lunedì 28 maggio 2007

Che cos'è l'anti-politica?

In questa fase l'attenzione di molti tra politologi e commentatori sembra focalizzarsi sull'antipolitica e sul suo crescente appeal. C'è chi la vede come un rischio imminente e chi invece -ed è la maggioranza- la percepisce già nella realtà vissuta in questi nostri tempi. In Italia tale riflessione ha conosciuto un rinnovato interesse come dimostrano i recenti interventi sul tema di autorevoli personaggi. Del resto, questo argomento non è nuovo al dibattito italiano nel quale l'antipolitica è stata denunciata. Antipolitica o populismo, i fenomeni di "degenerazione" o "snaturamento" della politica si sono evidenziati con forza nel periodo post-tangentopoli con l'ascesa della Lega Nord di Umberto Bossi prima e poi con la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel '94. Tra le tante analisi si cela una dicotomia tra politica e antipolitica o tra democrazia e populismo. Al di là delle considerazioni teoriche, è opportuno soffermarsi su alcune domande sull'antipolitica e le sue caratteristiche. Cos'è l'antipolitica, come nasce e come si esplicita e che cosa la connota? Come si pone rispetto al populismo? Sono queste domande importanti che ci aiutano a capire meglio quello che oggi è una crisi profonda della politica.
Va sottolineato in via preliminare il fatto che la parola antipolitica si configuri spesso come un concetto teleologico nel senso che il suo significato varia a secondo dell'idea di chi ne fa uso. Forse è questa flessibilità di linguaggio che autorizza ogni tipo di ragionamento e non consente di valutare il fenomeno e la sua consistenza reale. Quindi per evitare semplificazioni che rischiano di conseguire sottovalutazioni mistificatrici o agitazioni fantasmagoriche, è utile chiarire questo concetto e il suo esplicitarsi. Se l'antipolitica si caratterizza con la sua natura "anti" cioè se l'antipolitica nel suo significato letterale rinvia a "l'essere contro la Politica", va anche detto che ciò non basta per spiegare un fenomeno che oggi investe la politica e che può avere implicazioni diverse. In altre parole, non basta dire che si tratti di un fenomeno di rifiuto o negazione dalla Politica anche perché ciò non è sufficiente a chiarire né le forme né tanto meno gli esiti che la "contestazione" della politica può assumere. Dal nichilismo all'anarchismo, dal terrorismo al qualunquismo, dal populismo alla disaffezione elettorale, l'antipolitica può far appello a diverse strategie e può avere mire diverse. Basti pensare che le risposte antipolitiche se la prendono a volte con la democrazia o con le sue istituzioni (governo, parlamento e partiti) e altre volte ancora con le ideologie o la stessa legittimità del potere politico.

In generale le spinte antipolitiche sono effetti patologici e degenerativi la cui causa va ricercata nella crisi di legittimità dei partiti e nella loro scarsa capacità di governare i processi sociali e di definire un progetto di società in seguito al tramonto delle ideologie del Novecento. Quel che è venuto meno è l'efficacia della prospettiva nazionale della politica di fronte alla mutazione genetica della società moderna con l'avvento del globalismo. Sta qui il senso di impotenza che delegittima il sistema dei partiti che sempre più sono incapace d rinnovarsi e di operare una riforma della politica. Un vuoto e uno spazio dove appunto alcune forze si inseriscono denunciando la crisi della politica e candidandosi come alternativa. Si sa che la Natura ha orrore del vuoto! E ciò vale anche per la politica. Questa mi pare il punto di partenza per ogni considerazione sull'antipolitica e la sua forma più incisiva nelle società contemporanee che è il populismo. Il declino delle ideologie, la crisi di sovranità dello Stato e infine l'inerzia del sistema dei partiti sono le cause principali della crisi della Politica. Nell'età matura della società moderna basato su regimi democratici forse il populismo resta la forma più concreta di politica antipartitico. Si rammenta che il concetto di populismo nacque contro l'aristocrazia tradizionale e si batteva per un sempre maggiore allargamento, in estensione e in profondità della democrazia. All'origine i populisti ritenevano che la sovranità del popolo fosse confiscata e che la democrazia sia stata soffocata dall'opprimente potere degli interessi finanziari, degli uomini politici corrotti e via dicendo.
Come tutte le forme di antipolitica anche il populismo si alimenta della crisi dei partiti, della loro debolezza e incapacità a rappresentare l'interesse generale. In questo senso esso si muove nel solco della democrazia e con un linguaggio non convenzionale tenta di far accettare la sua deliberata offerta di soluzione e di futuro. Spesso la sua proposta acquisisce credibilità in quanto "exit strategy" dall'inerzia dei partiti la cui denuncia trova consenso sempre più nell'opinione. Il populista spesso riesce a dire ciò che la maggior parte della gente vede, cioè che la politica in crisi non è una cosa bella né utile per la gente, che la politica ha smesso di essere una missione, un servizio ma un affare di cui beneficiano solo i politici. Quindi è del tutto evidente che il suo linguaggio e la "sua offerta politica" appaiono tanto più attraenti quanto più la politica continua a galleggiare nel politicantismo e i partiti restano dei gruppi auto-referenziali senza visione né progetto per la società. Una politica che diventa sempre più spesso una questione di conquista del potere o di marketing elettorale tra forze concorrenti ma convergenti sul grande gioco.
Va detto che non solo il populismo ma anche altre istanze o "produttori di senso" stanno lì pronti a proporsi come alternativa. Poiché la crisi della politica è anche una crisi di valori prima ancora che di efficacia, allora si spiega quanto l'attivismo di nuovi centri di produzioni di valori siano impegnate a soddisfare la domanda di senso. Penso al discorso delle religioni e della religiosità che assumono sempre più centralità nella vita pubblica. La crescita dei fondamentalismi è proporzionale alla crisi delle ideologie e della politica, gli integralismi più o meno violenti fioriscono con la debolezza dello stato. Il rinnovato dibattito sulla laicità è la prova di quanto non sia stata risolta la questione e quanto la voglia di tornare alle "fondamenta" sia forte. Dal caso Welby ai DICO il tema di una compatibilità tra morale laica e etica pubblica è più che mai presente. Insomma si potrebbe dire con una battuta che il "tempio" è in perdizione tornate allo spirito assoluto cioè al dogma della verità rivelata per la vostra salvezza. Se la politica non riesce a risolvere la sua crisi, se le forze politiche tradizionali non sono in grado di auto-riformarsi, se non ci si inventa una nuova Politica della Politica allora fenomeni di antipolitica saranno sempre pronti a colmare il vuoto e il rischio che ne deriva per la democrazia e per la società è evidente. Si rammenta che l'antipolitica è un affare che rende nel momento in cui l'inerzia della politica porta alla disaffezione dei cittadini e coloro i quali vogliono investire su questo terreno sono molti.

di ALY BABA FAYE da Aprileonline del 25/05/07

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