ALLARME Ma coglie anche l’occasione per lanciare un avvertimento esplicito alla politica (e l’allusione ai partiti della sinistra radicale è evidente): «un passo indietro». Che, tradotto, suona come un monito diretto a Rifondazione: giù le mani dal sindacato.
Epifani, dunque nonostante le “turbolenze” interne, la consultazione ci sarà. Siete consapevoli che il sindacato sarà chiamato a un impegno gravoso nelle prossime settimane?
«Certo che ne siamo consapevoli, ma devo dire che davvero sono molto soddisfatto di questa decisione dei direttivi confederali unitari di dare il via libera a una consultazione democratica che è al tempo stesso uno straordinario processo di partecipazione per milioni di lavoratori e pensionati italiani. Al di là dei numeri - tre contrari e centinaia di favorevoli - alla riunione dei direttivi ho avvertito nitidamente un clima di determinazione, quasi di orgoglio per l’apertura di questa fase, la consapevolezza dell’unità tra di noi e dell’autonomia del sindacato. Ci misuriamo in una grande prova di democrazia in una fase delicata».
Però non si può far finta che non sia successo niente 24 ore prima di quel direttivo unitario. E, proprio a proposito di autonomia del sindacato, la decisione della Fiom di schierarsi contro l’accordo ha scatenato parte della politica. In particolare Rifondazione...
«Ecco, questa è in effetti una delle conseguenze di questo passaggio delicato della dialettica interna al sindacato. I credo che i partiti debbano giustamente avere tutto lo spazio possibile per condurre le proprie battaglie, ma penso sia interesse di tutte le forze politiche lasciare maturare autonomamente le scelte dei lavoratori e dei pensionati. Servirà anche a loro conoscere l’esito del voto per sentire qual è il giudizio sull’accordo di luglio e poi valutare quel che sarà meglio fare, come rispondere alle domande che arrivano dal paese. Quindi dico no a una politicizzazione di questa consultazione, c’è già in programma la manifestazione del 20 ottobre, però nessuno deve utilizzare il nostro referendum: le forze politiche devono fare un passo indietro quando al parola spetta ai lavoratori».
Ma tutto questo è stato comunque innescato da una vicenda interna al sindacato, anzi alla Cgil: come valuta, dunque lo strappo della Fiom?
«Era noto l’atteggiamento critico della Fiom, da sempre la dialettica tra la categoria dei metalmeccanici e la confederazione è caratterizzata da differenze anche marcate. Diciamo, quindi. che mi aspettavo dalla Fiom un profilo critico che poi si sarebbe dovuto affrontare. Ma c’è stata invece, per la prima volta, una scelta più forte, c’è stato uno strappo in più. E io giudico sbagliata la decisione della Fiom perché rischia di indebolire la prospettiva sindacale, dopo che tante strutture territoriali e di categoria hanno approvato l’accordo e alla vigilia di una grande consultazione».
E che cosa avrebbe dovuto fare Rinaldini, secondo lei?
«Sarebbe stato molto meglio avesse espresso un giudizio critico ma mantenendosi nel quadro confederale. Invece ha fatto un passo davvero azzardato che potrà avere conseguenze pesanti».
Per esempio?
«Per esempio la politicizzazione di una discussione che dovrebbe rimanere in ambito strettamente sindacale e l’uso strumentale che ne sta facendo la destra».
Ma a questo punto cosa succede nella Cgil. Che conseguenze avrà questa scelta della Fiom? Si ipotizza un congresso straordinario e c’è chi critica la scelta dell’ultimo congresso di procedere per tesi e non per mozioni...
«Andiamo con ordine. Per quanto riguarda il futuro, mi pare che qualcuno stia correndo un po’ troppo in avanti, adesso pensiamo al referendum, poi vedremo affronteremo le questioni interne nelle sedi che riterremo più opportune. E a proposito dell’ultimo congresso, invece, credo valga la pena ricordare il momento in cui si è tenuto: eravamo nella fase finale del governo di centro-destra, reduci da cinque anni di intensa battaglia sindacale e sociale. Si trattava quindi di un congresso unitario, pur nelle differenze di vedute che da sempre esistono nella Cgil, perché è normale trovare maggiore compattezza quando si lotta contro, mentre è più difficile quando si devono fare accordi. Questo lo racconta tutta la nostra storia, ogni accordo è stato accompagnato da una dialettica interna vivacissima. Oggi, semmai, vedo una dialettica più ristretta, poiché è preponderante l’accordo su quel protocollo, e la radicalizzazione della posizione di una sola parte del sindacato. Dopodiché dico anche che non viviamo sotto una campana di vetro, anch’io ho espresso i miei dubbi sul protocollo di luglio, però dobbiamo anche essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo».
Ma c’è addirittura il rischio che si vada verso la formazione di un “quarto sindacato”, cioè la Fiom che va per conto suo?
«No, io non vedo affatto questo pericolo. davvero si sta correndo troppo in là. Ma di sicuro credo che dobbiamo recuperare un rapporto più normale con la Fiom e all’interno della Cgil e sarà una discussione che riprenderemo sicuramente quando sarà conclusa questa consultazione. E su questo insisto: non vorrei mai che la grande opportunità di questo referendum vada sprecato per effetto di battaglie interne o di strumentalizzazioni politiche. Perché questa è una sfida è un'occasione per cogliere gli umori, le richieste, i problemi del mondo del lavoro».
Il segretario della Fiom dice che però la consultazione cade in un clima difficile, di sfiducia generale. Lei è d’accordo?
«Sono d’accordo, sappiamo bene che nel paese si sta facendo strada un certo qualunquismo, l’istinto dell’antipolitica che fa dire “siete tutti uguali”. Ma credo anche che sia un motivo in più per raccogliere, con il referendum, questa sfida e recuperare il rapporto con i lavoratori e i pensionati. Anche per questo credo molto e ho condiviso sin dall’inizio l’idea di una consultazione generale e anche per questo, secondo me, la Fiom ha sbagliato».
Sarà importante una forte partecipazione. Avete in mente dei numeri?
«L’ultima volta che abbiamo indetto una consultazione analoga, nel 1995, parteciparono al voto 4 milioni e 400.000 lavoratori. Ora ci muoviamo in tempi più stretti e nel clima difficile che ho appena descritto. Speriamo comunque di riuscire fare ancora meglio di dodici anni fa, che oltre cinque milioni di lavoratori e pensionati partecipino al referendum. Quando indici un referendum deve mettere in conto i sì e i no. L'importante è che partecipi il maggior numero di persone. Noi sosterremo lealmente le ragioni del sì convinto. Credo che alla fine prevarrà una decisione positiva. E devo dire che ho colto nel clima dei direttivi unitari, in quell’orgoglio dell’autonomia del sindacato, un buon viatico per le prossime settimane».
di GIAMPIERO ROSSI da l'Unità del 13 settembre 2007
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