tenere separate l’Istruzione e l’Università. Si può discutere anche se il Commercio Estero debba stare con le Attività Produttive o con gli Esteri. Come per l’Ambiente: potrebbe tornare ai Beni Culturali. Ma sa qual è la verità? Non se ne farà niente. Perché questo governo è figlio di questa legge elettorale. Molti partiti in coalizione, molti appetiti di governo. Ma anche col Mattarellum non andava meglio. Si ricorda quanti ministri aveva Berlusconi?».
di ANTONELLA RAMPINO da La Stampa del 4 Settembre 2007
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