Quando si diffonde una inquietudine sociale assai spesso i governanti, convinti d'aver agito per il meglio, ritengono e dichiarano che si tratta di incomprensioni dovute a difetto di informazione o a preconcetti infondati. Cose di questo genere si sentirono dire durante il governo di centrodestra, che pure disponeva di un quasi monopolio televisivo. E si sentono dire ancora oggi, forse con qualche fondamento in più: dato che la condizione del sistema informativo (ma occorrerebbe un'autocritica) è poco diversa da prima e che, naturalmente, i preconcetti a destra non mancano.
Può appartenere infatti a questa categoria del partito preso il burbero contegno e la lamentela continua di quello che si chiama «il mondo delle imprese» - e cioè il padronato e le sue organizzazioni - che non cessa di avanzare rivendicazioni e pretese nonostante i tanti miliardi ricevuti e lo sconvolgimento a suo favore, ottenuto in tutti questi anni, della legislazione sul lavoro. Senonché a questa arroganza ci si dimostra assai sensibili nella parte più estesa dell'attuale maggioranza, mentre le voci che si levano dall'altra parte, dalla parte del lavoro, ottengono nei casi migliori un tiepido ascolto quando non, al contrario, severe rampogne.
I dati dell'Istat resi noti un paio di giorni fa sulla sostanziale stagnazione delle retribuzioni, testimoniano che il malessere tra i lavoratori dipendenti, a partire dai precari, è fondato non su un preconcetto o su cattive informazioni, ma su un fatto concretissimo. Tanto più che nell'arco di un decennio la quota del reddito da lavoro è percentualmente diminuita mentre è aumentata la quota di profitti e rendite. Il fatto che questa inquietudine per manifestarsi possa prendere, come è avvenuto, la strada del leghismo nordista («teniamoci i nostri soldi») o del populismo di destra («solo il padronato vi può garantire») è una prova in più di una carenza della sinistra, oltre che di tutta la coalizione, nel rappresentare bisogni e aspirazioni di cui essa dovrebbe essere la prima interprete.
Certamente, non basta una manifestazione come quella promossa dai direttori del manifesto e di Liberazione, che ha al primo punto le questioni del lavoro, per colmare questa lacuna. Ma essa può essere un punto di partenza, uno stimolo, una presa di coscienza per creare uno schieramento solidale. A me sembra utile e importante che gli eletti delle sinistre vengano trovando qualche forma di convergenza e unità per cercare di correggere, dove è necessario e possibile, l'azione governativa cui esse partecipano. Ma è contemporaneamente indispensabile che proceda la costruzione di una consapevolezza e di una sollecitazione popolare per obiettivi che in larga misura attengono a impegni assunti dalla stessa coalizione di centrosinistra e che, comunque, indicano una strada per il futuro.
L'appello, che anche io ho sottoscritto, per la manifestazione del 20 ottobre non è contro qualcuno ma a favore di qualche cosa, chiede una svolta e indica gli elementi di una prospettiva, non stabilisce un qualche dettato imprescrittibile e definitivo, tanto più che temi essenziali mancano a partire da quelli del rinsaldamento della democrazia.
E' ben chiaro a tutti che è la destra che vuol far cadere questo governo. Ma la fragilità dell'esecutivo non dipende dalla forza altrui ma dalla diminuzione del consenso che già era solo minimamente maggioritario. E questa diminuzione è soprattutto forte e pericolosa fra coloro che portano i pesi più gravi per tenere in piedi l'edificio della ricchezza nazionale, tanto ingiustamente distribuita.
Minacciare sconquassi per una manifestazione è in generale poco democratico e nel caso specifico è anche poco sensato. Essa dovrebbe essere vista da tutti come una importante opportunità. Per l'insieme della sinistra, che vuole continuare a chiamarsi tale, al fine di scoprire le proprie radici e incominciare a disegnare un proprio comune avvenire. Ma anche per la coalizione che governa. Perché se essa cedesse da questa parte non potrebbe riprendere la propria forza e perderebbe il suo stesso significato.
di ALDO TORTORELLA da il Manifesto del 7 settembre 2007
Può appartenere infatti a questa categoria del partito preso il burbero contegno e la lamentela continua di quello che si chiama «il mondo delle imprese» - e cioè il padronato e le sue organizzazioni - che non cessa di avanzare rivendicazioni e pretese nonostante i tanti miliardi ricevuti e lo sconvolgimento a suo favore, ottenuto in tutti questi anni, della legislazione sul lavoro. Senonché a questa arroganza ci si dimostra assai sensibili nella parte più estesa dell'attuale maggioranza, mentre le voci che si levano dall'altra parte, dalla parte del lavoro, ottengono nei casi migliori un tiepido ascolto quando non, al contrario, severe rampogne.
I dati dell'Istat resi noti un paio di giorni fa sulla sostanziale stagnazione delle retribuzioni, testimoniano che il malessere tra i lavoratori dipendenti, a partire dai precari, è fondato non su un preconcetto o su cattive informazioni, ma su un fatto concretissimo. Tanto più che nell'arco di un decennio la quota del reddito da lavoro è percentualmente diminuita mentre è aumentata la quota di profitti e rendite. Il fatto che questa inquietudine per manifestarsi possa prendere, come è avvenuto, la strada del leghismo nordista («teniamoci i nostri soldi») o del populismo di destra («solo il padronato vi può garantire») è una prova in più di una carenza della sinistra, oltre che di tutta la coalizione, nel rappresentare bisogni e aspirazioni di cui essa dovrebbe essere la prima interprete.
Certamente, non basta una manifestazione come quella promossa dai direttori del manifesto e di Liberazione, che ha al primo punto le questioni del lavoro, per colmare questa lacuna. Ma essa può essere un punto di partenza, uno stimolo, una presa di coscienza per creare uno schieramento solidale. A me sembra utile e importante che gli eletti delle sinistre vengano trovando qualche forma di convergenza e unità per cercare di correggere, dove è necessario e possibile, l'azione governativa cui esse partecipano. Ma è contemporaneamente indispensabile che proceda la costruzione di una consapevolezza e di una sollecitazione popolare per obiettivi che in larga misura attengono a impegni assunti dalla stessa coalizione di centrosinistra e che, comunque, indicano una strada per il futuro.
L'appello, che anche io ho sottoscritto, per la manifestazione del 20 ottobre non è contro qualcuno ma a favore di qualche cosa, chiede una svolta e indica gli elementi di una prospettiva, non stabilisce un qualche dettato imprescrittibile e definitivo, tanto più che temi essenziali mancano a partire da quelli del rinsaldamento della democrazia.
E' ben chiaro a tutti che è la destra che vuol far cadere questo governo. Ma la fragilità dell'esecutivo non dipende dalla forza altrui ma dalla diminuzione del consenso che già era solo minimamente maggioritario. E questa diminuzione è soprattutto forte e pericolosa fra coloro che portano i pesi più gravi per tenere in piedi l'edificio della ricchezza nazionale, tanto ingiustamente distribuita.
Minacciare sconquassi per una manifestazione è in generale poco democratico e nel caso specifico è anche poco sensato. Essa dovrebbe essere vista da tutti come una importante opportunità. Per l'insieme della sinistra, che vuole continuare a chiamarsi tale, al fine di scoprire le proprie radici e incominciare a disegnare un proprio comune avvenire. Ma anche per la coalizione che governa. Perché se essa cedesse da questa parte non potrebbe riprendere la propria forza e perderebbe il suo stesso significato.
di ALDO TORTORELLA da il Manifesto del 7 settembre 2007
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