mercoledì 16 maggio 2007

Ripensare sinistra e sindacato

Superficialmente la crisi del comunismo occidentale, il crollo dell'Unione Sovietica e con essa del "socialismo reale", hanno lasciato il sindacato molto meno in crisi del mondo politico della sinistra. La sinistra politica in Italia è stata infatti letteralmente travolta dal crollo del muro di Berlino. Il Partito comunista italiano si è frammentato, all'inizio solo in due orientamenti, e poi in vari altri perennemente agitati dal tentativo di autodefinirsi. Il partito socialista è sparito come attore politico, delegittimato dalla sua totale identificazione con la macchina del governo. Per quanto si possa criticare l'operazione, è certo che la nascita del Partito democratico segna un passaggio chiaro oltre il socialismo, oltre la sinistra, oltre la forma del partito di massa e verso una politica meno ingombrante intesa come amministrazione e professione.
Ma l'Italia non è un caso isolato.
I grandi partiti di sinistra in Europa, che ovunque sono le socialdemocrazie, sono in crisi in quasi tutti i paesi con l'eccezione della più recente democrazia spagnola: in parte nascono nuovi forti movimenti alla loro sinistra (Olanda e Germania), in parte restano dissanguati dall'impegno in una guerra coloniale (Gran Bretagna), in parte vengono semplicemente percepiti come nobile elemento di conservazione (Francia e Svezia).
Il Partito democratico nasce per uccidere la sinistra italiana in quanto questa ancora possa rifarsi ad un'idea socialista, avere un contatto con movimenti sociali e di partecipazione, e sostenere più o meno direttamente il primato della politica e delle idee sul marketing. Ma l'omicidio non sarà facile come preventivato dai potenti sponsor industriali e mediatici del Pd, se la sinistra riuscirà a riguadagnare una capacità di dialogo con la società anche al di fuori del Parlamento e della stretta prospettiva di governo.
Ma mentre il mondo politico della sinistra viveva questi drammi, qual è stata la vicenda sindacale in Italia?. Il sindacato confederale (la Cgil ha appena festeggiato il suo centenario) ha oramai rinunciato alla trasformazione socialista della società, ha assecondato la privatizzazione di alcuni importanti servizi pubblici, ha dovuto accettare che la politica economica venisse impostata dalla Banca centrale europea, ha subito un aumento consistente del lavoro precario non tutelato da alcuna forma di diritti.
In sostanza, anche la Cgil dopo il 1989 ha definitivamente abbandonato qualsiasi orizzonte socialista (prospettiva che ne aveva assicurato la nascita), qualsiasi esplicito riferimento alle analisi marxiste, in favore di una politica di responsabile cooperazione con la Stato e i partiti politici che oggi ne detengono le leve. E d'altra parte le organizzazioni dei lavoratori sono riuscite in una violenta, incredibilmente vivace ed esaltante opposizione quando sono stati messi in discussione alcuni diritti altamente simbolici come lo Statuto dei diritti e la modifica delle pensioni. Nonostante lo spostamento gigantesco ed epocale del reddito nazionale da salari a profitti e rendite, nonostante in Italia il salario medio reale sia rimasto sostanzialmente invariato nell'ultimo decennio, il sindacato confederale nella sua maggioranza ha vissuto la fase di transizione assai meglio e in modo meno distruttivo della sinistra politica.
Oggi però non è più così. Il sindacato vivrà nel prossimo futuro lo stesso travaglio che sta vivendo la sinistra politica. Dovrà scegliere se limitarsi ad arginare l'esistente o se rituffarsi nell'analisi del mondo contemporaneo, se rimettere in discussione gli assetti iperfinanziari dell'economie, se ragionare nuovamente di partecipazione dei lavoratori sia ai guadagni che alla gestione delle imprese, se battersi per bloccare l'ulteriore privatizzazione dei servizi pubblici, se rilanciare l'idea del pubblico, della gestione cooperativa nelle imprese di più vaste dimensioni. Paradossalmente, tutti questi temi sono infatti molto più attuali ora che alla fine dell'Ottocento: la classe lavoratrice è costituita anche di persone altamente istruite e ambiziose in grado di gestire e coordinare il lavoro d'impresa, grazie ai mezzi di comunicazione è possibile una più approfondita conoscenza delle interdipendenze fra culture ed economie, l'Italia è un paese immensamente più ricco di un secolo addietro.
Per compiere questo lungo percorso ovviamente il primo passo è ridare dignità al lavoro manuale, e attaccare strutturalmente la disoccupazione e il precariato, investire nella conoscenza, compreso nella conoscenza dei meccanismi che governano l'economia a livello nazionale e internazionale.
La crisi del sindacato è testimoniata dalla forte adesione ad iniziative che esso, tranne suoi spezzoni come la Fiom, non aveva condiviso. La marcia dei precari del 4 novembre che ha avuto uno straordinario successo. La lotta contro la base americana a Vicenza che solo in parte è stata sostenuta dal sindacato confederale e troppo presto dimenticata. Evidenti contraddizioni nell'azione sindacale sono emerse in trasmissioni televisive prestigiose come "Report" che evidenziava la chiusura dei confederali nei confronti dei precari della sanità. Ma le difficoltà in cui si dibatte il sindacato sono ancor più evidenti nel settore della ricerca e nel pubblico in generale che stanno in piedi grazie al lavoro precario, ancor più che nel privato dove il lavoro precario è spesso del tutto in nero. Sono contraddizioni di cui credo il sindacato non abbia ancora appieno valutato la profondità.
Se la sinistra ha intenzione di ripensare il socialismo per adattarlo al nuovo secolo, il processo non ha possibilità di riuscita se allo stesso tempo non coinvolge anche il sindacato in un ripensamento dell'azione sindacale che ha svolto negli ultimi decenni che, pur meritoria, segna il passo.

GIULIANO GARAVINI da Aprileonline del 15/05/07

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