domenica 6 maggio 2007

Uomini e donne in discussione e in cammino: è un buon inizio

Le donne e gli uomini che si sono incontrate a Roma per dare vita alla Sinistra democratica hanno un punto in comune. Guardano alla politica italiana mettendosi in discussione, oltre che in cammino. Quelli che hanno lasciato i Ds al congresso di Firenze, poiché non vi è atto più forte e profondo come separarsi dopo una pratica politica condivisa a lungo nel tempo, nelle idee, nella comunanza di valori e di esperienze. E quelli che tornano a fare politica, dopo essersene allontanati delusi, talvolta anche dall’esercizio democratico del voto, non solo dalla sede di questo o quel partito. Ci mettiamo tutti e ciascuno in discussione. Se lo facciamo è perché sentiamo che la sfida contro il rischio di declino dell’Italia di oggi e di domani non si gioca sui tavoli delle leadership, dei partiti contenitori, dei valori dalle geometrie equidistanti, della pura democrazia deliberativa, quella che si esaurisce nella delega per mezzo di una scheda elettorale ogni cinque anni. Abbiamo invece bisogno di una politica moderna perchè radicata, partecipata, che coltiva una memoria e costruisce una coscienza, forma delle idee. E nessuna politica - se la guardiamo dal coté di sinistra – sfugge alla questione della sua identità oggi, qui ed ora, di quali siano i suoi valori fondativi, di quale sia la sua reale rappresentanza del mondo del lavoro, di quale lingua parli in Europa e nel mondo, dunque della sua collocazione internazionale. Per amministrare una società - ci dice un importante scrittore italiano dei nostri giorni - ci vuole un onesto senso civico e un intelligente spirito di servizio. Ma per decidere che tipo di società si vuole c’è bisogno di una cultura, di una visione del passato e del futuro, un’idea della vita pubblica e privata, dei doveri e dei diritti. Forse proprio qui sta la vera differenza tra i due capitoli che oggi si aprono nella politica italiana, quello del partito democratico e quello di un movimento come il nostro che si propone di lavorare dentro la sinistra nel duplice segno dell’unità e dell’autonomia. Non c’è nessun PSIUP da rifare, né c’è d’aspettare il tempo necessario a Mussi per fare la rivoluzione, come intona Reichlin in un recente articolo su L’Unità con un lessico che mette da parte il suo consueto stile. Non so se Mussi avrà voglia di giocare prossimamente a fare la rivoluzione, quel che è certo è che fin qui il Partito democratico si gioca sulla sfida tra leader e coordinatori, Qualcosa al tempo stesso, caro Alfredo, di più facile ma anche di più difficile che di una vera rivoluzione. Si può avere un’opinione contrapposta sul merito, ma lo stile di Mussi a Firenze è quello racchiuso nell’ultima riga del suo discorso: “l’impresa è difficile, ma si aprono due fasi costituenti, sarebbe bello un doppio successo”. Verrebbe da chiedere a Reichlin d’indicarci quale altra dolorosa separazione politica del passato sia avvenuta in questo modo, capace di tenere insieme un auspicio valido per la nostra gente, per il governo del paese e con esso un programma di lavoro fondato su un’altra e diversa prospettiva politica. E’ un cammino lungo quello che oggi inizia, bisogna saperlo. Perché la metafora della casa di cui parla giustamente Macaluso richiama quella delle fondamenta su cui può essere edificata e reggersi, senza possibili scorciatoie. E’ fuori di dubbio che ogni percorso della politica sia fatto di tappe intermedie e di approdi tattici. Di tempi che spesso si impongono con la loro propria accelerazione. Ma la qualità dell’impresa che inizia non potrà essere segnata solo da questo. E’ proprio questo, infatti, che abbiamo rimproverato al processo di avvio del partito democratico. E’ un bene richiamare, come giustamente talvolta viene fatto, Epinay. C’è più di una similitudine politica con l’operazione mitterandiana di trent’anni fa. Un grande paese a rischio di declino nel cuore d’Europa, una sinistra in parte divisa in parte dispersa. Ma una sfida che appariva improbabile ha avuto successo e quella sfida Mitterandt ha saputo giocarla e vincerla attorno a due precise parole-chiave. Socialismo ed Europa. Ha avuto bisogno di tempo, ha costruito nell’unità, ha lavorato nell’autonomia non solo organizzativa e riaggregativa, ma prima di tutto politica e culturale. E la sinistra è rinata. Qualcosa di simile va fatto oggi in Italia e il nostro metterci in discussione muove da qui. Con chi? Come? Contro chi? Chiede ancora Reichlin, dichiarando di non capire perché sosteniamo che il Partito democratico si profila come partito moderato. Per noi potrebbe rispondere – e ha già risposto infatti – il Manifesto dei valori con la sua equidistanza politica tra lavoro e impresa. Ci sarà pure un punto dello spazio che segna il discrimine tra sinistra e moderatismo, o soltanto in Italia questo punto sfuma sempre più nel vago fino a scomparire?Né può bastare a garanzia del fatto di stare di qua da quel punto piuttosto che di là, la pur ammirevole azione del nostro ministro degli Esteri, se siamo convinti che le giuste e buone azioni dei ministri giovano alla causa dei governi di cui fanno parte e al paese che servono, ma che la costruzione di un partito politico è un’altra e diversa cosa, se non altro per il fatto di non contemperare un uomo solo al comando. Dunque questo punto esiste e anzi si presenta in una più che moderna versione tridimensionale. La rappresentanza sociale e politica del lavoro. L’idea di laicità, delle libertà e dei diritti su cui si fonda con ogni politica lo Stato moderno e contemporaneo. Il campo politico europeo che altro non può essere che quello del socialismo. La casa entro cui si lavora per unire la sinistra ha di solido queste fondamenta portanti. Certo che poi tante forme possono esistere, determinarsi, affermarsi nel corso reale e concreto di un processo che deve saper aggregare ed estendersi, essere popolare ed ambizioso, dentro e non fuori ma neppure succube dei tempi dettati dall’agire politico, dalle scadenze elettorali, da quei passaggi insomma che segnano l’andare avanti o meno di un progetto politico. Ma quel progetto o ha nel suo inizio una qualità nuova della politica o, come progetto, non esiste. Gradualità e tempi giusti, allora. Il 5 maggio è stato un buon inizio.

di GIANNI ZAGATO

Nessun commento: