giovedì 3 maggio 2007

Ho fatto un incubo, anzi un sogno

Ho fatto un incubo. Ho sognato di ritrovarmi un giorno senza il mio partito; sì proprio quello per cui ho sempre votato, anche se ha cambiato tante volte nome e simbolo. Nell'incubo però questa volta non era come tutte le altre volte: non solo si cambiava nome e simbolo, ma proprio ci si scioglieva, e si faceva un altro partito. E tanto per peggiorare le cose, addirittura questo nuovo partito non era più un partito di sinistra, socialista, ma un'altra cosa. Con il simbolo, il nome, la nostra storia, il briciolo di identità che ci era rimasta, sparivano anche le sezioni, i luoghi dove incontraci, tante compagne e compagni con cui, seppure su posizioni diverse, pure avevo fatto un pezzo di strada.
Ma poi durante il sogno mi rendevo conto che con tutte queste cose, erano sparite anche altre. Era sparito, ad esempio, un arrivismo esasperato e talvolta amorale, un correntismo personalistico e accaparratore. Erano spariti i "capi bastone" - come si dice con eleganza nella mia amata Campania - che elargivano favori e contavano voti e tessere. Erano sparite le ultime e indecenti liste elettorali. Erano sparite le spartizioni dei posti nei consigli di amministrazione senza nessuna cura delle competenze e senza nessuna trasparenza. Erano sparire le riunioni convocate alle 17,00 del pomeriggio, iniziate puntualmente alle 22,00 e finite con votazioni improbabili alle 4 del mattino. Ma erano finte anche le riunioni di area convocate alle 11,00 del mattino, come se tutti lavorassimo negli assessorati... Erano finite le liturgie di partito, vuote, il vocabolario logoro di politichese, in cui non si dicono mai le cose vere, la guerra tra compagni/e. Non c'erano più dirigenti arroganti che arrivano tardi, parlano troppo e, ovviamente, se ne vanno senza ascoltare, e con loro se ne erano anche andati quelli che hanno sempre l'ultima parola, ai quali non puoi mai dire nulla, perché sono loro che debbono dire tutto a te. Non c'erano più i professionisti della politica, quelli candidati a vita, quelli che non mollano mai la presa, quelli che bisogna sempre sistemare in un modo o nell'altro. Ovviamente erano spariti i signori delle tessere e quelli che non riesci neppure più a parlargli non appena hanno una briciola di potere (vi ricordate i numeri di cellulare cambiati appena finita la campagna elettorale? Candidati/e disponibili, eletti/assessori/e ecc. irreperibili, secondo copione). Insomma era un incubo o un sogno?
La verità è che non basta uscire dai Ds perché gli incubi si trasformino in sogni; per questo occorre avere il coraggio dell'autocritica, di guardare in faccia ai limiti che hanno investito anche la nostra area. D'altronde stare in un partito come i Ds non poteva essere senza conseguenze anche per chi come noi ha tentato di esserci in maniera diversa, critica. Se, come credo, Fulvia Bandoli ha ragione quando dice che il Pd sarà difficilmente un partito partecipato, essendo la somma di partiti come i Ds e la Margherita che non lo sono affatto, mi chiedo cosa abbia significato per noi della/e sinistra/e Ds stare dentro quel partito. Che prezzi abbiamo pagato, non solo in termini di emarginazione e scarsa considerazione, ma soprattutto in termini di identità, di qualità del nostro personale politico, delle modalità di azione e pratica politica?
Mi piacerebbe che ci chiedessimo, e ancora di più che lo chiedessimo a chi se ne andato dalla nostra area e dal partito in tutti questi anni e a chi è rimasto, cosa c'era che non funzionava, dove sembravano troppo uguali e molto poco diversi dalla maggioranza del partito. Personalmente ho condiviso la storia della sinistra Ds fin dall'origine e ho sempre creduto che questa identità fosse più forte di quella stessa del partito; ho sempre sentito l'esigenza di specificare la mia militanza, che era sì nei Ds, ma in particolare in quella parte dei Ds nella quale mi sentivo a casa. Questo non vuol dire, tuttavia, che non abbia avvertito spesso il disagio di pratiche politiche che mi lasciavano insoddisfatto.
L'occasione della fine dei Ds mi pare che apra tra le tante anche quest'occasione: la possibilità insomma di trasformare l'incubo di ritrovarsi senza partito nel sogno di un partito nuovo, che vada ben oltre il rimpianto per quello che abbiamo perduto (lasciatemelo dire, non è che fosse granchè).
Certo dovremo discutere della collocazione internazionale della nuova formazione politica, dell'attualità del socialismo, della federazione o del partito unico, del rapporto tra identità diverse e unità, dovremo smontare retoriche stolte che contrappongono riformisti e radicali; certo dovremo discutere di leadership, di peso elettorale, di organizzazione dei gruppi parlamentari, regionali ecc..
Insomma so che ci sono tante questioni serie e importanti. Tuttavia, con un po' di timidezza e con la mia congenita ingenuità, mi piacerebbe suggerire che tutti insieme discutessimo anche di cose più piccole, quotidiane. Di come si organizzerà la vita della nostra nuova forza politica, come si prenderanno decisioni, come avverrà finalmente una vera partecipazione, come conteranno le/i militanti, come concilieremo la valorizzazione di chi ha maturato grande esperienza nelle istituzioni con la promozione di nuove/i compagne/i. Di come, concretamente, faremo diventare centrale la questione morale. Mi piacerebbe che il nuovo partito al quale lavoriamo si ponesse il problema della sostenibilità della politica, ovvero che proponesse pratiche politiche sostenibili per chi non sia un politico a tempo pieno (non mi fraintendete, non ho nulla contro chi ha la fortuna di fare politica a tempo pieno e il mio non è affatto il solito panegirico della società presunta civile), che valorizzi le competenze, che coinvolga tante e tanti più che garantire pochi, che non si riduca a lotte tra bande, spesso chiamate con i cognomi di compagni, che non perda le caratteristiche di una grande avventura umana tra donne e uomini che condividono gli stessi sogni.
Davvero un brutto incubo può trasformarsi in un bel sogno.

di MARCO ARMIERO da AprileOnline

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