lunedì 7 maggio 2007

Diliberto: Sinistra democratica nasce ambigua, Mussi scelga

«In un momento in cui tutto si muove, chi sta fermo è fottuto». Oliviero Diliberto ha fretta. Per tenere a battesimo una sinistra del 15 per cento rinsalda l'asse con gli ex fratelli coltelli di Rifondazione, suggerisce a Fabio Mussi di guardarsi le spalle da Gavino Angius che rende «ambigua» la neonata Sinistra democratica e lancia la sfida per l'egemonia: «Chi ha più filo, tesserà». E siccome è convinto che i figli della sconfitta dell'89 siano «rimasti sepolti sotto le rovine», è pronto a fare un passo indietro sulla leadership. «Io non mi candido a essere il capo della sinistra unita».
Mussi l'ha convinta?
«Ecumenico. Angius invece è stato molto chiaro».
Guarda ai socialisti.
«Trovo abbastanza singolare la sua scelta alla luce di una storia politica che è molto più simile alla mia che non a quella di Boselli. Ricordo con affetto che eravamo schierati insieme contro la svolta della Bolognina».
Le vostre strade sembrano destinate a non riunirsi.
«Angius fa una scelta che mostra plasticamente l'ambiguità intrinseca a ciò che è successo sabato al Palazzo dei congressi. Nella Sinistra democratica vi sono due opzioni distinte. Una, molto simile alla nostra, è quella lanciata da Mussi e cioè l'unificazione in forma federativa di tutti coloro che non aderiscono al Pd».
Tutti, Boselli compreso?
«Senza specificare. Mussi è stato molto bravo perché ha volutamente lasciato tutte le opzioni aperte».
Sinistra senza aggettivi, né comunista né socialista?
«Io voglio continuare a essere comunista, ma se Mussi non ha usato aggettivi di tipo identitario è perché avrebbero creato divisioni. Immagino che Angius voglia portare nella costituente socialista la maggior parte dell'ex Correntone».
Angius dentro Sd da cavallo di Troia?
«Nelle sue parole non c'è inganno. Angius fa un'operazione del tre per cento, la mia invece vale il 15. È lo spazio a sinistra del Pd, solo un cieco non lo capisce. Comprendo che Mussi non voglia spaccare il suo gruppo, ma deve scegliere».
Sembra voglia aspettare fino alle Europee.
«I cantieri che rimangono aperti troppo a lungo si trasformano in grandi buche dove si finisce per cadere. Mussi dica in fretta cosa vuol fare. Se nasce il Pd noi stiamo fermi? Il rischio è che non se ne faccia niente».
Giordano lancia un «patto d'unità d'azione». Lei ci sta?
«Mi sembra che il Prc avverta la mia urgenza politica. Dobbiamo partire anche da questa ritrovata sintonia tra due partiti che si richiamano al comunismo».
Nel Pantheon di Mussi ci sono Gramsci e Berlinguer. Nel suo?
«Tutti quelli che rappresentano un pezzo di storia comunista.
Nel mio non c'è Gandhi e in quello del Prc sì, ma sarebbe folle se fosse un elemento di divisione. Guardiamo avanti».
Vale anche per Cossutta?
«Se n'è andato lui, però il percorso unitario riguarda tutti. Ovvio che ciascuno conterà per il consenso che si porta dietro».
Non teme egemonie?
«La sfida per l'egemonia non mi spaventa, chi ha più filo tesserà. Riguardo alla mia persona, io non mi candido a fare il capo della sinistra unita e mi auguro che la leadership sia l'ultimo dei nostri problemi».
La corsa è già scattata.
«Se si vuole unire bisogna iniziare con atti di generosità personale. Non dico che io a 50 anni devo tirarmi indietro, parlo di atti di generosità in nome della sinistra. Se si facesse la confederazione sarebbe una cosa così importante che chiunque ne fosse il capo mi andrebbe bene. Si deciderà insieme e comunque non sarei io».
Nel Pd sembrano aver deciso che la guida della coalizione tocca a loro.
«Non hanno deciso niente, stanno furiosamente litigando su tutto. Il capo dell'alleanza non lo decide un partito solo. Per la maggioranza ci vuole il 51% e il Pd da solo non basta».
La «cosa rossa» avrà falce e martello nel simbolo?
«Il se e il come lo decideremo assieme. Prima dobbiamo riprogettare i contenuti e questo lo possono fare solo quelli che non sono figli della sconfitta dell'89. E cioè la generazione dopo la mia».
Fuori tutti? Diliberto, Mussi, Giordano?
«Noi abbiamo categorie di pensiero datate, mentre chi è nato l'anno del crollo del Muro non è rimasto sepolto sotto le sue rovine».

di MONICA GUERZONI dal Corriere della Sera del 07-05-07

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