Sarebbe facile, e anche piuttosto stupido, ironizzare sull’insuccesso elettorale del partito democratico. Sarebbe facile, e anche piuttosto presuntuoso, scrivere «ve l’avevamo detto». Il voto parla a loro, ma dice cose a tutto il centro-sinistra. Palla al centro, e ricominciamo. Innanzitutto con uno sforzo reciproco di attenzione. Parto da Taranto. Qui l’uomo del Pd è arrivato secondo e ha preso otto punti meno della coalizione. Avevano ragione quelli che ne avevano contestato la candidatura. Il Pd ha due strade: prende atto che il suo candidato non va e sceglie di far vincere chi è arrivato al primo posto o fa patti con la lista Cito (Cito, vi dice qualcosa questo nome?) e cerca una vittoria truccata. Vorrei conoscere l’opinione di Salvati, Vassallo e Parisi. Non guasterebbe un’opinione di Veltroni e Chiamparino.
Il caso Taranto è importante perché decide se nel centro-sinistra si può riavviare un dialogo o siamo destinati alla definitiva guerra civile politica.
Questo risultato elettorale ha, infatti, il contorno del dramma, per questo viene meno la voglia di scherzare. Neppure il successo di Cialente all’Aquila o l’affermazione delle liste socialiste unitarie in Puglia fa venir meno il compito di ragionare avendo di mira l’insieme della coalizione piuttosto che singoli sopravvissuti al naufragio.
La scelta del Pd è stata sbagliata. Pezzotta non ci sta a nome dei cattolici, Luca di Montezemolo dà voce al distacco dell’imprenditoria, i sindacati, tutti, si tengono fuori, l’area socialista nel suo insieme lavora alla Costituente. Il Nord ha già seppellito la novità politica. I tg sono pieni della storia dei rifiuti a Napoli, il più elementare spot anti-Partito democratico autoprodotto. Insomma il Pd non sarà né l’incontro fra sinistra e cattolici, né tiene insieme la sinistra riformista né, grazie a Napoli, può sbandierare il tema del buongoverno.
Il Pd ha accelerato la crisi della politica alimentando nuove fratture, isolando una classe dirigente autoreferenziale. La cultura dell’emergenza suggerisce ai piloti di questa nave fantasma di andare avanti a qualunque costo. La memoria di culture politiche robuste suggerirebbe di fermarsi a ragionare. La crisi della politica indica tre malattie: la scorciatoia istituzionale (cambiamo le regole così si sana il sistema), la politica con il passamontagna (non ti dico chi sono, né dove vado), l’intreccio fra politica e affari (datemi un banchiere amico e solleverò il mondo). La politica è altro. È sempre stato altro. È progetto, missione storica, visibilità dell’identità, gioco dei simboli. Poi ci sono anche le cose da bassa cucina che nessuno disprezza, il voto d’interesse, il finanziamento, le lobby e quant’altro. Nessuno vuole fare il moralista, ma se si inverte l’ordine dei fattori si va al disastro. (...)
di PEPPINO CALDAROLA da il Riformista del 29/05/07
Il caso Taranto è importante perché decide se nel centro-sinistra si può riavviare un dialogo o siamo destinati alla definitiva guerra civile politica.
Questo risultato elettorale ha, infatti, il contorno del dramma, per questo viene meno la voglia di scherzare. Neppure il successo di Cialente all’Aquila o l’affermazione delle liste socialiste unitarie in Puglia fa venir meno il compito di ragionare avendo di mira l’insieme della coalizione piuttosto che singoli sopravvissuti al naufragio.
La scelta del Pd è stata sbagliata. Pezzotta non ci sta a nome dei cattolici, Luca di Montezemolo dà voce al distacco dell’imprenditoria, i sindacati, tutti, si tengono fuori, l’area socialista nel suo insieme lavora alla Costituente. Il Nord ha già seppellito la novità politica. I tg sono pieni della storia dei rifiuti a Napoli, il più elementare spot anti-Partito democratico autoprodotto. Insomma il Pd non sarà né l’incontro fra sinistra e cattolici, né tiene insieme la sinistra riformista né, grazie a Napoli, può sbandierare il tema del buongoverno.
Il Pd ha accelerato la crisi della politica alimentando nuove fratture, isolando una classe dirigente autoreferenziale. La cultura dell’emergenza suggerisce ai piloti di questa nave fantasma di andare avanti a qualunque costo. La memoria di culture politiche robuste suggerirebbe di fermarsi a ragionare. La crisi della politica indica tre malattie: la scorciatoia istituzionale (cambiamo le regole così si sana il sistema), la politica con il passamontagna (non ti dico chi sono, né dove vado), l’intreccio fra politica e affari (datemi un banchiere amico e solleverò il mondo). La politica è altro. È sempre stato altro. È progetto, missione storica, visibilità dell’identità, gioco dei simboli. Poi ci sono anche le cose da bassa cucina che nessuno disprezza, il voto d’interesse, il finanziamento, le lobby e quant’altro. Nessuno vuole fare il moralista, ma se si inverte l’ordine dei fattori si va al disastro. (...)
di PEPPINO CALDAROLA da il Riformista del 29/05/07
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