domenica 13 maggio 2007

Coprire un vuoto a sinistra (introduzione di Achille Occhetto).

Mi è capitato di dire, alla vigilia dei congressi che si sono proposti di dare vita al partito democratico, che gli uomini e le donne di sinistra stavano provando un profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana che sembrava di precipitare in un buco nero. In sostanza abbiamo temuto che in quel buco nero potesse sparire la sinistra. Ma quella sensazione, se in me non è ancora del tutto scomparsa, perché ancora molte cose devono essere fatte e pensate, si è notevolmente attenuata sabato scorso assieme a Mussi, a Angius e a Giovanni Berlinguer al Palazzo dei congressi dove quel vuoto si è come d’incanto riempito della passione e della speranza di una nuova sinistra. E’ stato detto, per la verità non con molta eleganza, che chi era lì non sarebbe andato da nessuna parte, e che chi non aderisce al partito democratico vuole difendere la vecchia politica e impedisce al nuovo di sorgere.
Peccato però che molti di quelli che si azzardano in simili affermazioni sono stati e sono i più autentici rappresentanti della vecchia politica. Lo sono stati quando si trattava di cambiare il sistema politico italiano, lo sono stati dinnanzi alla prospettiva del bipolarismo e ai referendum sulla caccia e sul nucleare e su tante altre cose. E devo anche dire che ogni volta che si doveva fare qualcosa di nuovo, a torto o a ragione, il primo che vedevo accanto a me era sempre Fabio Mussi. Lo ricordo solo per sbarazzare il terreno dalla falsa caricatura che intende contrapporre il nuovo al vecchio. No, non è di questo che oggi si tratta: il problema è se debba o no continuare ad esistere una sinistra. Questa mia affermazione, come è del tutto evidente, non nasce da una sorta di nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra.
E ricordo anche bene che molti di coloro che oggi accusano Mussi di essere per la vecchia politica fecero le barricate contro gli “esterni”, guardarono in cagnesco ogni ipotesi di riforma del modo di essere dei partiti, si presentarono come i paladini dei vecchi apparati, condannarono come una infamia l’ipotesi di partiti meno dipendenti da finanziamenti discutibili. Per non parlare dei lazzi verso l’ipotesi di una grande coalizione, una sorta di Carovana nella quale ogni convoglio mantenesse la propria identità di partenza, ma che fosse ispirata dalla identica tensione ideale e morale verso la nuova frontiera di una politica profondamente rinnovata. Il “Grande Ulivo” del 1996 incominciò ad incarnare questa idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad un effettiva esperienza unitaria di base. Quella esperienza avrebbe dovuto, senza forzature burocratiche dall’alto, preparare il terreno di coltura di una fecondazione unitaria da realizzarsi nel vivo di una comune esperienza di vita politica e sociale.
Purtroppo quell’idea, come sapete, è stata sacrificata sull’altare della vecchia politica. Ebbene di fronte allo scempio fatto proprio dai rappresentanti della vecchia politica, si poteva rimanere fermi? Bisognava di qui all’eternità mantenere gli stessi partiti e partitini? Certamente no. Non c’era dubbio pertanto che occorresse riprendere, in qualche modo, la via della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi di cui abbiamo tante volte parlato. Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la formazione del Pd.
La mia risposta è: i processi di unificazione dovrebbero essere avviati in un modo totalmente opposto da quello tentato dal Pd. A mio avviso occorre prendere le mosse da un confronto culturale e programmatico aperto, in partenza, all’insieme del popolo di centrosinistra. Nel caso del Pd la scelta non è stata questa; la società civile, nelle sue differenti espressioni, non è stata chiamata a raccolta, e tutta l’operazione politica si è ridotta all’incontro di due apparati molto ristretti, quello dei Ds e quello della Margherita. Mi sembra che ce ne sia abbastanza per affermare che si sta lasciando nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di una sinistra moderna, capace di reinventare il senso di una attuale ispirazione socialista e democratica.
Per questo è ormai compito ideale e morale di molti di noi di impegnarsi perché la sinistra in quanto tale non sparisca dal panorama politico italiano. Coprire un vuoto abbiamo detto. Ma come? Questo è quello che vogliamo discutere qui oggi in modo aperto, e vogliamo farlo tra compagni della sinistra che vengono da percorsi e tragitti diversi, che in alcuni momenti si sono fieramente combattuti, ma che nutrono la sensazione che oggi si possa riprendere un cammino interrotto. Molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi ci muoviamo tutti oltre l’ottantanove, stiamo tutti cercando la strada che porta verso una nuova sinistra plurale, laica, moderna e unitaria. Le divisioni del passato si sono scolorite, e, soprattutto per i giovani, non hanno più senso. Ciò che invece ha ancora un senso è l’individuazione dei fondamenti ideali di una identità alternativa all’attuale modo di essere della politica e all’attuale modello di sviluppo.
Questa precisazione è di fondamentale importanza perché noi, a differenza di quanto è avvenuto per il Pd, non possiamo accontentarci di mettere insieme alcuni apparati all’interno dell’attuale modo di essere della politica. Al contrario dobbiamo dare voce al grido di dolore che sale da tutta la penisola contro il degrado della politica. Abbiamo davanti a noi dei dati impressionanti che ci dicono che il 65% dei cittadini italiani non crede più alla politica. Per questo la riforma della politica e la stessa questione morale rimangono obiettivi centrali del nostro percorso.
Così come centrale, nella nostra visione della politica, rimane il laicismo, che, lo vogliamo ricordare ad alcuni cattivi maestri, non va confuso con il vecchio anticlericalismo, che non ci appartiene. E lo vogliamo ricordare proprio oggi, in un giorno che con il pretesto della difesa della famiglia si rischia di calpestare, per le vie di Roma, non già i sampietrini, ma l’articolo 20 della Costituzione, di quella costituzione fatta da laici e cattolici usciti dalla Resistenza, di quella costituzione che tutti noi vogliamo continuare a difendere anche attraverso la richiesta dei 2/3 per la sua modifica. Ciò che invece va subito gettata al macero è quella costituzione materiale che ha buttato la politica in un pantano, da cui occorre risollevarsi anche attraverso la riforma dei partiti, la diminuzione dei costi della politica, e la realizzazione dell’art. 49 della costituzione. Ciò richiede la costituente di una nuova formazione politica. Il problema non è il se dar vita a una nuova formazione politica, ma il perché, il per che cosa e il come .
Il perché ce lo dice lo stesso Touraine - in un suo recente scritto - quando afferma che è ancora sensato parlare contro il capitalismo e che l’opinione pubblica si aspetta dai dirigenti che mettano dei limiti all’onnipotenza dei mercati e delle imprese e chiede una “sterzata a sinistra”. Mettendo, di nuovo, al centro il lavoro. Nel per che cosa si colloca a pieno titolo non già la negazione, ma la ridefinizione dell’obiettivo socialista, a partire dalla ridefinizione del rapporto tra libertà ed eguaglianza. La separazione tra libertà ed eguaglianza è alla radice di tutti gli errori e orrori della sinistra: ha costituito il dramma del secolo breve. Il socialismo del nuovo millennio dovrebbe porsi l’obiettivo di passare dalla libertà dei pochi alla libertà di tutti.
Qui sta la vera vitalità dell’idea socialista, che non è riducibile allo statalismo, ma al contrario si richiama ad un´ esigenza insopprimibile di socializzazione. I programmi di socializzazione possono essere vari e differenti, ma tutti devono avere come obbiettivi il superamento di ogni forma di oppressione dell’uomo sull’uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull’altra, del sesso maschile su quello femminile, delle nazioni ricche su quelle povere, dell’uomo sulla natura. Ma ci sono anche la fine dell’alienazione, il pacifismo senza se e senza ma, contro le cosiddette guerre giuste e le guerre cosiddette sante, il superamento del divario tra governati e governanti, e la fine di ogni forma di esclusione dal sapere e dalla cultura. E sopra ogni cosa dall’informazione, trasformando alle radici questo orribile apparato della moderna dittatura di massa.
Tuttavia anche nella definizione di questi che sono valori preliminari per avviare un processo di effettiva liberazione umana – che è cosa ben diversa dal liberismo, anche quello cosiddetto riformista – occorre avere ben chiaro che non si può affidare alla destra il compito dell’accumulazione e alla sinistra quello della redistribuzione. La sinistra non può limitare il suo messaggio al campo della distribuzione della ricchezza all’interno di un modello di sviluppo invariato. Il problema del mutamento del modello di sviluppo rimane una questione capitale. La sinistra del terzo millennio non può esimersi dal tentare l’impresa, sicuramente titanica, di definire, sia pure gradualisticamente e per approssimazioni successive, le linee di un nuovo modello di sviluppo, di un modo diverso di produrre e di consumare, a partire dal problema energetico, e nel contesto di una democrazia planetaria che si proponga di affrontare in modo radicale le grandi sfide della lotta al sottosviluppo e della difesa del pianeta dalla catastrofe ecologica.
Il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo. Rimane, tuttavia, il problema del come. Nessuno di noi si nasconde la difficoltà dell’impresa. Occorre sicuramente una profonda rivoluzione culturale, ma che non sia un modo per rinviare: che al contrario deve incominciare subito e dal basso, coinvolgendo direttamente i cittadini, i movimenti le associazioni, le personalità della cultura. Per questo abbiamo partecipato con commozione allo straordinario evento di sabato scorso con il quale si è dato vita al movimento della sinistra democratica, un movimento aperto che si pone l’obiettivo dell’unificazione della sinistra.
E dico subito che noi del Cantiere intendiamo essere parte attiva di questo movimento. Con quale obiettivo? Quello di dar vita a qualcosa di nuovo, attraverso una effettiva ricerca aperta, scevra da vincoli e pregiudiziali rispetto alle appartenenze del passato. Infatti mi sembra che oggi non sia molto utile scegliere tra una federazione di comunisti e una federazione di socialisti, se per davvero vogliamo muoverci nella direzione della costruzione di una inedita sinistra democratica. Per questo ritengo che tutti dovrebbero fare uno sforzo per uscire dal proprio guscio.
Personalmente penso che la nuova sinistra debba muoversi nell’alveo storico del socialismo europeo, con l’obiettivo di un suo rinnovamento nella direzione di un avvicinamento tra tutte le sinistre europee. Vedo bene che a questo proposito esistono ancora dei problemi, che tuttavia vanno risolti su due terreni diversi: quello immediatamente politico, attraverso immediati atti di unificazione che ci permettano da subito di affiancare la novità del partito democratico con una ancora più forte novità a sinistra, capace di dare una speranza a quel partito virtuale che oggi è senza rappresentanza; e quello di una ricerca e di un dibattito di più ampio respiro sulle questioni di fondo – sui fondamentali – sui quali dovrà basarsi la nuova sinistra unita.
Mentre sul primo terreno saranno molto importanti le scelte politiche e parlamentari dei gruppi politici già organizzati, sul secondo terreno occorrerà allargare l’orizzonte di partecipazione alla società civile, ai movimenti, alle competenze e alle personalità della cultura. E qui arriviamo al come, a quel come che anche metodologicamente ci differenzia dal processo avviato nella formazione del Pd. Un processo curioso, se si può leggere, in una intervista di Bersani, -badate bene, dopo che i due congressi hanno approvato un documento fondativo, per la verità molto effimero -, che sarebbe importante prima del congresso di fondazione del Pd, dalla data ballerina, “avere una discussione su valori e programma fondamentale”, e che prima di parlare del leader “occorre definire il profilo del Pd, tratteggiare un tratto del suo volto”.
Come si vede si tratta di una confessione clamorosa, dell’espressione di una sincera inquietudine, che tuttavia conferma tutti i nostri dubbi e sospetti; ma si tratta anche di un monito per il nostro stesso futuro.
E il monito è questo: occorre partire prima dai contenuti che dal contenitore. Il come richiama, dunque, l’esigenza – ecco la proposta - di una vera costituente delle idee, presieduta da un comitato di saggi che siano espressione dei grandi filoni riformatori, aperta alla società civile e ai movimenti e che trascenda – senza annullarli – gli attuali apparati partitici. Questa costituente dovrebbe aprire in tutto il paese, attorno ad alcuni nuclei programmatici fondamentali, un confronto reale, un processo di avvicinamento e di reciproca comprensione, una effettiva unificazione delle idee capace anche di prevedere i fisiologici elementi di diversità, legati alle differenti radici politiche, culturali e religiose.
Solo così si può dar vita ad una sinistra plurale, moderna e democratica. Per questo vi invito a non chiudere nel passato il discorso che si deve ancora aprire. La stessa sconfitta di Segolene Royal sta a dimostrare che la sinistra deve reinventarsi, ma non, come pretendono alcuni, sovrapponendo in coppa a una casta politica di sinistra, chiusa e per nulla nuova, lo zucchero a velo dei moderati.
La Francia ci dice ancora una volta che il vero segreto è quello di sapere parlare al centro democratico senza perdere la sinistra, e non mi sembra, me lo permetta Prodi, che questo segreto sia stato scoperto dal Pd. Oggi, se guardiamo al passato, ci serve, al governo, molto di più di tante chiacchiere vuote sulla modernità, la lezione di un riformismo forte, come quello che fu di Riccardo Lombardi.
Ed allora dico: se il partito democratico fosse stato per davvero il partito di tutto l’Ulivo, in quel caso la sinistra avrebbe trovato il proprio posto al suo interno. Ma così come sono andate le cose occorre, paradossalmente per il bene degli stessi moderati del Pd, se vogliono tornare al governo, dare voce e rappresentanza a milioni di cittadini che potrebbero rifugiarsi nell’apatia e persino nell’astensione.
E così perderemmo tutti assieme, appassionatamente, le prossime elezioni: altro che dichiaraci più avanti della sinistra francese! Cerchiamo dunque, tutti assieme, di uscire dal falso dilemma tra sinistre identitarie, ciascuna avvolta nella propria bandiera, e sinistra tecnocratica. Tra sinistra di governo e sinistra radicale. La sinistra è di governo se sa portare al governo non una casta separata ma i cittadini, il proprio popolo. Sta al governo solo se sa stare nel paese; ed è democratica solo se ricerca le nuove vie di scorrimento tra partiti e movimenti, tra rappresentanza e partecipazione.
Siamo riuniti qui, in questa sala, comunisti, socialisti, ambientalisti, laici e cattolici, che non intendono dimenticare le loro radici, ma vogliono, questo sì, essere qualcosa di nuovo con un cuore antico. Vogliono essere sinistra. E lo vogliono soprattutto per i più giovani.
Guardate alle beghe che già dividono il nascituro Pd! Lasciano nel paese un grande spazio vuoto. Ma questo non basta. Bisogna coltivarlo, questo spazio, fargli crescere dentro una nuova speranza; bisogna sapere piantare, nella diversità, il seme dell’unità. Se non sapremo fare questo crescerà solo l’erbaccia del disincanto e della disillusione, verso tutti, moderati o radicali che siano, verso la politica, verso la democrazia.
Ma allora avrà per davvero vinto la destra; dobbiamo impedirlo, facendo rivivere la sinistra!

di ACHILLE OCCHETTO

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